Torna la CIGS per cessazione di attività [E.Massi]

Con l’entrata in vigore del “Decreto Urgenze” si ripristina la CIGS per cessazione di attività già soppressa dal Jobs Act, previsti trattamenti fino a 12 mesi per il biennio 2019/2020.

Torna la CIGS per cessazione di attività  [E.Massi]

Con l’art. 44 del D.L. n. 109/2018 ( il c.d. “Decreto urgenze” che ha riguardato, principalmente, le questioni relative al crollo del ponte di Genova) l’Esecutivo ha reintrodotto la cassa integrazione per cessazione di attività, cancellata dal nostro ordinamento, per effetto della legge n. 92/2012, dal 1 gennaio 2016 e lo ha fatto richiamando, in via amministrativa, il D.M. n. 95075 del 26 marzo 2016 che aveva disciplinato una ipotesi particolare di intervento salariale prevista nel “corpus” dell’art. 21, comma 4, del decreto legislativo n. 148/2015.

La Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro ha fornito, con la consueta velocità, le prime indicazioni operative per le parti sociali e per gli altri organi amministrativi interessati, con la circolare n. 15 del 4 aprile 2018.

Ma, cosa è stato previsto e, soprattutto, come si rapporta la nuova normativa con “il sistema degli altri ammortizzatori sociali” e con le risorse economiche necessarie?

Dal 29 settembre (che, purtroppo, mi sia concessa questa breve licenza, non è la canzone dell’”Equipe 84”) con riferimento agli anni compresi dal 2018 al 2020 possono essere riconosciuti interventi di integrazione salariale straordinaria per cessazione di attività ai dipendenti di imprese, anche in procedura concorsuale, od ove siano in corso procedure collettive di riduzione di personale con il licenziamento di tutti i dipendenti.

La disposizione chiarisce che il trattamento viene considerato in deroga a quello stabilito dagli articoli 4 e 22 che riguarda la durata massima del trattamento di CIGS pari a 24 mesi all’interno del quinquennio mobile, con la sola eccezione del settore edile ove il tetto è fissato a 30 mesi all’interno di ciascuna unità produttiva (concetto molto importante che non va, mai, dimenticato).

Ma come va qualificato, l’intervento integrativo?

La risposta del Dicastero del Lavoro è che ci si trova di fronte ad una specifica ipotesi di crisi aziendale che si aggiunge, temporaneamente (in quanto non strutturale) a quella “canonica” disciplinata dall’art. 21.

Una prima considerazione emerge da quanto appena detto: a differenza di altre ipotesi scaturenti dalla normativa, il ricorso al trattamento integrativo non postula la preventiva fruizione di altri periodi di integrazione salariale straordinaria, anche se, quasi sicuramente, questa resta soltanto una casistica di “scuola”.

La seconda riflessione riguarda il campo di applicazione del nuovo istituto; esso comprende tutte le imprese rientranti nella CIGS, senza alcun limite numerico “al rialzo”, come, ad esempio, nella proroga della CIGS per ristrutturazione o crisi aziendale (art. 22-bis del decreto legislativo n. 148/2015) ove, tra i requisiti, viene richiesto quello dei 100 dipendenti interessati.

Le condizioni per poter accedere all’intervento possono così sintetizzarsi:

  • cessazione, in tutto o in parte dell’attività o decisione di cessazione anche in corso di intervento straordinario di CIGS;
  • cessione dell’attività a favore di un acquirente con le garanzie previste dall’art. 2112 c.c. e con le eventuali deroghe ex art. 47 della legge n. 428/1990, con la specificazione di un piano articolato finalizzato alla conservazione del maggior numero possibile di lavoratori occupati.

Le due ipotesi appena considerate richiedono la stipula di un accordo in sede ministeriale ove, per una serie di ragioni, oltre al datore di lavoro ed alle organizzazioni sindacali, possono intervenire sia la Regione (o le Regioni o Province autonome interessate) che il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). In quella sede occorrerà presentare un piano articolato finalizzato al riassorbimento del personale (cessazione di attività e nuovo “compratore” alle porte) o un piano di reindustrializzazione del sito produttivo che può, alternativamente, essere presentato da una delle due imprese interessate (cedente e cessionaria) o dal MISE.

Altra ipotesi in cui si potrà richiedere l’intervento integrativo riguarda il sostegno al reddito in presenza di politiche attive del lavoro: qui saranno necessari interventi mirati e specifici che vedranno interessate le Regioni sede delle unità produttive interessate.

Tutto questo, per, postula una sostenibilità dell’intervento finanziario in quanto il D.L. n. 109/2018 non prevede risorse aggiuntive a quelle “avanzate” rispetto a quelle stanziate con il decreto legislativo n. 148/2015 per le ipotesi previste dal comma 4 dell’art. 21. Tale sostenibilità va verificata anche valutando gli impegni in via prospettica in quanto la carenza di risorse comporterà il non accoglimento dell’istanza. Va, peraltro, sottolineato come, al momento, le risorse vengano tratte dal “cespite finanziario” tratto dal Fondo per l’occupazione ex art. 18, comma 1, del D.L. n. 185/2008, successivamente convertito nella legge n. 2/2009 e che ha già finanziato gli interventi ex art. 21, comma 4: si tratta, quindi, di somme residue che, prevedibilmente, in futuro, dovranno essere implementate.

Fatte queste brevi premesse, passo ad esaminare il momento “focale” rappresentato dalla stipula dell’accordo in sede di Ministero del Lavoro ove oltre alle parti possono intervenire, come detto, il MISE e le Regioni interessate.

Nel verbale vi sono alcune cose che, obbligatoriamente, vanno inserite.

La prima concerne il piano delle sospensioni ricollegabile sia nei tempi che nelle modalità alla prospettata cessione di attività o al piano di reindustrializzazione o al programma di politiche attive predisposto dall’Ente Regione.

L’impresa cedente deve indicare, in modo dettagliato e con documentazione la cessione dell’attivita’ finalizzata, in ogni caso, alla continuazione della stessa. In questa fase un ruolo fondamentale può essere svolto dal MISE che deve confermare, se interverrà, le prospettive di cessione, potendo “nascondere”, per motivi di riservatezza, anche il nome del terzo acquirente. In caso di interventi finalizzati ad una reindustrializzazione del sito produttivo, vanno illustrati sia i tempi di realizzazione che le fasi intermedie.

La Regione, comunque, in presenza di piani di politiche attive dovrà specificare i singoli percorsi di riqualificazione e di possibile nuova occupazione.

La seconda riguarda il riassorbimento del personale e le modalità di gestione delle eccedenze di personale.

Il terzo elemento che condizione tutta l’operazione è rappresentato dal costo complessivo dell’operazione che diviene parte integrante dell’accordo. Il discorso relativo all’onere finanziario si ricollega, necessariamente, al monitoraggio continuo delle risorse che incombe sia sull’INPS che sul Ministero dell’Economia: il raggiungimento del limite massimo di spesa, esaminato anche a livello di previsione, comporta il “blocco” dell’accordo (ma, al momento della firma, si dovrebbe sapere, con certezza, se i fondi sono disponibili) e la stipula di accordi per alte aziende.

La richiesta di CIGS si attiva nel modo usuale: istanza presentata alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione, divisione IV, attraverso il sistema della Cigsonline: il verbale di accordo va corredato da una serie di documenti come l’elenco nominativo dei dipendenti interessati dalle sospensioni o dalle riduzioni di orario, il programma di cessione o di reindustrializzazione o quello di politiche attive predisposto dalla Regione.

Tale richiesta di CIGS, essendo del tutto particolare, non è sottoposta ai vincoli temporali perentori previsti dall’art. 25 del decreto legislativo n. 81/2015: non si tratta di una cosa del tutto nuova in quanto ciò avviene anche nelle ipotesi di richiesta di “sforamento” della integrazione salariale straordinaria di cui parla l’art. 22-bis del decreto legislativo n. 148/2015.

Va, infine, sottolineato come le imprese che fruiranno di tale nuovo intervento integrativo dovranno, comunque, versare il contributo ordinario mensile pari allo 0,90% (di cui lo 0,60% a carico del datore di lavoro e la somma residua a carico del singolo datore) calcolato sulla retribuzione imponibile, oltre a quello addizionale correlato al periodo di fruizione secondo il principio che esso è sempre più  alto in relazione a quanto l’ammortizzatore viene usato (in alcune ipotesi limitate non è dovuto).

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 345 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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