La Cassa Integrazione salariale del dopo Covid: i chiarimenti dell’Inps

La Cassa COVID va in soffitta dopo 16 mesi e viene sostituita dalla normale cassa integrazione salariale per la quale, fino al prossimo 31 dicembre, non si paga alcun contributo addizionale.

La Cassa Integrazione salariale del dopo Covid: i chiarimenti dell’Inps

Con il primo luglio u.s. per le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGO è possibile procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma, al contempo, il Legislatore ha messo a disposizione alcuni strumenti integrativi finalizzati ad attenuare l’eventuale impatto pernicioso dei recessi, prevedendo, in caso di utilizzazione, lo “stop temporaneo” ai recessi. La Cassa COVID va in soffitta dopo 16 mesi e viene sostituita dalla normale cassa integrazione salariale per la quale, fino al prossimo 31 dicembre, non si paga alcun contributo addizionale. L’INPS, con la circolare n. 125 del 9 agosto, offre una serie di chiarimenti che, in questa fase di ritorno alla quasi “normalità”, dovrebbero aiutare gli addetti ai lavori nel loro operare.

La riflessione che segue riguarderà i commi 3 e 4 dell’art. 40 del D.L. n. 73 convertito, con modificazioni, nella legge n. 106.

La nota dell’Istituto chiarisce, da subito, in evidenza che le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGO e che, dal primo luglio, presentano istanza di accesso sia alla CIGO che alla CIGS (art. 11 e 21 del D.L.vo n. 148/2015) sono esonerate dal pagamento del contributo addizionale, previsto dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015. Nella circolare n. 115 si parla anche degli interventi di CIGS, nei limiti in cui ne può parlare l’INPS, atteso che la competenza in materia è della Direzione Generale degli Ammortizzatori e della Formazione del Ministero del Lavoro che, al momento, non ha fornito alcun indirizzo operativo.

È l’art. 10 che individua i datori di lavoro che rientrano nel campo di applicazione della CIGO. Esse sono le:

  1. Imprese manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas;
  2. Cooperative di produzione e lavoro che svolgano attività lavorative similari a quelle degli operai delle imprese industriali, fatta eccezione delle cooperative ex DPR n. 602/1970, per le quali l’art. 1 del DPR non prevede la contribuzione per la CIG;
  3. Imprese dell’industri boschiva, forestale e del tabacco;
  4. Cooperative agricole, zootecniche e dei loro consorzi che esercitano attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli propri per i soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato;
  5. Imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche;
  6. Imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi;
  7. Imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato;
  8. Imprese addette agli impianti telefonici ed elettrici;
  9. Imprese addette all’armamento ferroviario;
  10. Imprese industriali degli Enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica;
  11. Imprese industriali ed artigiane dell’edilizia e affini;
  12. Imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o escavazione di materiale lapideo;
  13. Imprese artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, con esclusione di quelle che svolgono talee attività di lavorazione in laboratori con strutture e organizzazione distinte dalle attività di escavazione.

Discorso diverso, invece, per le aziende che rientrano nel campo di applicazione della CIGS: qui occorre riferirsi all’art. 20 il quale afferma che la disciplina della CIGS ed i relativi obblighi contributivi si applicano ai datori di lavoro dei settori sotto elencati, che nel semestre antecedente la data di presentazione dell’istanza abbiano occupato mediamente più di quindici dipendenti (con arrotondamento, in caso di percentuale, per difetto o per eccesso, al numero inferiore o superiore), compresi i dirigenti e gli apprendisti. Esse sono:

  1. Le imprese industriali, comprese quelle edili ed affini;
  2. Le imprese artigiane che procedono alla sospensione in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente. Quest’ultimo viene valutato avendo quali parametri di riferimento gli importi delle fatture dei contratti per l’esecuzione di opere e servizi o produzioni di semilavorati oggetto dell’attività produttiva o commerciale del committente: nel biennio precedente la data di richiesta dell’intervento esso deve aver superato il 50% del complessivo fatturato dell’azienda destinataria delle commesse. Esso viene rilevato (comma 5) dall’elenco dei clienti e dei fornitori ex art. 21, comma 1, del D.L. n. 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 che concerne le comunicazioni telematiche all’Agenzia delle Entrate;
  3. Le imprese appaltatrici di sevizi mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
  4. Le imprese appaltatrici di servizi di pulizia, anche se costituite in forma cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione di attività dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
  5. Le imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del comparto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile;
  6. Le imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi;
  7. Le imprese di vigilanza;
  8. Le imprese cooperative ed i loro consorzi che trasformano e manipolano prodotti agricoli, atteso che il concetto di trasformazione comprende anche il concetto di manipolazione. Tale precisazione è contenuta nella circolare n. 30/2015, la quale ricorda che le imprese agricole ed i loro consorzi che commercializzano prodotti rientrano nel campo di applicazione dell’istituto, con la conseguenza che il relativo trattamento normativo si trova nell’art. 20, comma 2, lettera a (numero medio dei dipendenti, nel semestre precedente, superiore ai 50 dipendenti, compresi gli apprendisti ed i dirigenti).

L’INPS chiarisce che non rientrano nel campo di applicazione:

  1. i datori di lavoro che sono destinatari unicamente della CIGS come le imprese commerciali o le agenzie di viaggio con oltre 50 dipendenti;
  2. i partiti politici e le imprese del trasporto aereo a prescindere dalla forza occupazionale in organico.

La decorrenza dei trattamenti riguarda il periodo compreso tra il 1° luglio ed il 31 dicembre, nel limite di spesa che l’Istituto monitora, anche in via prospettica, di 163,7 milioni di euro. Fatta questa premessa l’INPS chiarisce un altro passaggio importante: i datori di lavoro che hanno terminato le precedenti 13 settimane, tutte autorizzate fino al 27 giugno, potranno far partire l’intervento dal giorno successivo, seguendo un recente indirizzo amministrativo che tiene in considerazione per il giorno di partenza la settimana in cui è prevista la possibilità di ricorrere alla CIGO. Invece, chi non le avrà terminate, le perde e, se necessario, potrà avere accesso dal 1° luglio alla CIGO ex art. 40, comma 3, senza il pagamento di alcun contributo addizionale. Le istanze delle aziende  che partono dal 28 giugno o dal successivo 1° luglio dovranno essere trasmesse alla sede dell’INPS competente per territorio entro il 31 agosto.

L’Istituto sottolinea che per quel che concerne la CIGO si rientra nel tradizionale alveo individuato dall’art. 11 del D.L.vo n. 148/2015, con la sola eccezione del mancato pagamento del contributo addizionale ex art. 5, mentre per la CIGS restano in vigore, oltre al non versamento del predetto contributo, le deroghe ai termini procedimentali individuati dagli articoli 24 e 25.

La circolare n. 125 ricorda che restano in vigore tutte le altre disposizioni che regolano l’accesso agli ammortizzatori ordinari e straordinari previsti dal predetto Decreto. In particolare, per la CIGO:

  1. L’informativa e la consultazione con le rappresentanze sindacali che riprendono le cadenze fissate dall’art. 14 e non più quelle ridotte, in termini temporali, in uso durante la pandemia;
  2. I periodi di integrazione rientrano nel computo previsto sia per il biennio che per il quinquennio mobile, con l’esclusione di quelli strettamente correlati all’emergenza epidemiologica del COVID-19;
  3. La necessità d una relazione tecnica dettagliata circa le cause alla base della richiesta integrativa, secondo le indicazioni fornite dell’Istituto come, ad esempio, con la circolare n. 139/2016;
  4. Le modalità di pagamento delle integrazioni anticipate dal datore di lavoro, fatto salvo il caso del pagamento diretto secondo la previsione dell’art. 7, il quale fissa in sei mesi il termine perentorio per poter procedere ad eventuali conguagli.

I commi 3 e 4 dell’art. 40 del D.L n. 73 sono strettamente correlati tra di loro: infatti, alle imprese che presentano istanza di integrazione salariale, sia ordinaria che straordinaria, restano preclusi per tutta la durata del trattamento fruito:

  1. L’iter delle procedure collettive di riduzione di personale ex articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 e resta sospeso anche quello, se ancora in corso, avviato dopo il 23 febbraio 2020;
  2. Il licenziamento per giustificato motivi economici ex art. 3 della legge n. 604/1966, indipendentemente dai requisiti dimensionali dell’azienda.

Il dettato normativo merita alcune puntualizzazioni.

Il Legislatore parla di “blocco” riferito ai “datori di lavoro”.

Ciò significa, a mio avviso, che la richiesta di integrazione salariale per una unità produttiva “blocca” la possibilità di licenziamenti individuali e collettivi all’azienda nel suo complesso e non soltanto nell’unità ove è stato richiesto il sostegno al reddito. Il periodo di sospensione o di riduzione di attività potrebbe essere più o meno lungo (ma non oltre il 31 dicembre p.v.) in relazione alla causale richiesta ex art. 11 o 21 e, di conseguenza, la stessa durata riguarda la sospensione delle procedure legate alla risoluzione dei rapporti per motivi economici, cosa che comprende anche il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966.

Se l’istanza è stata avanzata per CIGS restano, altresì, bloccati, in proporzione, nella provincia interessata, gli avviamenti obbligatori ex legge n. 68/1999.

Resta salva la possibilità di usufruire delle c.d. “esimenti” che sono state più volte ripetute nei provvedimenti che hanno “governato” la c.d. “Legislazione dell’emergenza del 2020 e del 2021” e che sono:

  1. Cambio di appalto con la riassunzione del personale da parte del datore di lavoro subentrante nel rispetto di un obbligo di legge (ad esempio, art. 50 del codice degli appalti), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o di un “codicillo” contenuto nel contratto di appalto o nel bando di gara;
  2. Licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, conseguenti anche alla messa in liquidazione della società, a meno che non si configuri una cessione totale o parziale dell’azienda, nel qual caso scatta la tutela dell’art. 2112 c.c. per ogni lavoratore interessato, con la conseguente illegittimità dei recessi;
  3. Accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono aggiungere la propria firma “ad abundantiam”), limitatamente ai lavoratori che aderiscono. Questi ultimi hanno diritto alla NASPI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con diverse note, tra cui la circolare n. 111/2020 (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato e assenso espresso dal singolo lavoratore richiedente l’indennità): l’Istituto si accontenta anche di un verbale sottoscritto anche da una sola sigla sindacale tra quelle individuate dal Legislatore. Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASPI nella misura ordinaria. Nell’accordo collettivo che va sottoscritto entro il periodo di scadenza del “blocco dei licenziamenti”, le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) quantificare le somme che saranno corrisposte a titolo di incentivo all’esodo il quale può essere diverso in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato anche attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, riguarda le imprese con un organico superiore alle 100 unità, come previsto dal D.L. n. 73. Nell’accordo, si può stabilire che i singoli atti di risoluzione siano firmati “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso la procedura telematica individuata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo collettivo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di personale (criterio delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure obbligatorie individuali ex art. 7 della legge n. 604/1966, innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro e che riguarda i lavoratori di dipendenti da aziende con un organico superiore alle 15 unità, assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015;
  4. Fallimento, nel caso in cui non vi sia una prosecuzione, anche parziale dell’attività, magari autorizzata dall’autorità giudiziaria. Nel caso di prosecuzione parziale, non possono essere oggetto di licenziamento i dipendenti addetti all’espletamento delle attività autorizzate.

Due parole, infine, per la CIGS attivabile fino al 31 dicembre, unicamente per le ipotesi di riorganizzazione e di crisi aziendale. L‘INPS, aspettando le indicazioni della Direzione degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro, oltre ad aver ribadito che non è dovuto alcun contributo addizionale, ha tenuto a ricordare che durante il periodo di trattamento, il TFR è a carico del datore e che, ferme restando le norme che regolano il recupero delle anticipazioni datoriali secondo la previsione dell’art. 7 del D.L.vo n. 148/2015, in caso di pagamento diretto, si atterrà alle indicazioni che saranno indicate dal singolo Decreto ministeriale di concessione.

 

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 326 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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