Collaborazione coordinata e continuativa dopo la riforma

Il D.L. di riordino dei contratti di lavoro e mansioni interviene prevedendo alcuni significativi cambiamenti sulla collaborazione coordinata e continuativa.

Collaborazione coordinata e continuativa dopo la riforma

collaborazioni-coordinate-e-continuativeL’analisi che segue riguarda quelle tipologie di lavoro autonomo, sviluppatesi oltre misura negli ultimi quindici anni e che sono state interessate da provvedimenti di riforma, sia pure parziale, attraverso più interventi. Ora, il Decreto Legislativo di riordino dei contratti di lavoro e delle mansioni, approvato, in via definitiva, dal Consiglio dei Ministri il giorno 11 giugno 2015 ed in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, interviene superando il contratto a progetto e prevedendo alcuni significativi cambiamenti sulla collaborazione coordinata e continuativa.

La riflessione che segue, pertanto, non potrà che soffermarsi su quanto detto dagli articoli 2, 51, 52, 53 e 54.

Art. 2: Collaborazioni organizzate dal committente

Già dal titolo della rubrica dell’articolo si capisce ove mira il Legislatore delegato: a partire dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro.

E’ stato adoperato il verbo “applicare”: ciò significa che rispetto alle collaborazioni che presentano quelle caratteristiche, pur se qualificate da un progetto, non c’è alcuna presunzione relativa da verificare (cosa che potrebbe portare a disquisizioni di natura giuridica e ad interpretazioni difformi), ma trova applicazione la normativa tipica del rapporto di lavoro subordinato, con tutti gli istituti normativi, retributivi e contributivi che da essa discendono: di conseguenza, appare chiaro comprendere quale sarà l’atteggiamento degli organi di vigilanza.

Ovviamente, la chiave di volta del comma 1, è rappresentata non tanto dalle caratteristiche della personalità e della continuità, sulle quali mi soffermerò quando parlerò dell’art. 409, n. 3, cpc che resta pienamente in vigore, quanto dal fatto (e ciò pare del tutto decisivo) che le modalità di esecuzione siano organizzate dal committente  anche per quel che concerne la tempistica ed il luogo di lavoro.

Quindi, non soltanto etero direzione ma etero organizzazione.

Obiettivo del Legislatore delegato appare quello di ricondurre nell’alveo della subordinazione tutte quelle collaborazioni, anche a progetto, che, per una serie di motivi, si sono sviluppate ai “confini della subordinazione” ed hanno attecchito, nel tempo, per un minor costo complessivo, per una maggiore flessibilità nella prestazione, e per un minor potere contrattuale del prestatore. Giustamente, se è il datore di lavoro a determinare i tempi ed il luogo di lavoro, la tutela normativa non può che essere quella del lavoro subordinato.

Una prima lettura del provvedimento, fatto salvo ciò che si dirà parlando dell’art. 409 cpc, porta ad una interpretazione della norma “stretta”: laddove vi è una organizzazione del lavoro, anche minima, secondo una tempistica fissata dallo stesso committente, si applica la normativa sul rapporto di lavoro subordinato: ovviamente, sarà, sempre, necessario distinguere la etero organizzazione da momenti di coordinamento in azienda, che sono tutt’altra cosa.

Cosa si potrebbe pensare per sfuggire alla stretta normativa sulla collaborazione coordinata e continuativa?

Probabilmente, negli schemi contrattuali venturi si porrà l’accento sul fatto che sarà lo stesso prestatore ad affermare che dipenderà soltanto dalla propria volontà fissare i tempi ed i momenti organizzativi anche sul luogo di lavoro: tutto questo, però, se salverà l’aspetto formale, non sarà decisivo nel momento in cui gli organi di vigilanza ed i giudici accertassero come, nella sostanza, le cose si siano realizzate in maniera ben diversa.

L’Esecutivo si preoccupa di salvare alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa che sono riportate al comma 2 che sono:

  1. quelle per le quali gli accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore. Qui, il pensiero corre al contratto collettivo dei lavoratori dei call-center, ma la disposizione non esclude altre forme di intervento in settori del tutto particolari. Il Legislatore delegato, riferendosi alle organizzazioni comparativamente più rappresentative ha parlato al singolare, usando (art. 51) la particella “da” al singolare, e non al plurale “dalle” come ha fatto altre volte;
  2. quelle prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali si rende necessaria l’iscrizione in albi professionali;
  3. quelle prestate dai componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
  4. quelle rese, a fini istituzionali, in favore delle società sportive dilettantistiche e delle associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, come individuati e disciplinati ex art. 90 della legge n. 289/2002;

Il comma 2 offre alle parti una ulteriore strada per “uscire” dalla stretta normativa: possono chiedere ad una commissione di certificazione istituita ex art. 76 del D.L.vo n. 276/2003 una certificazione del rapporto dalla quale si evinca che non sussistano le condizioni impedienti previste al comma 1. Nella attività di certificazione il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

La disposizione merita alcuni approfondimenti.

Essa appare, nello specifico, superflua, in quanto ripetitiva del principio generale contenuto nell’art. 75 del D.L.vo n. 276/2003, secondo il quale “le parti possono ottenere la certificazione dei contratti (e, quindi anche della collaborazione che è una tipologia contrattuale) in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro”.

collaborazioni-coordinate-e-continuativeL’attività di certificazione si basa su un iter istruttorio che vede coinvolti, a vario titolo, una serie di organi pubblici (Direzione territoriale del Lavoro, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate, ecc.) i quali possono esprimere le loro posizioni quandanche l’attività certificativa sia svolta da Università o dall’ordine provinciale dei consulenti del Lavoro. Ovviamente, la commissione  trae le proprie convinzioni anche dalle dichiarazioni delle parti e giunge alla decisione (con l’atto di certificazione o con quello di reiezione) sulla base di un autonomo convincimento.

Per quel che concerne, invece, l’assistenza del lavoratore, il Legislatore delegato ripete, pressoché pedissequamente, la frase relativa alla assistenza del lavoratore già adoperata nell’art. 7, comma 5, della legge n. 604/1966, come riformato dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012, in materia di tentativo obbligatorio di conciliazione nella procedura relativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da ciò si deduce che quando si parla ai fini dell’assistenza di “consulente del lavoro”, essa può essere esercitata soltanto dallo stesso e non dal professionista abilitato alla professione ex lege n. 12/1979: così si espresse, allora, il Ministero del Lavoro con la circolare n. 3/2013 che suscitò parecchie critiche da parte dell’Ordine dei Dottori e Ragionieri Commercialisti.

La certificazione è opponibile nei confronti di qualunque terzo, è sottoposta, prima dell’impugnativa giudiziale, al tentativo obbligatorio di conciliazione presso l’organismo che l’ha rilasciata, e conserva i propri effetti fino alla emanazione di una sentenza di primo grado che ne annulli gli effetti.

L’art. 2 termina con un ultimo comma, il 3, ove si ricorda che la riconduzione alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato non trova applicazione nelle Pubbliche Amministrazioni (art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001) fino al riordino dei contratti di lavoro flessibili del settore pubblico e, in ogni caso, a partire dal 1° gennaio 2017, è fatto divieto, a tutti i datori di lavoro pubblici, di stipulare contratti di collaborazione.

C’è una domanda alla quale è necessario rispondere, attesa l’abrogazione, operata dall’art. 52, degli articoli da 61 a 69 – bis del D.L.vo n. 276/2003: cosa ha voluto “tagliare” il Legislatore delegato?

La risposta è abbastanza semplice: si sono volute riportare nell’alveo della subordinazione una serie di collaborazioni, anche a progetto, nelle quali risulta fortemente condizionante la etero direzione ed organizzazione da parte del committente, rispetto alle quali gli orientamenti della magistratura sono stati nel decennio trascorso, pressoché unanimi.

Art. 52: Superamento del contratto a progetto

I contenuti di questo articolo vanno attentamente soppesati.

Vi si afferma che gli articoli da 61 a 69 –bis del D.L.vo n. 276/2003 vengono abrogati e restano in vigore unicamente per disciplinare i contratti in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento.

In un primo momento era previsto anche un comma 2, “sparito” nella versione definitiva, ove si affermava che “resta salvo quanto disposto dall’art. 409 cpc”.

I contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, non possono essere più instaurati, ma anche quelli che, per la loro tenuità, brevità o particolarità (ad esempio, le co.co.co. fino a 30 giorni  con un importo fino a 5.000 euro, o quelle rese nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, per un massimo di 240 ore annue, o le collaborazioni con i pensionati di vecchiaia) erano stati “esentati” dalla redazione di un progetto e che erano richiamati specificatamente dalle disposizioni abrogate. Allo stesso tempo vengono meno i requisiti specifici introdotti con l’art. 69 – bis dalla legge n. 92/2012 per la genuinità delle c.d. “partite IVA” (collaborazione con lo stesso committente per 8 mesi per 2 anni consecutivi, corrispettivo derivante dalle collaborazioni, riconducibile allo stesso centro di imputazione di interessi, pur se in favore di soggetti diversi, superiore all’80% nell’arco di due anni solari consecutivi, postazione fissa presso una delle sedi del committente) fatte salve le ipotesi di conoscenze teorico – tecniche di grado elevato o valore reddituale complessivo superiore ad una determinata soglia ( art. 69 – bis, comma 2, lettera b) o prestazioni professionali per le quali viene richiesta l’iscrizione in albi o registri professionali, individuati dal D.M. 20 dicembre 2012 (comma 3).

Quanto appena detto merita qualche fugace riflessione.

La cancellazione degli articoli da 61 a 69 –bis fa venir meno anche tutta una serie di diritti “minimi” strettamente correlati alle collaborazioni a progetto (v., ad esempio, l’art. 66).

Per quanto concerne i titolari di partita IVA, essendo venuti meno i requisiti generali cui si faceva cenno poco fa (tra l’altro, la riconduzione del rapporto a tempo indeterminato era, mediata dalla eventuale presenza di un progetto che trasformava il rapporto in collaborazione coordinata e continuativa, con gli oneri contributivi per 2/3 a carico del committente), la prestazione verrà ritenuta come subordinata in presenza delle prove tradizionali che concernono la mancanza di autonomia, l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare dell’imprenditore, l’uso dei mezzi di lavoro del datore, l’inserimento stabile all’interno di un processo produttivo, così come avviene, nel settore edile, a seguito di precisi chiarimenti del Ministero del Lavoro, finalizzati a combattere il fenomeno delle false partite IVA e dei falsi artigiani. In ogni caso l’abrogazione dell’art. 69-bis potrebbe portare alla instaurazione più libera di contratti di lavoro autonomo.

La seconda questione concerne i contatti a progetto in corso e ciò che si intende fare, visto il regime che si applicherà a partire dal 1° gennaio 2016.  Per quelli che rispondono, in pieno, ai criteri fissati dagli articoli 1 e seguenti del D.L.vo n. 276/2003 e che non sono caratterizzati da etero direzione ed etero organizzazione, non c’è problema: possono, tranquillamente, superare la data fatidica, se le parti non procedono ad una risoluzione consensuale, e continuare fino alla realizzazione del progetto. Per gli altri, per i quali c’è più di un dubbio legato alla sussistenza dei requisiti, il Legislatore delegato offre la possibilità di una “sanatoria stabilizzante” abbastanza favorevole (ferma restando l’opportunità della instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, con le agevolazioni previste dalla legge finanziaria, già nel corso del 2015).

Ma, detto, questo, quali tipi di collaborazione coordinata e continuativa potranno, legittimamente, essere stipulate?

L’art.. 409 cpc,  pur  “espunto” dall’art. 52, è una disposizione presente nel nostro ordinamento è, “in primis”, una norma di diritto processuale in quanto individua la competenza del giudice del lavoro per la cognizione di una serie di rapporti. Esso afferma che oltre ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale rientrano nella giurisdizione di quest’ultimo “altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. A tutto questo va aggiunta la piena permanenza nell’ordinamento dell’art. 2222 c.c. .

A mio avviso, sono finiti i contratti di collaborazione a progetto e ciò che ad essi è strettamente correlato con le norme successive all’art. 61 del D.L.vo n. 276/2003, ma restano possibili una pluralità di rapporti ove non c’è una aperta qualificazione degli stessi (Cass. n. 413/1999; Cass., n. 7625/1996; Cass., n. 6194/1990) ma solo l’esistenza di alcuni requisiti che riportano alla c.d. “parasubordinazione”, espressione non tipica, ma eterogenea, in virtù dello svolgimento di una prestazione continuativa, coordinata e prevalentemente personale i cui benefici si riverberano su un imprenditore ma che, alla luce della previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 1, debbono essere caratterizzati da etero direzione ed etero organizzazione.

Ma quando si può parlare di continuità della prestazione?

Anche qui soccorre la Suprema Corte (Cass. n. 9067/1990, Cass. n. 6298/1988) quando afferma che la prestazione non deve essere occasionale od istantanea, ma si deve protrarre in un arco temporale abbastanza lungo, implicante una reiterazione delle prestazioni ed un impegno costante a favore del committente (Cass., n. 5698/2002, Cass., 3485/2001). La continuità può risultare anche dalla ripetitività delle prestazioni, senza che essa debba, necessariamente, essere stabilita nel contratto. La non occasionalità sta a significare “non limitazione” ad una opera specifica e determinata ma a prestazioni che si svolgono lungo un determinato periodo, non essendo intesa in senso meramente cronologico, cosa che comporta un certo numero di prestazioni professionali in un determinato periodo di tempo (Cass., n. 5811/1984). La continuità può realizzarsi anche attraverso prestazioni istantanee funzionalmente correlate e destinate a soddisfare un interesse duraturo del committente (Cass., n. 2906/1976).

Alla luce del concetto appena espresso si può formulare una considerazione che riguarda, ad esempio, le c.d. “mini co.co.co.”e  le collaborazioni dei pensionati di vecchiaia. Ebbene, quelle che presentano la caratteristica della continuità e, soprattutto, non sono “etero dirette” ed “etero organizzate”, sono pienamente ammissibili .

Ma cosa significa coordinazione?

Anche qui è la Corte di Cassazione a dettare alcuni indirizzi.

Essa postula che l’attività sia strutturalmente e funzionalmente collegata alla organizzazione produttiva del committente (Cass., n. 3698/2002; Cass., n. 3485/2001; Cass., n. 9087/1990) e che le direttive imprenditoriali circa le prestazioni da svolgere vanno eseguite, pur essendo le stesse svolte sì in maniera coordinata, ma del tutto autonoma, con il potere del committente che è limitato a chiedere la prestazione dovuta, mancando il potere di determinazione unilaterale delle modalità di esecuzione della stessa, con una differenza di ordine qualitativo e non quantitativo tra il potere tipico del lavoro subordinato e quello di coordinamento del committente.

C’è, poi, il requisito della  personalità rispetto al quale si può sostenere che:

  1. esso deve essere prevalente rispetto agli altri fattori impiegati ai fini della realizzazione dell’obbligazione contrattuale, ma anche rispetto alla struttura della quale si avvale per raggiungere il risultato: struttura che non assume la veste di una organizzazione imprenditoriale, cosa che porterebbe a configurare un contratto di appalto con le caratteristiche individuate dall’art. 29 del D.L.vo n. 276/2003;
  2. esso si evince (e, quindi, ricade nell’ambito della para-subordinazione) anche in una molteplicità di incarichi espletati con l’impiego prevalente di attività personale non subordinata (Cass., n. 12681/2003);
  3. esso non può essere escluso nelle attività professionali che richiedono la collaborazione di personale dipendente (Cass., n. 1112/1987).

Art. 53: Stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partita IVA

Il testo è  stato oggetto tra la prima e la seconda approvazione del Consiglio dei Ministri di alcune modifiche che hanno tenuto conto delle perplessità espresse dalla Ragioneria Generale dello Stato in  sede di “bollinatura”.

Il comma 1 afferma che tutti i datori di lavoro privati, a partire dal 1° gennaio 2016 (il 20 febbraio, in sede di prima approvazione,  il periodo per la stabilizzazione era compreso tra la data di entrata in vigore del Decreto Legislativo di riordino dei contratti ed il 31 dicembre 2015) potranno assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato prestatori con i quali abbiano rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, o persone titolari di partite IVA a condizione che:

  1. i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano avanti alla commissione provinciale di conciliazione o in sede sindacale (articoli 410 e 411 cpc) o presso una sede di certificazione (art. 76 del D.L.vo n. 276/2003), un atto di conciliazione finalizzato a risolvere eventuali controversie di natura economica concernenti il pregresso rapporto di lavoro e relativa qualificazione. Non si tratta di una modalità nuova nel nostro ordinamento, atteso che, in passato, fu utilizzata per le stabilizzazioni delle collaborazioni attraverso la legge n. 296/2006 o per le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, secondo la previsione contenuta nell’art. 7 – bis della legge n. 99/2013;
  2. i datori di lavoro si impegnino, nei dodici mesi successivi alle assunzioni, a non risolvere i rapporti instaurati, se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: anche in queste ipotesi si tratta di previsioni già contenute (sia pure in un caso in termini leggermente diversi) nelle disposizioni legali citate al precedente punto a). E’ appena il caso di sottolineare come, in caso di recesso, trovi, “in toto”, applicazione il D.L.vo n. 23/2015.

Il vantaggio che i datori di lavoro trarranno dalla stabilizzazione (comma 2) appare notevole: senza pagamento di alcun contributo aggiuntivo a mo’ di sanatoria (come fu, invece, richiesto – ma la somma era abbastanza simbolica – in occasione della sanatoria per gli associati in partecipazione), con l’assunzione a tempo indeterminato vengono “cancellati” gli illeciti amministrativi, contributivi (che comprendono sia quelli previdenziali che quelli assicurativi) e fiscali connessi ad una eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro, a meno che gli stessi siano stati già accertati a seguito di ispezioni effettuate in data antecedente l’assunzione dagli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro, degli Istituti, della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate.

Una breve considerazione si rende necessaria.

La fissazione della stabilizzazione a partire dal 1° gennaio 2016 quando, dalla stessa data, trovano applicazione le norme sul lavoro subordinato, e non ad un periodo antecedente, come previsto nella prima stesura del provvedimento, se da un lato è la diretta conseguenza di un problema di mancata copertura finanziaria, dall’altro non consente ai datori di lavoro di usufruire dei vantaggi economici derivanti dall’esonero contributivo disciplinato dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014 (attualmente, limitati alle assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015), in sommatoria con “lo stop” alle sanzioni. Tutto questo, però, non significa che i datori di lavoro non possano stabilizzare nel corso del 2015 i soggetti titolari di partita IVA o i collaboratori (ma anche gli associati in partecipazione) che negli ultimi sei mesi non hanno avuto un rapporto a tempo indeterminato (requisito richiesto dal comma 118), “godendo” delle agevolazioni sopra indicate: resta, indubbiamente, il rischio che, nei limiti della prescrizione quinquennale, gli organi di vigilanza possano, con prove, ricondurre il precedente rapporto nell’alveo della subordinazione, con i conseguenti effetti sanzionatori e di recupero contributivo ma, anche, con l’annullamento delle agevolazioni ottenute, in quanto si evidenzierebbe la carenza del requisito dell’inesistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel semestre antecedente.

Una strada che si potrebbe percorrere, finalizzata a togliere qualche preoccupazione circa la qualificazione del precedente rapporto (ovviamente, non sempre praticabile per le qualità intrinseche del contratto di collaborazione a progetto in essere), potrebbe essere quella suggerita dall’art. 79, comma 2, del D.L.vo n. 276/2003 che tratta della efficacia giuridica della certificazione. Vi si afferma che “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono al momento di inizio del contratto, ove la commissione (istituita presso la DTL, le Università e le Fondazioni autorizzate, gli ordini provinciali dei consulenti del lavoro, ecc.) abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede”.

Quanto appena detto sta a significare che qualora con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa in corso, la commissione si convinca che anche, in passato, il rapporto si è svolto con le medesime modalità, l’atto certificatorio espleta i propri effetti anche per il periodo antecedente e i gli effetti permangono anche verso i terzi sino al momento in cui, con sentenza di merito, sia stato accolto uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili (art. 79, comma 1). Da ciò la diretta conseguenza sarebbe che, nel caso in cui la collaborazione stessa giunga a conclusione nel corso del 2015, il datore di lavoro potrebbe, con poche preoccupazioni rispetto alla qualificazione del precedente rapporto, procedere ad una assunzione a tempo indeterminato.

Art. 54: Superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro

L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro era già stata vista con estremo sfavore dal Legislatore degli ultimi anni: basti pensare alle disposizioni limitatrici contenute nella legge n. 92/2012 a cui seguirono, peraltro, opportunità di riconduzione a rapporto di lavoro subordinato particolarmente invitanti sotto l’aspetto dei costi (v. art. 7-bis della legge n. 99/2013) le quali, però, tranne un caso fortemente conosciuto a livello nazionale, non portarono a grossi risultati.

Ora, la previsione contenuta nell’art. 53 è particolarmente chiara: a partire dalla data di entrata in vigore della riforma non potranno più essere stipulati contratti di associazione con apporto di lavoro o misto: infatti, il nuovo art. 2549 c.c., prevede espressamente che “con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso un corrispettivo di un determinato apporto di capitale” e che “nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro”. A tutto questo va aggiunta l’abrogazione del successivo comma 3.

I contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro stipulati in data antecedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo, sono fatti salvi fino alla loro conclusione ma, in caso di controlli da parte degli organi di vigilanza, potranno essere ricondotti nell’alveo della subordinazione, qualora carenti degli elementi tipici previsti dal codice civile.

L’associazione in partecipazione tra imprese è fatta salva: ciò significa, ad esempio, che continua ad essere perfettamente legittima quella, abbastanza comune, tra una compagnia petrolifera ed una società che gestisce l’impianto di erogazione, essendo del tutto ininfluenti le tipologie contrattuali esistenti tra quest’ultima ed i propri dipendenti.

 

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 328 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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71 Commenti

  1. Rosario
    Marzo 08, 12:49

    Buongiorno Dott. Eufranio Massi
    avendo aderito all’articolo 4 della legge Fornero, dopo 40 anni e 2 mesi di servizio prestato nella stessa azienda, dall’i1/01/2015 sono in ISO pensione. Maturerò i requisiti INPS a settembre 2017.
    Ho ricevuto da una azienda una proposta di collaborazione continuativa come consulente tecnico operativo.
    Desidero sapere; come potere regolamentare questo rapporto lavorativo; come gestire rispetto alla mia posizione INPS;
    La sottoscrizione di un contratto di collaborazione cozza con la mia posizione di ISO pensionato.

    La ringrazio anticipatamente

    • Caro Rosario,
      lei iniziare una attività autonoma svolgendola in collaborazione secondo i principi fissati dall’art. 2 del decreto legislativo n. 81/2015, magari anche aprendo una posizione IVA.
      Per quel che riguarda la posizione INPS verifichi con l’Istituto se i suoi nuovi compensi andranno ad incidere sul “quantum” che andrà a percepire.
      Dott. Eufranio Massi

  2. Daniele
    Marzo 07, 13:41

    Buon giorno dott. Massi oggi ho ricevuto il rifiuto da parte dell’imps della domanda dis. Coll con la motivazione : lei era un associato in partecipazione, mi scusi ma anche con un contratto in partecipazione nn facciamo parte anche noi della gestione separata Imps?? Grazie

    • Caro Daniele,
      l’art. 15 del decreto legislativo n. 22/2015 che introduce la DISCOLL, afferma che la stessa si applica ai collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto, con esclusione dei componenti dei collegi sindacali e dei consigli di amministrazione, che abbiano involontariamente perso l’occupazione. La norma non si riferisce ad altri soggetti.
      Dott. Eufranio Massi

  3. teresa
    Febbraio 07, 17:22

    Gentile Dottore sto predisponendo un contratto di collaborazione per un ingegnere che collabora presso una azienda ma non in qualità di ingegnere pur avendo una partita iva. Ho deciso di procedere alla certificazione del medesimo contratto… tuttavia mi chiedo non essendo riconducibile all’art.2222 c.c cosa inserisco come riferimento normativo? VERO è CHE PUR NON ESSENDO LEGATO ALLA SUA ATTIVITà DI INGEGNERE è SEMPRE PROFESSIONALE ED INTELLETTUALE… Inoltre come si procede per la certificazione?
    Grazie mille

  4. Annarita
    Febbraio 03, 10:37

    Gentile Dott.Massi
    il socio di una snc che è anche amministratore ha dal 2007 un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la sua società svolgendo un’attività di ricerca della clientela recupero dei crediti in modo autonomo e senza orari. Chiedo se questo tipo di lavoro può continuare ad esistere visto che essendo un socio di maggioranza non può essere subordinato a se stesso e quindi come deve essere inquadrato il suo rapporto di lavoro. Puo’ continuare il suo lavoro coordinato o no? Grazie

  5. Buonasera Dott. Massi
    Sono titolare di partita iva da 14 anni svolgo la libera attività di disegnatore tecnico su contratto per le ditte clienti specializzato nello sviluppo di progetti o implementazioni di alcune particolari e specifiche tipologie di tipo tecnico, per una serie di motivi non mi e possibile l’iscrizione a un albo professionale.
    la natura del mio lavoro la sua prassi operativa mi impone in senso forzoso a prescindere dalla volontà delle parti lo svolgersi del lavoro presso il committente, spesso in modo continuativo per molti mesi e con l’utilizzo dei mezzi del committente stesso, mi spiego: in questo ambito tecnico il momento decisionale del committente non si manifesta mai in via preliminare in modo esauriente e compiuto, nella maniera tale da consentire il mio lavoro in sede distaccata (mio studio) ma e invece SEMPRE contestuale allo svolgersi del progetto stesso in altre parole esso (il momento decisionale) si definisce e risolve nelle decisioni che deve manifestare nel costante confronto con il procedere del progetto stesso, da cio si deduce la necessita del mio costante contatto con il committente, poi il progetto stesso deve assolutamente recepire tutti i condizionamenti operativi che derivano dalle potenzialità e limitazioni che ha l’area della ditta preposta alla realizzazione dello stesso il che obbliga il sottoscritto a un contatto costante anche con la stessa e il personale che vi lavora , ultimo aspetto la necessita di utilizzare i mezzi dell’azienda per la forzata esigenza di lavorare a livello informatico dentro il sistema (normalmente chiuso ad accessi esterni) della ditta stessa nella fattispecie per gli aspetti legati alla necessità’ di garantire standardizzazione e razionalizzazione dei particolari che si disegnano con quelli preesistenti e l’altro importante aspetto legato alla codifica degli stessi che vincola all’utilizzo in loco del gestionale aziendale, tutte queste cose comportano la necessita di una mia presenza continuativa e costante in ditta con orari (anche se decisi da me) simili a quelli degli altri dipendenti.
    Tutto questo per motivarLe come ci siano situazioni (e come la mia chissà quante altre) per le quali e necessario collaborare con il committente proprio con quelle modalità che adesso sono diventate i punti salienti della cosiddetta “presunzione assoluta”
    Praticamente io non vedo alcuna possibilità di proseguire la mia attività. sbaglio?

  6. Buongiorno, e per quel che riguarda i contratti di collaborazione stipulati tra prestatori e associazioni riferiti a progetti ben precisi magari in partnership con altri enti?possiamo ancora utilizzarli?
    Vi ringrazio in anticipo per la risposta.

    Saluti

    Dott.ssa Ilaria Pomponio

    • Gentile signora Ilaria,
      Se la collaborazione e’ esclusivamente personale non si potranno che rispettare i principi stabiliti nell’art. 2 del decreto legislativo n. 81/2015.
      Dott. Eufranio Massi

  7. Raimondo
    Dicembre 29, 20:22

    Salve, ho lavorato sempre con contratti a progetto per incarichi attribuitimi dal committente vincitore di gare d’appalto, il lavoro consiste nella catalogazione di un numero ben preciso di libri presso biblioteche pubbliche o private; nel contratto era espresso che non vi era vincolo di orario ma era fissato il luogo e i tempi in cui il lavoro doveva essere portato a termine. Nel mese di settembre il committente mi ha chiamato per un nuovo lavoro e mi ha proposto, dicendo che non avrebbe potuto stiplulare un nuovo contratto a progetto, una prestazione occasionale che non superava i 5000 € (la classica ritenuta d’acconto), ora nel 2016 ci sarà un nuovo incarico che supererà i 5000 €. Nel mio caso e per la tipologia di lavoro, le chiedo è possibile un co.co.co e qual’ è il regime giuridico previsto per questi contratti? Sono equiparati ora ai contratti subordinati riguardo ai diritti (assegni familiari, domande d’indennità di disoccupazione con gli stessi criteri dei subordinati, etc.) che ne seguiranno, una volta conclusi? Ritiene invece possibile stipulare propriamente un contratto subordinato a tempo determinato?
    Grazie in anticipo.

    • Caro Raimondo,
      Dalla descrizione sommaria della sua attività ricavo la sensazione che gli elementi del rapporto siano riconducibili nell’ambito della subordinazione che se di durata a tempo, configura un contratto a termine.
      Per quel che concerne una eventuale collaborazione, secondo la previsione contenuta nell’art. 2 del decreto legislativo n. 81/2015, essa dovrà avere le caratteristiche della personalità, della continuità, ed inoltre i tempi ed il luogo di lavoro non dovranno essere organizzati dal committente ma dal prestatore. Del resto, la filosofia del job act e’ quella di favorire il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ( con corpose agevolazioni) ma anche quello a termine che è stato reso senza causale e con un numero di proroghe pari a 5 in un arco temporale di 36 mesi.
      Per quel che riguarda le tutele previdenziali a breve, nel collegato lavoro che andrà alle Camere a gennaio, ci dovrebbero essere interessanti novità.
      Dott. Eufranio Massi

  8. Tiziana
    Dicembre 21, 09:05

    Buongiorno,

    con la presente sono gentilmente a richiedere delucidazioni in merito alle tempistiche e alle modalità da seguire per la stabilizzazione di un rapporto di co.co.co.
    Nel qual caso si prevedesse di cessare un rapporto di questo tipo in data 31.12.2015 per poi procedere ad un assunzione a tempo indeterminato per lo stesso, tale assunzione potrà essere effettuata precedentemente accordo sottoscritto avanti alla commissione provinciale di conciliazione o in sede sindacale o è possibile assumere l’ex co.co.co solo a seguito tale accordo? Ed eventualmente sono previsti termini entro i quali deve essere sottoscritto accordo e/o procedere con l’assunzione?

    Ringrazio anticipatamente per la disponibilità e attendo Suo cortese riscontro.

    • Cara Tiziana,
      Le rispondo sulla base di come la penso alla luce della normativa, in quanto il Ministero del Lavoro non ha, ad oggi, fornito alcuna delucidazione.
      La stabilizzazione è possibile dal 1° gennaio 2016.
      Ciò significa che prima va fatto, in sede protetta, l’accordo finalizzato a regolarizzare le pendenze economiche relative all’intercorso rapporto di collaborazione. Nello stesso accordo potrà essere inserito l’impegno del datore di lavoro che assume a tempo indeterminato a non procedere a licenziamento nei 12 mesi successivi se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
      Subito dopo si procede alla instaurazione del rapporto al quale sono legati i benefici della stabilizzazione relativa ad una erronea qualificazione del precedente rapporto (salvo che l’accertamento non vi sia già stato).
      Non ci sono termini dettati dal Legislatore
      Dott. Eufranio MAssi

      • Tiziana
        Gennaio 05, 09:33

        Grazie, gentilissimo.
        In merito a quanto sopra detto, Lei, quindi, pensa che spetti lo sgravio contributivo anche per questi rapporti stabilizzati a far data dal 01/01/2016?

        Grazie ancora,
        Tiziana

  9. Mario
    Dicembre 15, 11:54

    buongiorno Dott. Massi,
    non mi è chiara una cosa relativamente alle trasformazioni dei cocopro, in particolare, un contratto di cocopro stipulato a gennaio 2015 (e quindi prima della nuova normativa) con scadenza a febbraio 2017, deve essere necessariamente trasformato dal primo gennaio 2016 o può proseguire fino alla naturale scadenza?
    grazie
    Mario

    • Caro signor Mario,
      Le norme sui contratti a progetto sono state abrogate ma, quelli in essere, continuano ad esserne regolati, fino alla naturale scadenza (art. 52, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015).

      Dott. Eufranio Massi

  10. Natalia
    Novembre 25, 15:55

    SALVE!
    vado firmare ma non ho partita Iva , un contratto di collaborazione coordinata e continuativa di carattere non professionale in favore di società sportive : vorrei sapere : NON HA BISOGNO DI AVERE PARTITA IVA??

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