Il progetto di inserimento nel contratto di rioccupazione

Il progetto di inserimento rappresenta un punto centrale e non eliminabile del contratto di rioccupazione, previsto dall’art. 41 del D.L. n. 73 e convertito, con modificazioni, nella legge n. 106.

Il progetto di inserimento nel contratto di rioccupazione

Tra il 1 luglio ed il 31 ottobre p.v. i datori di lavoro privati, imprenditori e non imprenditori, possono utilizzare il contratto di rioccupazione previsto dall’art. 41 del D.L. n. 73 convertito, con modificazioni, nella legge n. 106, per il quale il Governo ha previsto, per sei mesi, uno sgravio contributivo sulla quota a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi INAIL e della c.d. “contribuzione minore”, il cui ammontare massimo, declinato dalla circolare Inps n. 115/2021, è pari ad un massimo di 6.000 euro l’anno, riparametrato su base mensile (ossia, 3.000 euro). Trascorsi sei mesi, a partire da quello successivo, il datore potrà fruire di altri benefici previsti dal nostro ordinamento da agevolazioni stabilite da altre norme in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi ( donne svantaggiate, disabili ex art. 13 della legge n. 68/1999, decontribuzione sud, ecc.)

Potenziali interessati sono tutti i lavoratori disoccupati che hanno fornito la propria disponibilità, anche in via telematica, per essere avviati al lavoro, secondo la previsione dell’art. 19 del D.L.vo n. 150/2015.

L’oggetto di questa breve riflessione è rappresentato dal progetto di inserimento che, secondo il dettato normativo, rappresenta un punto centrale e non eliminabile di tale tipologia contrattuale che, è bene ricordarlo, è a tempo indeterminato, sin dall’inizio, pur se con la modalità del part-time.

Esso, secondo la definizione del Legislatore, consiste nella redazione di un documento, sul quale va acquisito il consenso del lavoratore, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali ai contesto lavorativo. Il progetto di inserimento ha una durata di sei mesi e va sottoscritto prima della instaurazione effettiva del rapporto di lavoro.

La dizione della disposizione appare alquanto scarna, in quanto non specifica neanche i contenuti di “massima” per orientarsi nella redazione, la durata minima e non prevede alcun apparato sanzionatorio in caso di redazione incompleta del documento: la circolare n. 115 si limita a ripetere il dettato normativo e il Ministero del Lavoro che pure con la propria Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro e delle Relazioni Industriali sarebbe abilitato a fornire chiarimenti, non ha proferito alcun indirizzo, neanche attraverso delle mere FAQ.

Si tratta, in sostanza, di un piano che sembra “a tema libero” ma che, tuttavia, potrebbe creare una qualche difficoltà, soprattutto in caso di contenzioso.

Ma, esistono modelli a cui ci si possa riferire?

Il pensiero corre all’apprendistato professionalizzante ed al vecchio contratto di inserimento, abrogato, dal 1 gennaio 2013, dalla legge n. 92/2012.

Nella realtà si tratta di istituti diversi dai quali si può anche prendere ispirazione ma che hanno, almeno per quel che riguarda il primo, finalità diverse, in quanto l’apprendistato tende al conseguimento di una qualificazione professionale (art. 44 del D.L.vo n. 81/2015) attraverso un percorso che trae origine dal dettato del CCNL applicato e che  può durare fino a tre anni o a cinque per le imprese artigiane, mentre il piano di inserimento parla, in maniera nebulosa, di garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al nuovo contesto lavorativo. Per quel che riguarda, invece, il vecchio contratto di inserimento si può soltanto ricordare che riguardava anche i lavoratori disoccupati e che, anche a seguito dell’accordo interconfederale del 2004, era previsto un minimo di ore e di insegnamento di materie a contenuto generale.

Qui, come detto, ci troviamo di fronte ad un qualcosa di nuovo che costituisce elemento imprescindibile del contratto e che abilita il datore di lavoro alla fruizione dello sgravio contributivo semestrale: esso non inteso in senso burocratico e formale ma il progetto non potrà non indicare le modalità di inserimento, l’eventuale arricchimento delle competenze, l’addestramento specifico su determinati macchinari, le modalità di attuazione e di verifica, non dimenticando, in alcun modo, le informazioni sulla salute e sicurezza, nonché la prevenzione degli infortuni come richiesto dal D.L.vo n. 81/2008.

Ho detto, pocanzi, che non è un contratto di apprendistato di sei mesi: ciò significa che gli istituti ivi previsti non sono applicabili, come non trova spazio la figura del “tutor”.

Ma, perché è importante, sottoscrivere con il lavoratore un programma, abbastanza dettagliato, che va concordato e, soprattutto, verificato insieme per quel che riguarda il suo compimento?

Il pensiero corre alla possibilità, mutuata dal rapporto di apprendistato, di risolvere il rapporto di lavoro al termine dei sei mesi, esercitando il diritto di preavviso ex art. 2118 c.c. (ma se è il datore che pone fine al contratto, l’INPS è abilitata al recupero dello sgravio contributivo fruito). In questo caso potrebbe accadere che il lavoratore impugni il recesso basandosi sul fatto che il rapporto era a tempo indeterminato sin dall’inizio e che il progetto di inserimento, non svolto o svolto in maniera episodica e saltuaria, aveva una natura dissimulatoria finalizzata soltanto alla fruizione dello sgravio contributivo. È presumibile che il giudice, entrando nel merito, verifichi il contenuto dello stesso e, qualora, non lo ritenga congruo rispetto al dettato normativo, riqualifichi il rapporto come un normale contratto a tempo indeterminato, vanificando il recesso intimato sulla scorta della previsione del contratto di rioccupazione.

Due parole, a mio avviso, riferite all’attività di controllo degli organi di vigilanza e, in particolare, di quella degli Ispettori del Lavoro.

Ci troviamo di fronte ad una norma che non risulta coperta da alcuna sanzione e, di conseguenza, la prima domanda è la seguente:

Può essere applicato il potere di disposizione previsto dall’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004, che è di natura discrezionale, e che abilita l’Ispettore alla specifica procedura laddove risulti violata una disposizione di legge o di contratto collettivo non “coperta” da alcuna sanzione amministrativa o penale?

Ferme restando le indicazioni che dovessero pervenire dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ritengo che il potere di disposizione, seppur teoricamente possibile, non dovrebbe trovar applicazione per i seguenti motivi:

  1. Se l’accesso ispettivo è intervenuto nei sei mesi di agevolazione contributiva ed il programma di inserimento non è stato scritto o è stato scritto in maniera palesemente negligente, l’Ispettore dovrebbe ritenere il rapporto un “normale contratto a tempo indeterminato” e, di conseguenza, dovrebbe segnalare all’INPS quanto accertato, per i provvedimenti conseguenti;
  2. Se l’ispezione è avvenuta dopo il sesto mese (sia che il contratto con il dipendente continui o che sia cessato) ed il piano di inserimento presenta le caratteristiche negative sopra evidenziate, il contratto va considerato come un “normale contratto a tempo indeterminato” e la dovuta segnalazione all’Istituto andrà effettuata per il recupero del beneficio contributivo fruito.

Ovviamente, gli altri organi di vigilanza come, ad esempio, la Guardia di Finanza, che non sono titolari del potere di disposizione, dovrebbero segnalare, immediatamente, all’INPS l’irregolarità riscontrata.

 

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 345 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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