Contratto di rioccupazione: una nuova tipologia contrattuale

Tutti gli Esecutivi degli ultimi 30 anni hanno di fatto creato nuove tipologie contrattuali: l’ultimo “parto” è stato ribattezzato “contratto di rioccupazione”.

Contratto di rioccupazione: una nuova tipologia contrattuale

Tutti gli Esecutivi che si sono avvicendati nell’ultimo trentennio, allorquando si sono trovati ad affrontare le tematiche dell’occupazione non sono sfuggiti alla tentazione di creare nuove tipologie contrattuali e/o di pensare ad incentivi specifici: l’ultimo “parto” è avvenuto il 25 maggio 2021, attraverso l’art. 41 del D.L. n. 73, ed è stato ribattezzato “contratto di rioccupazione”.

Tale contratto, che non ha natura strutturale e che, salvo modifiche in corso di conversione, è destinato ad esaurire la propria operatività il 31 ottobre 2021, si aggiunge alle decine di agevolazioni esistenti: esso si somma ad una serie di situazioni che gli addetti ai lavori affrontano quotidianamente, destreggiandosi tra “paletti” e vie di applicazione, rese sempre più difficili anche per opinabili interpretazioni amministrative.

L’obiettivo che il Governo si pone con questo strumento (al momento mancano indicazioni amministrative sia del Dicastero del Lavoro che dell’INPS) è quello di favorire la rioccupazione di chi, già dipendente o lavoratore autonomo, ha perso il proprio posto di lavoro: con tale contratto si cerca di limitare gli effetti negativi che, prevedibilmente, si verificheranno allorquando il blocco dei licenziamenti per motivi economici verrà meno. Esso si affianca ad altre misure come, ad esempio, quelle che prevedono il contratto di espansione, con uscita agevolata verso il pensionamento, per alcuni lavoratori in possesso di una determinata anzianità contributiva, dipendenti da datori di lavoro che occupano almeno 100 dipendenti (art. 39), ulteriori disposizioni in materia di integrazione salariale e di esonero dal contributo addizionale, con proroga del blocco dei recessi per il periodo di integrazione fruito (art. 40) e decontribuzione nei settori degli stabilimenti termali, del turismo e del commercio (art. 40), con lo stop ai licenziamenti per motivi economici fino al prossimo 31 dicembre.

La struttura del contratto di rioccupazione ricalca quella di altri contratti passati e presenti del nostro ordinamento offrendo un “mix” di norme.

La struttura contrattuale

Il contratto di rioccupazione è di natura subordinata, a tempo indeterminato ed ha lo scopo di favorire l’occupazione dei lavoratori nella fase successiva al superamento della crisi da COVID-19: destinatari sono i soggetti, disoccupati, che hanno offerto la propria disponibilità ad essere inseriti nel mondo del lavoro secondo la previsione dell’art. 19 del D.L.vo n. 150/2015. Il contratto è stipulato in forma scritta, ai fini della prova.

Si tratta, come detto, di un contratto di rioccupazione: quindi, se le parole hanno un senso, esso riguarda non tutti i disoccupati (ci sono, infatti, anche quelli che non hanno mai avuto alcun rapporto ed hanno offerto la propria disponibilità) ma, soltanto, chi ha già lavorato, sia esso titolare o meno di un trattamento di NASPI o di DIS-COLL. Esso può essere, unicamente, a tempo pieno e indeterminato: sono dunque esclusi rapporti a tempo parziale disciplinati sia dal D.L.vo n. 81/2015 che dalla contrattazione collettiva. A mio avviso, restano esclusi anche i contratti di lavoro intermittente, a tempo indeterminato, in quanto, come sottolineato dall’INPS in più occasioni (v., da ultimo, la circolare n. 56/2021), ci si trova di fronte a prestazioni lavorative caratterizzate da episodicità e saltuarietà che non danno alcuna stabilità e che dipendono, unicamente, dalla “chiamata” del datore di lavoro.

Prima di entrare nel merito di altre considerazioni, ritengo tuttavia necessaria una breve focalizzazione: per gli “over 29” titolari di un trattamento di disoccupazione esiste già un contratto, quello di apprendistato professionalizzante, per una qualificazione o riqualificazione professionale (che è un contratto a tempo indeterminato che il datore, a differenza del professionalizzante relativo ai giovani,  non può risolvere al termine del periodo formativo esercitando la previsione contenuta nell’art. 2118 c.c.) e che per i potenziali datori di lavoro, a fronte di un piano formativo che segue le indicazioni del CCNL applicato presenta, indubbiamente, più vantaggi. Basti pensare:

  1. alla contribuzione “propria” dell’apprendistato, che non è da considerare ridotta come affermò il Ministero del Lavoro con la circolare n. 5/2008;
  2. alla possibilità (non obbligo) di retribuire il dipendente fino a due livelli in meno o in percentuale “a salire”, secondo il percorso di progressione indicato dalla contrattazione collettiva;
  3. ai vantaggi di natura normativa che consentono, ad esempio, di non computare nell’organico i lavoratori per tutta la durata della fase formativa e di non essere sottoposto, come nel caso del contratto di rioccupazione, ad ulteriori vincoli determinati anche dalla normativa comunitaria oltre che, come vedremo, dal Legislatore.

Il progetto individuale di inserimento di durata semestrale, concordato tra le parti, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali rappresenta un elemento cardine. Qui, chi ha scritto la disposizione ha ripreso, per la formazione, un’idea già presente nel vecchio contratto di inserimento, istituito dal D.L.vo n. 276/2003 ed abrogato dalla legge n. 92/2012 a partire dal 1° gennaio 2013, e rispetto al quale le parole relative al progetto di inserimento appaiono essere le stesse inserite nell’accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, propedeutico alla disciplina di tale ultima tipologia contrattuale.

Durante l’espletamento della fase formativa, ricorda il Legislatore, valgono le regole sul licenziamento illegittimo: quindi, piena applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 2 e 3 del D.L.vo n. 23/2015 che, a seconda della gravità delle violazioni, possono comportare la reintegra (ad esempio, in caso di licenziamento della donna nel “periodo protetto” o nell’ipotesi di un recesso determinato da un comportamento datoriale discriminatorio o ritorsivo) o la corresponsione di una indennità risarcitoria sul cui importo il giudice può integrare il criterio dell’anzianità aziendale con quelli previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966, seguendo le indicazioni fornite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018, che aveva dichiarato parzialmente incostituzionale il predetto articolo 3.

Entro quale data è possibile stipulare contratti di rioccupazione?

Il periodo va dal 26 maggio fino al 31 ottobre 2021: tale ultimo giorno va, a mio avviso, inteso alla luce di delucidazioni espresse in passato per altri istituti (v. INL n. 713 del 16 settembre 2020 in relazione alle deroghe per le proroghe ed i rinnovi concernenti i contratti a tempo determinato) come ultimo giorno utile per l’instaurazione del rapporto agevolato.

Se mi è permessa una considerazione, non posso che registrare una incongruenza tra l’obiettivo dell’art. 41 (“incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro… nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica”) e la data finale del periodo di applicazione del contratto di rioccupazione (31 ottobre 2021). Essa scaturisce dal fatto che il 1° novembre termina il blocco dei licenziamenti per motivi economici nelle aziende meno strutturate che fanno ricorso alla CIG in deroga (sono quelle che occupano fino a cinque dipendenti), all’assegno ordinario del FIS e dei Fondi bilaterali ed alla CISOA (l’integrazione salariale degli operai agricoli a tempo indeterminato), con un prevedibile aumento dei recessi. Ebbene, questi lavoratori non potranno beneficiare dei “vantaggi” del contratto di rioccupazione che, salvo “spostamenti in avanti” dell’ultimo giorno previsto, cesserà di esistere prima del loro licenziamento: è auspicabile che, in sede di conversione, si ponga rimedio a ciò che sembra una “svista” dell’estensore.

Il contratto di rioccupazione, ispirandosi a quanto si registra nell’apprendistato professionalizzante, offre la possibilità alle parti di risolvere il rapporto alla scadenza dei sei mesi, esercitando la previsione dell’art. 2118 c.c.: durante il preavviso continua ad applicarsi la medesima disciplina e, se nessuna recede dal rapporto, quest’ultimo continua a tempo indeterminato. Ovviamente, durante tutto il periodo di inserimento, trovano applicazione le regole relative al contratto a tempo indeterminato con applicazione integrale degli istituti previsti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva (periodo di prova, risultante da atto sottoscritto prima della instaurazione del rapporto, retribuzione relativa al livello di inquadramento, ferie, permessi, maternità, malattia, infortuni, orario di lavoro, apparato sanzionatorio, ecc.). Va, in ogni caso, sottolineato come nell’ipotesi in cui il datore receda dal contratto sia durante che al termine del periodo oggetto di sgravio contributivo, l’INPS (comma 8) sia autorizzato a recuperare l’incentivo riconosciuto.

Chi sono i datori di lavoro che possono stipulare i contratti di rioccupazione?

La norma  afferma, chiaramente, che titolati ad instaurare il rapporto potranno essere i datori di lavoro privati (quindi, imprenditori e non imprenditori), con esclusione di quelli dei settori agricolo e domestico (qui l’esclusione appare conseguente alla particolarità del primo ed al carattere fiduciario del secondo): probabilmente, dovrebbero rientrare nella casistica gli Enti Pubblici Economici (in passato, le circolari dell’Istituto ne hanno, in casi del tutto analoghi, fornito un’ampia elencazione), mentre potrebbero essere escluse, in analogia con precedenti determinazioni, le Banche e le Compagnie di Assicurazione, per le quali sussiste un ostacolo derivante dalla Commissione Europea in quanto, come imprese finanziarie, svolgono le attività indicate dalla classificazione NACE, settore K. Non rientrano, infine, tra i beneficiari le Pubbliche Amministrazioni individuate, principalmente, dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 e le c.d. “Authority”, come la Banca d’Italia, la Consob, ecc. .

Quali sono le agevolazioni previste in favore dei datori di lavoro?

Esse consistono in un esonero contributivo pari al 100% della contribuzione a carico del datore di lavoro per un massimo di sei mesi, nel limite di importo pari a 6.000 euro su base annua, riparametrato ed applicato su base mensile, ferma restando l’aliquota di compito delle prestazioni pensionistiche. Da tali somme sono esclusi sia i premi ed i contributi dovuti all’INAIL che la c.d. “contribuzione minore”, come ricordato dall’INPS più volte, in analoghe situazioni

Per quel che concerne la riparametrazione mensile dello sgravio (che è una disposizione amministrativa dell’INPS) occorrerà attendere le indicazioni dell’Istituto, che non potranno che rifarsi ai criteri indicati in svariate note precedenti come, ad esempio, nella circolare n. 133/2020.

L’erogazione delle agevolazioni resta sottoposta al rispetto sia dell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 che dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015. Ciò significa:

  1. Regolarità contributiva;
  2. Rispetto degli obblighi di legge ed assenza di sanzioni per gravi violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale (sono quelle riportate nell’allegato al D.M. sul DURC);
  3. Rispetto degli accordi e contratti collettivi sottoscritti delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e, se esistenti, territoriali od aziendali;
  4. Rispetto di obblighi preesistenti stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva (ad esempio, assunzione di personale nel settore delle pulizie dopo un cambio di appalto, secondo la previsione dell’art. 4 del CCNL multiservizi). Andrà chiarito, con circolare, come ha fatto la n. 56/2021 per le assunzioni ex legge n. 178/2020, se lo sgravio contributivo possa avvenire per una  assunzione a tempo indeterminato avvenuta in ottemperanza ad un diritto di precedenza espresso ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 o in esecuzione dell’art. 47 della legge n. 428/1990, laddove l’assunzione a tempo indeterminato riguardi personale che, a seguito di una cessione di azienda, non sia passato, immediatamente, alle dipendenza del cessionario;
  5. Rispetto di diritti di precedenza: lo sgravio contributivo non spetta se risultano violati diritti in essere in capo ai lavoratori come, ad esempio, quelli esternati per iscritto ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015, dopo la conclusione di un contratto a tempo determinato, o quelli in favore dei lavoratori licenziati previsto dall’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o quello ex art. 47 della legge n. 428/1990 in caso di cessione di azienda o ramo di essa in favore di chi non è transitato subito alle dipendenze del nuovo datore. Su questo punto, tuttavia, sarà opportuno attendere un chiarimento amministrativo dell’Istituto che, sulla scorta di quanto scritto nella circolare n, 56/2021, potrebbe ritenere come “speciale” tale beneficio e riconoscerlo a chi assume un lavoratore che si trova nelle condizioni stabilite dalla norma, aderendo positivamente ad un diritto di precedenza (ad esempio, assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore che dopo il contratto a termine lo ha esercitato);
  6. Rispetto dei lavoratori posti in integrazione salariale, a meno che l’assunzione non sia di livello diverso rispetto al lavoratore assunto con l’incentivazione o riguardi un’altra unità produttiva. Su questo punto, l’INPS sposa la tesi già espressa nella circolare n. 133/2020 (punto 5) e nella circolare n. 56/2021, per cui, nell’attuale emergenza occupazionale, l’ammortizzatore sociale COVID-19 è stato assimilato alle integrazioni salariali derivanti da “evento non oggettivamente evitabile” e questo non esclude possibilità di fruire dello sgravio contributivo legato a queste nuove assunzioni;
  7. Rispetto della disposizione che vieta l’assunzione di lavoratori licenziati nei sei mesi antecedenti da datori di lavoro in rapporti di collegamento o controllo o da aziende facenti capo alla stessa proprietà anche per interposta persona.

Ulteriori vincoli vengono previsti dall’art. 41 del D.L. n. 73

Laddove vengono esclusi dall’agevolazione i datori di lavoro che:

  1. Abbiano proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, nei sei mesi antecedenti l’assunzione, nella stessa unità produttiva: qui la disposizione parla di licenziamenti “tout court”, senza specificare un riferimento alle stesse mansioni o al livello (comma 6). Ovviamente, non rientrano nel “blocco” le dimissioni e le risoluzioni consensuali avvenute, magari, a seguito di accordi collettivi stipulati, da ultimo, secondo le indicazioni fornite dal D.L. n. 41/2011 convertito con modificazioni nella legge n. 69, ma anche i licenziamenti dovuti a giusta causa o giustificato motivo soggettivo (ad esempio, recesso disciplinare) e riconfermate nel “corpus” del D.L. n. 73/2021;
  2. Abbiano proceduto, sempre nel semestre antecedente e sempre con riferimento alla unità produttiva a licenziamenti collettivi secondo la previsione contenuta nella legge n. 223/1991. Anche in questo caso valgono le notazioni appena espresse sub a), relativamente al fatto che tali recessi hanno una natura economica;
  3. Abbiano intimato il licenziamento del lavoratore (comma 7) durante o al termine del periodo di inserimento: tale fatto comporta la revoca ed il seguente recupero dei benefici già fruiti, sia pure in modo parziale;
  4. Abbiano proceduto nei sei mesi successivi all’assunzione di lavoratori con contratto di rioccupazione, al licenziamento individuale o collettivo di dipendenti, occupati nella stessa unità produttiva, inquadrati nello stesso livello della categoria legale di inquadramento: anche qui, revoca dello sgravo e recupero del fruito (comma 7).

Come ben si può comprendere dalla conoscenza di disposizioni precedenti, si tratta di vincoli che sono già presenti nel nostro ordinamento come, da ultimo, nelle assunzioni degli “under36” previste dalla legge n. 178/2020 (art. 1, comma 12).

L’art. 41 continua, poi, con due sottolineature importanti: la prima riguarda la revoca dell’esonero nei confronti del datore di lavoro inottemperante che non ha effetti ai fini del godimento per il  periodo residuo in favore di altri datori che assumono con il contratto di rioccupazione (ciò significa che resta confermato il principio  del “godimento residuo” alla base di altre agevolazioni già previste nel nostro ordinamento come, ad esempio, l’esonero triennale già previsto dalla legge n. 190/2015 o, da ultimo, la circolare n. 56/2021).

La seconda riguarda le dimissioni del lavoratore: esse non incidono sul beneficio in favore del datore che viene, comunque, riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto. La norma parla, unicamente, di dimissioni mentre non dice nulla circa l’ipotesi della risoluzione consensuale. Se posso esprimere una sensazione, ritengo che il beneficio possa essere oggetto di revoca, stante la presenza di una volontà datoriale, seppure analoga a quella del dipendente, finalizzata alla conclusione “ante tempus” del contratto: è questo un punto delicato sul quale mi sembra doveroso attendere lumi da chi è destinato a fornirli (Ministero del Lavoro o INPS).

Ovviamente, le dimissioni del lavoratore vanno presentate, unicamente con le modalità telematiche previste dal D.M. applicativo dell’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015, con le sole eccezioni, ammesse in via amministrativa, dal Ministero del Lavoro che riguardano quelle della donna nel periodo “protetto”, del padre e della madre entro i tre anni dalla nascita del bambino o quelle rese in “sede protetta” a seguito di accordo conciliativo ex art. 410 e 411 cpc.

Altra notazione importante riguarda la cumulabilità dell’incentivo: essa, per il periodo di durata del rapporto dopo il semestre agevolato, è consentita calcolando gli esoneri contributivi indicati dalla legislazione vigente per altre agevolazioni (e qui, occorre far riferimento a ciò che affermano le disposizioni ai singoli benefici richiamati), fermo restando che in caso di cessazione del rapporto al termine del semestre, lo sgravio contributivo viene recuperato.

La piena operatività della disposizione è soggetta all’autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione.

Sulla scorta della crisi pandemica in corso in tutta Europa, fino al prossimo 31 dicembre, vengono riconosciuti come compatibili con le norme comunitarie gli Aiuti di Stato che:

  1. Siano di importo non superiore a 1.800.000 euro per impresa (valutata anche come “impresa unica”, secondo i canoni previsti dal Regolamento UE n. 1407/2013), al lordo di qualsiasi imposta od altro onere, o non superiore a 270.000 euro nei settori della pesca e dell’acquacoltura;
  2. Siano concessi ad imprese che non fossero già in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019. La identificazione di tali imprese deve avvenire nel rispetto della previsione contenuta al punto 18 dell’art. 2 del Regolamento n. 651/2014 che ipotizza varie ipotesi;
  3. Siano concessi a micro-imprese (con un organico fino a 9 unità e con un fatturato o bilancio uguale o inferiore a 2 milioni di euro) o piccole imprese (aziende con meno di 50 dipendenti e con un fatturato o bilancio non superiore a 10 milioni di euro) che, pur in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019, non sono soggette a procedure concorsuali per insolvenza e che non hanno ricevuto aiuti per il salvataggio o la ristrutturazione.

L’INPS provvederà, come al solito, a registrare l’importo dell’agevolazione sul Registro Nazionale per gli Aiuti di Stato.

 

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Eufranio Massi
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E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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