Accordo per la transizione occupazionale

È questo uno strumento che è a disposizione degli operatori pubblici per cercare di risolvere i problemi occupazionali di quelle imprese che si trovano in crisi e che hanno già utilizzato tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione

Accordo per la transizione occupazionale

Molti di coloro che mi seguono, settimanalmente, su questo blog, leggendo il titolo dell’argomento, si chiederanno, da subito, di cosa si tratta.

È questo uno strumento che è, innanzitutto, a disposizione degli operatori pubblici (“in primis” Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo Economico, Regioni, ecc.) per cercare di risolvere i problemi occupazionali di quelle imprese che si trovano in crisi e che hanno già utilizzato tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione: previsto dall’art. 22-ter del D.L.vo n. 148/2015, è stato introdotto, nel testo originario, dalla legge n. 234/2021.

Propedeutico all’accordo è il procedimento di informazione e di consultazione sindacale (ma, in questo caso, con l’obbligo di accordo) che viene regolamentato dall’art. 24 per le riorganizzazioni aziendali anche per realizzare processi di transizione, come recita l’art. 21, e per le crisi aziendali.

Qui, come accennato pocanzi, la procedura si deve concludere con un accordo, atteso che per facilitare le transizioni occupazionali, alle imprese che hanno raggiunto il “plafond” delle integrazioni salariali ordinarie e straordinarie e che occupino almeno 16 dipendenti può essere concesso, in deroga agli articoli 4 e 22, un ulteriore intervento di CIGS finalizzato al recupero occupazionale per un periodo massimo di 12 mesi, non prorogabili. In questo caso l’accordo sindacale deve, esplicitamente, definire le azioni finalizzate sia alla rioccupazione che all’autoimpiego, con il ricorso anche ai Fondi interprofessionali per quel che riguarda la formazione e la riqualificazione professionale.

I lavoratori debbono, obbligatoriamente, partecipare ai corsi e la mancata partecipazione, ascrivibile alla responsabilità esclusiva del lavoratore, comporta la decadenza dalla prestazione di integrazione salariale (qui si tratterà di individuare, in via amministrativa, chi deve accertare l’assenza e, soprattutto, chi dovrà decidere circa la decadenza dalla fruizione – probabilmente, l’INPS-).

Anche le Regioni possono avere un ruolo attivo in tale accordo (cosa che, indubbiamente, presenta una logica in quanto la crisi di molte aziende si riflette negativamente nel contesto dei vari territori interessati): infatti, le azioni promozionali dell’accordo, finalizzate all’auto impiego, alla rioccupazione, alla formazione ed alla riqualificazione professionale possono essere oggetto di cofinanziamento nell’ambito delle misure che, normalmente, vengono erogate dal servizio delle politiche attive sul lavoro.

I dipendenti che fruiscono della integrazione salariale “ulteriore” vengono inseriti nel programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) disciplinato dall’art. 1, comma 324, della legge n. 178/2020.

L’accordo appena descritto può avere riflessi positivi per l’occupazione dei lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria anche per chi è intenzionato ad assumerli.

Infatti, i commi da 243 a 248 dell’art. 1 della legge n. 234/2021 prevedono due possibilità di assunzione agevolata: quella a tempo indeterminato (anche a tempo parziale) e quella, pur sempre a tempo indeterminato, ma attraverso l’apprendistato professionalizzante (art. 47, comma 4 del D.L.vo n. 81/2015), oggi in vigore per i soggetti “over 29” titolari di un trattamento di NASPI.

Quindi, la prima cosa da sottolineare, riguarda una constatazione di carattere generale: le agevolazioni non sono state pensate, indistintamente, tutti i lavoratori in CIGS ma soltanto per quelli che fruiscono dell’ammortizzatore a seguito di accordo di transizione occupazionale.

Ma quale è il beneficio che può ottenere il datore di lavoro che assume a tempo indeterminato un lavoratore a seguito dell’accordo di transizione?

L’incentivo è pari al 50%, per ogni mese e per un massimo di dodici, dell’ammontare del trattamento straordinario di CIGS che sarebbe stato corrisposto al lavoratore: da quanto scaturisce dal testo, si comprende che il beneficio, è strettamente correlato al trattamento di CIGS.

A questo punto, pare opportuno chiedersi quanto tale agevolazione sia appetibile in considerazione del fatto che il trattamento massimo di CIGS previsto per il 2022 reso noto dalla circolare INPS n. 26 del 16 febbraio u.s. è pari a 1222,51 euro lordi. Se l’assunzione avviene al termine o quasi del periodo di godimento, essendo l’agevolazione pari al 50% della somma, esso sarà di poco ristoro e, quindi, meno appetibile di quello scaturente attraverso l’assunzione con contratto professionalizzante. Infatti, l’incentivo è strettamente correlato anche ad alcuni adempimenti normativi senza i quali lo stesso non viene riconosciuto.

Cominciamo dal primo.

Il beneficio sarà strettamente correlato al rispetto dell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 (regolarità contributiva, assenza di violazione di relative a violazioni di norme in materia di lavoro, salute e sicurezza, elencate nell’Allegato al Decreto Ministeriale sul DURC, rispetto del trattamento economico e normativo del CCNL di settore sottoscritto dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale) e dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015.

Il Legislatore, inoltre, pone altri vincoli che riprendono, letteralmente, condizioni già presenti in altri provvedimenti incentivanti.

Il comma 244 dell’art. 1 prevede che l’agevolazione non sia riconosciuta a chi nei sei mesi antecedenti l’assunzione abbiano effettuato licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o licenziamenti collettivi secondo la procedura prevista dalla legge n. 223/1991 nella stessa unità produttiva. Il dettato letterale della disposizione contempla un “blocco generalizzato” nel senso che i benefici non vengono riconosciuti (fatti salvi gli eventuali chiarimenti amministrativi successivi) pur se il lavoratore o i lavoratori oggetto di recesso avevano un livello e una categoria diversa rispetto a quella di inquadramento del nuovo dipendente.

Il comma 245 prevede che il licenziamento del lavoratore assunto con il beneficio o il licenziamento individuale o collettivo per giustificato motivo oggettivo di un altro dipendente impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con gli stessi livelli e categoria legale di inquadramento, effettuato nei sei mesi successivi, comporti sia la revoca del beneficio che la restituzione di quanto già fruito. La revoca del contributo, ai fini del computo del periodo utile alla fruizione residua, non ha effetti nei confronti di altri datori che assumono il lavoratore. Nel caso in cui il rapporto si estingua per dimissioni del lavoratore, il beneficio viene riconosciuto per la durata effettiva pur se le dimissioni sono intervenute nel semestre preso in osservazione.

Con il successivo comma il Legislatore mostra di agevolare i lavoratori in CIGS che si costituiscono in cooperativa: in questo caso, il beneficio è riconosciuto ai singoli soggetti pro quota in relazione ai mesi ancora da fruire.

Gli incentivi che sono stati, sinteticamente, esaminati non sono, però, immediatamente operativi. Infatti la piena agibilità è condizionata alla successiva autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione.

Passo, ora, ad esaminare la possibilità di assunzione con il contratto di apprendistato professionalizzante.

Il comma 248 afferma che è possibile attivare il contratto di apprendistato professionalizzante ex art. 47, comma 4, del D.L.vo n. 81/2015.

Qui, non c’è alcun bisogno di attendere l’autorizzazione di Bruxelles e la possibilità di assunzione è strettamente legata alla sottoscrizione di un accordo di transizione occupazionale con la conseguente ammissione dei lavoratori interessati alla c.d. “CIGS ulteriore”. Il contratto di apprendistato deve tendere ad una qualificazione o riqualificazione professionale secondo un piano formativo ben definito, ha una durata che, al massimo, può raggiungere i 36 mesi ed i 60 per i profili caratterizzanti la figura dell’artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento (art. 44, comma 2).

Il datore di lavoro non può recedere al termine del periodo formativo, in quanto la previsione dell’art. 2118 c.c., possibile per i giovani, non lo è per tale tipologia contrattuale. Per quel che concerne, invece, la possibilità di licenziamento valgono le regole contenute nel D.L.vo n. 23/2015, come modificato dalle sentenze della Corte Costituzionale emanate negli ultimi anni. Ovviamente (art. 47, comma 7), la contribuzione di favore finisce al termine del periodo formativo non essendo prevista la contribuzione ridotta (10%) nei dodici mesi successivi al termine dello stesso.

I vantaggi per il datore di lavoro sono di natura contributiva, di natura economica e di natura normativa.

I datori di lavoro usufruiscono, in via generale, di una contribuzione a loro carico, per tutta la durata dell’apprendistato, pari al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Per i datori di lavoro, invece, che occupano un numero di addetti pari od inferiore a nove (il numero va verificato all’atto dell’assunzione e il beneficio resta pur se l’azienda cresce) l’aliquota complessiva a loro carico è ridotta per i primi due anni rispettivamente all’1,5% ed al 3%, restando fermo il livello del 10% per i periodi contributivi maturati dopo il secondo anno.

Sulla scorta della previsione contenuta nell’art. 2, comma 36, della legge n. 92/2012 la contribuzione di riferimento è maggiorata, dal 1° gennaio 2013, dell’1,31% a cui si aggiunge lo 0,30% previsto dalla legge n. 845/1978 per la formazione dei fondi interprofessionali.

Il riferimento ai nove dipendenti fa sì che, ai fini del computo debbano essere compresi (circolare INPS n. 22/2007):

  1. I dirigenti;
  2. Gli assunti con contratto a tempo indeterminato;
  3. Gli assunti con contratto a tempo determinato, computati secondo la previsione contenuta nell’art. 27 del D.L.vo n. 81/2015;
  4. I lavoranti a domicilio;
  5. I lavoratori a tempo parziale, in proporzione all’orario svolto (art. 9 del D.L.vo n. 81/2015);
  6. I lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto (malattia, maternità, ecc.) se non sono stati computati i loro sostituti;
  7. I lavoratori intermittenti computati nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente prestato nell’arco di ciascun semestre (art. 18 del D.L.vo n. 81/2015);

Sono esclusi dal computo numerico:

  1. Gli apprendisti in forza al momento dell’assunzione, per effetto dell’art. 47, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015;
  2. I lavoratori somministrati inviati dalle Agenzie del Lavoro;
  3. I lavoratori assunti dopo essere stati addetti a lavori socialmente utili o di pubblica utilità, come previsto dall’art. 7 del D.L.vo n. 81/2000;

Per la contribuzione relativa ai rapporti di apprendistato non viene richiesto, ciò che, in via generale, occorre rispettare tutte le volte che si è in presenza di uno sgravio contributivo: il rispetto del comma 1175 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 e dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015. Infatti la c.d. “sotto contribuzione” non è una agevolazione ma una “contribuzione propria” finalizzata, per scelta legislativa, a favorire l’occupazione giovanile, come ricorda la circolare n. 5/2008 del Ministero del Lavoro.

Anche il lavoratore assunto con tale tipologia contrattuale a seguito di accordo di transizione occupazionale che ha portato alla CIGS, può essere retribuito per tutta la durata del periodo formativo anche con due livelli stipendiali inferiori a quello finale. C’è da osservare, tuttavia, come alcuni contratti collettivi abbiano previsto un percorso di avvicinamento al livello massimo, attraverso scatti intermedi (magari di un livello a “metà percorso”) o, in altri casi, soprattutto per le qualifiche a più basso contenuto professionale, l’abbassamento di un solo livello.

In alternativa, la contrattazione collettiva può stabilire, nel rispetto dell’anzianità di servizio, una forma retributiva “percentualizzata” rispetto al trattamento economico finale e progressiva nell’ammontare, secondo un “modus” già presente, da tempo, in alcuni contratti collettivi.

Gli assunti con contratto di apprendistato non rientrano (per tutta la durata della tipologia) nella base di calcolo per l’applicazione di particolari istituti previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva: ciò appare di estrema importanza per quelle imprese che, per i propri limiti dimensionali, sono soggette agli obblighi scaturenti dal rispetto della legge n. 68/1999.

Da ultimo, mi sembra opportuno ricordare come, anche in questo caso, trovi applicazione l’art. 2, comma 4, del D.L.vo n. 148/2015 che prevede che i periodi di integrazione salariale fruiti durante il periodo formativo debbano essere recuperati.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 345 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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