L’obbligo per i piccoli datori di lavoro della copertura delle integrazioni salariali attraverso i fondi

Tra gli effetti non secondari della riforma degli ammortizzatori sociali avvenuta con la legge n. 234/2021 ci sono le integrazioni salariali che riguardano, direttamente, i piccoli e piccolissimi datori di lavoro ed i loro dipendenti

L’obbligo per i piccoli datori di lavoro della copertura delle integrazioni salariali attraverso i fondi

Tra gli effetti non secondari della riforma degli ammortizzatori sociali avvenuta con la legge n. 234/2021 ci sono le integrazioni salariali che riguardano, direttamente, i piccoli e piccolissimi datori di lavoro ed i loro dipendenti: non più “scopertura” per le misure di sostegno del reddito (si pensi, ad esempio, alle aziende con un organico fino a 5 unità dei settori del commercio e dei pubblici esercizi), ma copertura attraverso la creazione di Fondi bilaterali o, in alternativa, fino alla loro istituzione, attraverso il FIS.

Vale la pena di sottolineare come, durante la crisi pandemica da COVID-19, tali imprese, nella maggior parte dei casi, hanno fruito di “integrazione salariale in deroga”, con la sostanziale riesumazione da parte dello Stato e con costi a totale carico di quest’ultimo, di un istituto, quello della “cassa in deroga” destinato ad essere cancellato dal nostro ordinamento.

Il D.L.vo n. 148/2015 è stato, ampiamente, riformato e, per quel che concerne l’argomento oggetto di questa breve riflessione, le maggiori novità sono inserite a partire dall’art. 26 in poi.

Ma, andiamo con ordine.

Il comma 1-bis dell’art. 26 stabilisce che, a partire dal 1° gennaio 2022, fatta eccezione per i Fondi già costituiti (articoli 26, 27 e 40) che, se necessario, sono tenuti ad adeguarsi, entro il prossimo 31 dicembre, alle previsioni del comma 1-bis dell’art. 30 (sul quale mi soffermerò più avanti), le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale sono tenute a stipulare accordi o contratti collettivi, anche intersettoriali, con l’obiettivo di costituire Fondi di solidarietà bilaterali per i datori di lavoro che non rientrano nella casistica individuata dall’art. 10 (che è quello in cui sono individuati i datori destinatari dell’intervento di CIGO e della relativa contribuzione). Se ciò non dovesse avvenire i datori di lavoro dei settori interessati confluiscono nel FIS (art. 29) ove vengono trasferiti gli eventuali contributi già versati o, comunque, dovuti.

Il successivo comma 9 statuisce che i Fondi, per i periodi di sospensione o di riduzione di orario, debbono “coprire” anche i datori di lavoro che occupano un solo dipendente. L’adesione, sia pure temporanea (in attesa della costituzione del Fondo di settore o della adesione a quelli previsti dagli articoli 26, 27 e 40 – quest’ultimo riguarda le Province Autonome di Trento e Bolzano-) al FIS viene ben determinata, a partire dal 1° gennaio scorso, dal comma 2-bis dell’art. 29.

Ma, quale è la “durata complessiva” della integrazione salariale?

La risposta la fornisce il comma 3-bis dell’art. 29 il quale afferma che l’assegno di integrazione salariale previsto dal comma 1 dell’art. 30 è di:

  1. Di tredici settimane in un biennio mobile, in favore dei dipendenti da datori di lavoro che, mediamente, occupano fino a 5 dipendenti;
  2. Di ventisei settimane in un biennio mobile, in favore dei dipendenti da imprese che, mediamente, occupano più di 6 dipendenti.

Sarà, sicuramente, l’INPS a dettare i propri chiarimenti amministrativi ma, ritengo che, ai fini del calcolo della media, saranno ripresi i criteri in uso nelle integrazioni salariali straordinarie che, a sua volta, si rifanno ai principi già fissati, a suo tempo, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991 con un riferimento ai sei mesi antecedenti la richiesta di integrazione.

Particolarmente importante è, inoltre, ciò che viene stabilito nel comma 1-bis dell’art. 30: l’ammontare dell’assegno di integrazione salariale ha un massimale di importo pari a quello previsto, in via ordinaria, per le altre integrazioni ordinarie, straordinarie e di solidarietà, indicato dal comma 3-bis dell’art. 3 (ossia, il c.d. “massimale della lettera b”), rivalutato, annualmente, nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e impiegati.

Ma, quale è l’aliquota di Finanziamento del FIS, atteso che per quelle specifiche dei Fondi bilaterali saranno questi ultimi a declinarla?

La norma prevede:

  1. Che l’aliquota di finanziamento del FIS sia fissata allo 0,50% per i datori di lavoro dimensionati, come media del semestre antecedente la data di presentazione della domanda, fino a 5 dipendenti: essa sale allo 0,80% per quelle con un organico superiore, con la possibilità (a partire dal 1° gennaio 2025) per le piccolissime aziende (fino a 5 dipendenti) di un abbassamento dell’aliquota nella misura del 40% se per 24 mesi non ricorreranno ad alcun ammortizzatore. In ogni caso, per effetto del comma 219 dell’art. 1 della legge n. 234/2021, per il solo anno 2022 le aliquote del FIS risultano ridotte e modulate in relazione al numero dei lavoratori occupati nell’impresa nel semestre precedente. Esso è dello 0,15% per i datori dimensionati fino a 5 dipendenti, dello 0,55% se i lavoratori sono compresi tra i 6 ed i 15, 0,69% se l’organico è superiore alle 15 unità. Le imprese esercenti le attività commerciali, logistica, viaggio e turismo, operatori turistici che occupano più di 50 dipendenti pagano lo 0,24%;
  2. Che il contributo addizionale dovuto per le integrazioni salariali del FIS sia pari al 4% della retribuzione persa.

A partire dal 1° gennaio 2022, non viene più erogato l’assegno di solidarietà.

Altra cosa importante che riguarda le aziende che rientrano nella disciplina dei Fondi prevista dagli artico 26, 27 e 40: a partire dal 1° gennaio 2022, la regolarità del versamento dell’aliquota ordinaria ai predetti Fondi è condizione per il rilascio del DURC.

Due parole, infine, su alcune novità, inserite nel Capo I del D.L.vo n. 148/2015 che, presentando un carattere generale, riguardano anche le aziende che, per le integrazioni salariali, hanno come riferimento i Fondi bilaterali, quelli territoriali ed il FIS e che riguardano l’anzianità nell’unità produttiva, il campo di applicazione, gli apprendisti, il massimale di integrazione salariale e la compatibilità tra integrazione salariale e prestazione lavorativa:

  1. Anzianità nell’unità produttiva: 30 giorni di lavoro effettivo, ad eccezione dei trattamenti ordinari di integrazione salariale per eventi non oggettivamente evitabili: ovviamente, nel computo vanno comprese le ferie, le malattie, gli infortuni sul lavoro e l’assenza obbligatoria per maternità. Negli appalti, ai fini del raggiungimento del limite, se necessario, va calcolato anche il periodo trascorso, nell’attività appaltata, alle dipendenze del precedente datore di lavoro;
  2. Campo di applicazione: esso comprende tutti i lavoratori subordinati, compresi i lavoratori a domicilio e gli apprendisti di primo e terzo livello, con esclusione del personale con qualifica dirigenziale;
  3. Apprendisti di primo o terzo livello: la riduzione di orario per il ricorso agli ammortizzatori, oltre a dover essere recuperata nel periodo formativo come già avviene per l’apprendistato professionalizzante con le modalità previste dall’art. 4, comma 2, non dovrà pregiudicare il completamento del percorso formativo che andrà, eventualmente, ridefinito;
  4. Massimale di integrazione salariale: dal 1° gennaio 2022 sarà unico (sparirà quello più basso previsto alla lettera a del comma 5 dell’art. 3) e, indipendentemente dalla retribuzione mensile di riferimento per il calcolo del trattamento, non potrà superare l’importo massimo mensile previsto dalla successiva lettera b);
  5. Compatibilità tra integrazione salariale e svolgimento di altra attività lavorativa: il lavoratore che svolgerà attività di lavoro subordinata di durata superiore a 6 mesi o anche di lavoro autonomo durante il periodo integrativo non avrà diritto al trattamento per le giornate di lavoro prestate. Se l’attività sarà a tempo determinato con un contratto inferiore ai 6 mesi il trattamento verrà sospeso per la durata del rapporto di lavoro.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 322 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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