La sospensione dei licenziamenti prorogata a tutto il 2020 [E.Massi]

All’interno del cosiddetto “Decreto Legge di Agosto” ci saranno numerose novità che riguardano il mondo del lavoro: dalla proroga degli ammortizzatori alla proroga della sospensione dei licenziamenti

La sospensione dei licenziamenti prorogata a tutto il 2020 [E.Massi]

Nella bozza di provvedimento del c.d. “Decreto Legge di Agosto” che dovrebbe essere varato entro la prima decade del mese, spiccano alcune novità che riguardano il mondo del lavoro: la proroga degli ammortizzatori sociali COVID-19, le agevolazioni in favore dei datori di lavoro che non richiedono interventi integrativi, le modifiche ai contratti a tempo determinato, le agevolazioni contributive per le assunzioni a tempo indeterminato, le indennità per i lavoratori stagionali del turismo, degli stabilimenti termali e dello spettacolo e la proroga della sospensione dei licenziamenti motivati da un giustificato motivo oggettivo.

È proprio quest’ultimo argomento che intendo trattare in questa breve riflessione.

Riprendendo spunti normativi già presenti nell’art. 46 del D.L. n. 18, l’Esecutivo stabilisce il blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre 2020 affermando che:

a) Non è possibile iniziare le procedure collettive di riduzione di personale previste dagli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991;

b) Restano sospese le procedure collettive avviate a partire dal 24 febbraio 2020;

c) In caso di cambio di appalto è possibile il recesso da parte del datore di lavoro se l’appaltatore subentrante riassume il personale in forza di un dettato di legge, di contratto collettivo o di clausola del contratto di appalto;

d) Indipendentemente dal numero dei dipendenti in forza, è precluso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, con la sola esclusione della cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione totale della stessa (con alcune eccezioni che esaminerò tra poco);

e) È possibile procedere al licenziamento in caso di fallimento, senza continuazione, anche parziale, dell’attività;

f) Restano sospese le procedure di conciliazione obbligatoria previste dall’art. 7 della legge n. 604/1966;

g) Il datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti, che nel corso del 2020 ha licenziato lavoratori per giustificato motivo oggettivo, può, derogando alla previsione del comma 10 dell’art. 18 della legge n. 300/1970, revocare il provvedimento in qualsiasi momento purchè faccia richiesta di un ammortizzatore sociale COVID-19 a partire dalla data in cui il recesso ha avuto efficacia: il tutto, con ricostituzione del rapporto senza soluzione di continuità e senza oneri a carico del datore di lavoro.

Fin qui la norma, inserita nella bozza, che merita qualche riflessione che ritengo opportuno fare seguendo la “scaletta” sopra indicata.

Comincio dalla lettera a): la sospensione delle procedure collettive di riduzione di personale comporta che non è possibile raggiungere alcun accordo con le organizzazioni sindacali, magari con incentivi all’esodo, a fronte di una riorganizzazione dell’attività che punti alla chiusura o al ridimensionamento di una unità produttiva. Questa, a mio avviso, è una grossa “pecca” che, alla lunga, potrebbe confliggere anche con la libertà di impresa sancita dall’art. 41 della Costituzione.

C’è, poi, la questione legata alla possibile attivazione dell’assegno di ricollocazione previsto dall’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015: a mio avviso, essa è possibile in quanto non postula, necessariamente, l’apertura di una procedura collettiva in quanto c’è un’impresa con  CIGS in corso (ma anche con contratto di solidarietà difensivo in essere) che, al termine di un incontro con le rappresentanze sindacali, non prevede un rientro totale degli interessati in azienda e, senza fare nomi, si individuano in un accordo, i profili professionali dei dipendenti ritenuti eccedentari. I lavoratori possono aderire alla procedura di ricollocazione che vede coinvolti l’ANPAL, i centri per l’impiego e le Agenzie di Lavoro e, in caso di nuova occupazione (peraltro, incentivata per il datore assumente), fruiscono dell’esenzione IRPEF fino a nove mensilità sulle somme finalizzate all’incentivo all’esodo (oltre al beneficio di incassare ancora il 50% dell’indennità di integrazione salariale non ancora goduta). Probabilmente, la cosa da evitare fino al prossimo 31 dicembre è la lettera di licenziamento che, in questo caso, può ben essere sostituita dalle dimissioni dei dipendenti che hanno trovato un nuovo lavoro.

Un ultimo effetto della sospensione della procedura collettiva è dato dal fatto che non è applicabile la sospensione dagli obblighi scaturenti dalla legge n. 68/1999 in quanto risulta inapplicabile l’art. 3, comma 5, che la prevede per tutta la durata dell’iter e, se la sessa si conclude con almeno cinque recessi, fino al momento in cui l’ultimo dipendente licenziato ha un diritto di precedenza alla riassunzione (sei mesi dal licenziamento).

Lettera b): sospensione delle procedure avviate a partire dal 24 febbraio. La disposizione lascia nel “limbo” il quadro generale: ovviamente, nulla esclude che i singoli lavoratori possano procedere alla risoluzione del loro rapporto presentando le proprie dimissioni, magari incentivate, cosa che, però, non consente loro di fruire del trattamento NASPI. Le procedure collettive concluse prima di tale data sono efficaci ed esplicano “in toto” i loro effetti. A differenza di quanto affermato al punto precedente, essendo la procedura sospesa in forza di legge (e non terminata), il datore di lavoro continua a fruire della esimente sul collocamento disabili prevista dall’art. 3, comma 5, esimente che vale su tutto il territorio nazionale se l’impresa ha più unità produttive.

Lettera c): l’Esecutivo afferma che la sospensione dei recessi non vale se il nuovo appaltatore assume il personale già in forza presso il precedente datore in forza di una norma di legge (ad esempio, l’art. 50 del c.d. “codice degli appalti”), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o ad una clausola del contratto di appalto. A mio avviso, la disposizione meriterebbe “un migliore scrittura” in quanto vincola la legittimità di un licenziamento al comportamento di un altro datore di lavoro che, subentrato nell’appalto, dovrebbe assumere il personale già in forza. Potrebbero, ad esempio, verificarsi situazioni ove il contratto dell’impresa cedente del settore pulizie (azienda industriale che applica il CCNL multiservizi) prevede il passaggio del personale a tempo indeterminato da almeno quattro mesi (art. 4), mentre quello del datore di lavoro subentrante (impresa artigiana delle pulizie) prevede un accollo di tutto il personale con una “franchigia” di tre dipendenti: ambedue i contratti collettivi sono sottoscritti da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Lettera d): Il Governo conferma lo “stop” ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dai limiti dimensionali dell’azienda, fino al prossimo 31 dicembre con alcune eccezioni che riguardano la cessazione completa dell’attività dell’azienda (e non delle singole unità produttive) a meno che non si configuri, dal comportamento delle parti, un trasferimento di azienda o ramo di essa ex art. 2112 c.c., ove i lavoratori hanno diritto a passare alle dipendenze del nuovo datore di lavoro.

Ma, se un datore di lavoro licenzia, comunque, il lavoratore ha diritto alla NASPI?

La risposta dell’INPS con il messaggio n. 2201 del 1° giugno è positiva, in quanto il recesso dipende da un atto unilaterale ricettizio del datore di lavoro: il riconoscimento della indennità di disoccupazione è, però, condizionato in quanto l’Istituto si riserva di ripetere dal lavoratore quanto già erogato nel caso in cui lo stesso venga reintegrato nel posto di lavoro per effetto di un provvedimento del giudice o con un accordo extra giudiziale.

Lettera e):  la norma esclude dalla sospensione anche i licenziamenti dovuti a fallimento, senza prosecuzione, neanche provvisoria dell’attività: se il fallimento riguarda uno specifico ramo aziendale, non possono essere compresi nei recessi i dipendenti impiegati nei settori non interessati. Un discorso del tutto analogo va fatto per il c.d. “concordato fallimentare” che è una causa legale di cessazione del fallimento e che è volto a soddisfare tutti i creditori ammessi al passivo: ovviamente, per quel che ci interessa, occorre sottolineare che non ci deve essere alcuna continuazione dell’attività.

Lettera f): con questa previsione l’Esecutivo prolunga fino a fine anno lo stop alla procedura obbligatoria di conciliazione cui sono tenuti i datori di lavoro con un organico superiore alle quindici unità nel caso in cui intendano precedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L. vo n. 23/2015. L’iter, come è noto, si svolge avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita ex art. 410 cpc presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro: l’unica soluzione attivabile in questo periodo è quella delle dimissioni incentivate del lavoratore o della risoluzione consensuale che, però, non sono portatrici di alcuna indennità di disoccupazione. In passato, con l’interpello n. 1/2014, in un contesto normativo del tutto diverso (attesochè non c’era alcuna ipotesi di sospensione della procedura) il Ministero del Lavoro ritenne pienamente valido un accordo in sede sindacale ex art. 411 cpc ove il lavoratore accettava il licenziamento (che restava, comunque, un atto unilaterale ricettizio del datore di lavoro) con l’impegno a non procedere in giudizio, neanche con la richiesta di vizi formali e procedurali.

Lettera g): l’Esecutivo ha ampliato la disposizione già presente nella legge n. 77, di conversione del D.L. n. 34. Ora qualunque datore di lavoro (anche quello piccolo o le associazioni di tendenza) può revocare un provvedimento di licenziamento adottato per giustificato motivo oggettivo nel corso del 2020, a condizione che faccia richiesta di un ammortizzatore COVID-19 dal giorno in cui ha avuto efficacia il recesso: il tutto, afferma la norma, è “a costo zero”. Personalmente, ho molti dubbi circa il fatto che tale disposizione faccia “molti proseliti” tra le aziende che, potrebbero, trovarsi, nuovamente, con un eccesso di personale da gestire in una fase successiva.

Ma, allora, quali licenziamenti sono, comunque, possibili, fino alla fine dell’anno? Essi sono:

  • i licenziamenti per giusta causa che, comunque, obbligano il datore alle procedure garantiste previste dall’art. 7 della legge n. 300/1970, come ricordato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 30 novembre 1982;
  • i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, anch’essi soggetti all’iter procedimentale del citato art. 7;
  • i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, atteso che la prosecuzione fino ai 70 anni discende da un accordo tra le parti e non è un diritto potestativo del dipendente, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 17589 del 4 settembre 2015;
  • i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto, atteso che la procedura è “assimilabile” al giustificato motivo oggettivo ma non è giustificato motivo oggettivo;
  • i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova sottoscritto dalle parti prima della costituzione del rapporto, con l’indicazione sia della durata che delle mansioni da svolgere;
  • i licenziamenti dei dirigenti sulla base della c.d. “giustificatezza”, criterio di valutazione più forte rispetto al giustificato motivo oggettivo che si applica agli altri lavoratori subordinati;
  • i licenziamenti dei lavoratori domestici che sono “ad nutum”;
  • i licenziamenti dei lavoratori dello spettacolo a tempo indeterminato (cosa rara), laddove nel contratto di scrittura artistica sia prevista la c.d. “clausola di protesta”, cosa che consente la risoluzione del rapporto allorquando il lavoratore sia ritenuto non idoneo alla parte;
  • la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo a seguito di recesso ex art. 2118 c.c.: qui, non appare ravvisabile il giustificato motivo oggettivo. Ovviamente, occorre tener presente quanto affermato dall’art. 2, comma 4, del D.L. vo n. 148/2015 in base al quale il periodo formativo dell’apprendistato professionalizzante è prorogato per un periodo uguale a quello in cui il giovane ha fruito della integrazione salariale. Tale disposizione è stata, in un certo senso, ripetuta dal comma 1-bis dell’art. 93 per i lavoratori in apprendistato di primo e di terzo livello (art. 43 e 45 del D.L. vo n. 81/2015).

Probabilmente, resta fuori da tale elencazione il licenziamento per inidoneità psico-fisica ove diverse scuole di pensiero lo fanno rientrare nel giustificato motivo oggettivo, mentre altre lo tengono fuori invocando le specifiche disposizioni contenute nell’art. 42 del D.L. vo n. 81/2008 o all’interno della legge n. 68/1999 (articoli 4 e 10).  Anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha, di recente, espresso la propria opinione sposando la tesi della sospensione del licenziamento per tale motivazione.

Vale, infine, la pena di ricordare come l’art. 83, comma 3, del D.L. n. 34/2020 stabilisca che l’inidoneità alla mansione accertata a causa del COVID-19, per i lavoratori maggiormente esposti al rischio del contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, oda esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità, non può giustificare il recesso del datore dal contratto di lavoro.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 322 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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