Reato di estorsione nei confronti dei lavoratori
L'editoriale di Eufranio Massi
Un fenomeno diffuso nelle aree più fragili del mercato del lavoro
Ci sono aree e settori nel nostro paese, caratterizzati da estrema precarietà, nei quali alcuni datori di lavoro, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, ricorrono a sotterfugi tali finalizzati a configurare una busta paga con retribuzione conforme al contratto collettivo ma che, in realtà, non è tale.
Purtroppo, si tratta di situazioni endemiche che si fa fatica ad estirpare come ben sanno gli stessi ispettori del lavoro allorquando, durante un accesso ispettivo, si trovano di fronte a situazioni di carenze patrimoniali rispetto alle prestazioni effettuate ed emettono un provvedimento di diffida accertativa per crediti patrimoniali.
Violazioni contrattuali, sicurezza e lavoro nero: un intreccio pericoloso
In tali contesti, le violazioni contrattuali si accompagnano, sovente, a quelle in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed a quelle sul lavoro nero ove, di recente, il Legislatore ha varato disposizioni finalizzate ad una maggiore tutela nei posti di lavoro.
Ma, il datore di lavoro che eroga salari non corrispondenti alle prestazioni effettuate e con artifizi cerca di ammantare il tutto in una parvenza di legalità, cosa rischia?
L’intervento della Magistratura e il consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale
Su queste situazioni, da tempo, la Magistratura ha focalizzato la propria attenzione e, di recente, la seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 29398 dell’8 agosto 2025, ha definito le caratteristiche del reato, consolidando un precedente indirizzo, sempre della stessa seconda sezione, espresso il 19 marzo 2025, con la sentenza n. 10974.
Ma, andiamo con ordine.
La condotta estorsiva: comportamento datoriale e minaccia implicita
La Corte, confermando il giudizio di Appello nel quale il datore di lavoro era stato condannato a 3 anni e 5 mesi di reclusione, afferma che commette il reato di estorsione chi costringa un lavoratore ad accettare una retribuzione inferiore alla previsione contrattuale e non corrispondente alle prestazioni effettuate, dopo avergli detto che, se non gli fosse stato bene avrebbe potuto anche andarsene.
Nel caso di specie il datore aveva costretto due lavoratrici a sottoscrivere buste paga ove risultavano acconti detratti ma non pagati, sotto la minaccia che non sarebbe stata corrisposta alcuna retribuzione (“se volete quei soldi dovete firmare, altrimenti potete anche andarvene”, questa la frase pronunciata, ripetutamente, dall’imprenditore”).
Pressioni, ricatti occupazionali e giusta causa di dimissioni
È indubbio, affermano i giudici, che il datore ha approfittato della situazione del mercato del lavoro particolarmente favorevole, atteso che, in quel contesto, si registrava un forte stato disoccupativo accompagnato da poche offerte di lavoro: al datore, la Corte non contesta di aver commesso il reato all’atto della instaurazione del rapporto, ma, successivamente, atteso che la condotta estorsiva è stata posta in essere dopo l’instaurazione dei rapporti di lavoro.
Le ripetute frasi datoriali ponevano le lavoratrici di fronte ad un dilemma: accettare le condizioni peggiorative, o dimettersi andando, così, ad ingrossare, le fila dei disoccupati, probabilmente, senza alcun ristoro di sostegno, sia pure temporale, a meno che, ricorrendo una serie di elementi soggettivi ed oggettivi, non fossero state riconosciute dall’INPS, a seguito di domanda, le dimissioni come “conseguenti a giusta causa”.
Minaccia esplicita o larvata: la Cassazione chiarisce cosa integra l’estorsione
La sentenza, appena sommariamente citata, si pone in linea con la precedente n. 10974 del 19 marzo 2025 ove fu affermato che “anche se si volesse dare per assodato che nel caso in esame non è stata raggiunta la prova certa della minaccia di licenziamento da parte del datore di lavoro ma solo del fatto che ebbe a prospettate alla lavoratrice che, o accettava le condizioni imposte relative al trattamento retributivo o avrebbe potuto dimettersi (così, di fatto, perdendo il posto di lavoro ), le due situazioni sono, sul piano concreto, assimilabili e non consentono di escludere il reato di estorsione”.
La sentenza parla di “minaccia” alla quale consegue una forte pressione, non giustificata, sulla persona offesa: tale minaccia si può presentare, secondo i giudici, in forme assolutamente diverse: può essere esplicita o larvare, scritta od orale, determinata o indeterminata, o anche manifestarsi sotto forma di consiglio od esortazione.
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