Nuove regole per il risarcimento del danno nel contratto a termine illegittimo
Il nuovo criterio per il risarcimento del danno nel contratto a termine illegittimo
Nell’ultimo periodo, a seguito di decisioni sia della Corte Costituzionale che della Cassazione, abbiamo assistito ad un progressivo superamento del principio affermato nella riforma del 2015, in materia di licenziamenti, secondo il quale la reintegra nel posto di lavoro rappresentava la “extrema ratio “, con ampio ricorso alla soluzione di natura economica: senza entrare nel merito dei cambiamenti avvenuti è sufficiente leggere tutte le sentenze della Consulta sull’argomento a partire dal 2018.
Modifiche legislative sui contratti a termine
Il Legislatore, peraltro, nel frattempo ha avuto modo di intervenire, a più riprese, sul contratto a tempo determinato, eliminando la “acausalita” per un massimo di 36 mesi, prevista dal c.d. “Jobs act”e reintroducendo, dapprima, con il D.L. n. 87/2018 un rigido sistema di causali legali, seppur temperato dal ricorso al contratto a termine “libero” per 12 mesi e, poi, attraverso il D.L. n. 48/2023 ad un sistema che prevede l’applicazione al contratto, trascorsi 12 mesi, di causali stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative su base nazionale.
Ora al quadro regolatorio del rapporto di lavoro a tempo determinato, si aggiunge una norma, approvata in Consiglio dei Ministri il 4 settembre u.s., ove, per evitare un procedimento di infrazione contro l’Italia da parte degli organismi comunitari, è stata riscritta, in un decreto legge che sta per essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, una disposizione che fissa nuove regole per il risarcimento dovuto ad un lavoratore a seguito della reintegra nel posto di lavoro per un contratto a termine ritenuto dal giudice illegittimo.
Fatta questa breve premessa, vado al nocciolo della questione.
La questione del risarcimento forfettario: abrogazione e nuove direttive
La Commissione Europea ha avviato, nei confronti del nostro Paese, una procedura di infrazione per i contenuti dei commi 2 e 3 dell’art. 28 del decreto legislativo n. 81/2015 i quali stabiliscono che, in caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine illegittimo (comma 2), viene corrisposta al lavoratore per il periodo di “non lavoro” una indennità risarcitoria onnicomprensiva il cui da 2,5 a 12 mensilità calcolate sulla ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive.
L’abrogazione ha riguardato anche il comma 3 ove viene affermato che in presenza di contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano l’assunzione a tempo indeterminato, sulla base di specifiche graduatorie, di lavoratori precedentemente assunti il valore forfettario massimo stabilito in 12 mesi viene ridotto a 6.
La “scrittura” di tale disposizione, secondo gli estensori, aveva come obiettivo quello di non accollare totalmente al datore di lavoro inadempiente i costi relativi al tempo trascorso per la definizione processuale della questione (in passato, molti anni talora erano trascorsi prima di giungere alla sentenza e, sovente, tale ritardo era ascrivibile all’intasamento degli uffici giudiziari). Tale scelta del Legislatore trovava conforto anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 che, in linea di principio, aveva ritenuto costituzionale il risarcimento forfettario.
La disposizione, però, secondo Bruxelles, non ha natura “dissuasiva” in quanto limita il potere del lavoratore finalizzato ad ottenere un ristoro per il maggior danno subito.
Possibili sviluppi futuri e l’impatto delle direttive europee
Cosa ha fatto, quindi, il Governo, per ottemperare al “diktat” comunitario?
Ha abrogato il risarcimento del danno forfettario contenuto nel comma 2 dell’art. 28 e, di fatto, ha rimesso, senza limiti, la quantificazione dell’importo al giudice, il quale potrà ben superare la soglia massima delle 12 mensilità, qualora il lavoratore dimostri diaver subito un “maggior danno”.
La questione relativa al contratto a tempo determinato illegittimo è più frequente di quanto si pensi (numero di proroghe o di rinnovi oltre la previsione normativa, adibizione del lavoratore a mansioni del tutto diverse da quelle riportate nella lettera di assunzione, superamento del limite massimo, causale diversa da quella indicata nel contratto individuale, ecc.).
Il provvedimento che, ripeto nel momento in cui scrivo queste riflessioni non è ancora approdato in Gazzetta Ufficiale, dovrà passare al vaglio del Parlamento ove, nel rispetto dell’invito arrivato dalla Commissione Europea, potrebbero essere apportati alcuni accorgimenti come, ad esempio, quello di abbreviare i tempi del processo (come ci chiedono gli organismi comunitari e come è scritto nel PNRR) pensando ad una sezione specifica destinata alla sola trattazione di tali controversie, o correlare il “maggior danno” verificatosi a comportamenti attivi del lavoratore che, nelle more della decisione giudiziale, abbia cercato, non trovandola, una nuova opportunità lavorativa.
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