La proroga dei trattamenti integrativi salariali ex art. 22 bis: le novità della legge n. 26/2019 [E.Massi]

La Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali fornisce chiarimenti amministrativi sulle novità introdotte nella legge n. 26

La proroga dei trattamenti integrativi salariali ex art. 22 bis: le novità della legge n. 26/2019 [E.Massi]

Con la circolare n. 6 del 3 aprile 2019, la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro, sempre puntuale nel fornire i chiarimenti amministrativi sulle novità introdotte, ha fornito le proprie delucidazioni sui contenuti dell’art. 26-bis del D.L. n. 4/2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 26.

Con alcune novità, introdotte nel “corpus” del D.L. vo n. 148/2015, il Legislatore era già intervenuto, per alcune situazioni particolari (cosa che esaminerò tra poco), a derogare alla rigidità del dettato normativo, in materia di integrazioni salariali straordinarie.

Procedendo nella opera di interpolazione su disposizioni già esistenti, il Legislatore ha variato i contenuti dei commi 1 e 3 dell’art. 22-bis del D.L. vo n. 148/2015 estendendo anche al 2020 la possibilità di fruire, a determinate condizioni, della proroga degli ammortizzatori sociali ed ha implementato le somme disponibili per il 2019 a 180 milioni di euro e a 50 milioni per il 2020 (per il 2018 sono restati 100 milioni).

La norma originaria, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 22-bis, ha avuto origine con il comma 133 dell’art. 1 della legge n. 205/2017 al quale era seguito, nel D.L. n. 119/2018, convertito, con modificazioni, nella legge n. 136, l’art. 25.

L’esame che segue vuole essere una riflessione su tutta la materia che, ovviamente, va esaminata sia alla luce della ultima circolare sopracitata che di quelle antecedenti, la n. 2/2018 e la n. 16/2019.

Viene ipotizzata, a determinate condizioni, la proroga dell’intervento di CIGS per la causali di riorganizzazione e di crisi aziendale e del contratto di solidarietà (quest’ultimo a partire dal 24 ottobre 2018): nella sostanza, ci si trova di fronte ad uno sforamento sia del limite massimo del quinquennio mobile che di quello particolare previsto per le singole causali (24 mesi per la ristrutturazione, 12 mesi per la crisi aziendale e 24 mesi per la solidarietà). Ciò lo si evince dal fatto che il testo normativo parla, espressamente, di deroga agli articoli 4 e 22, comma 2, 3 e 5 (questi due ultimi citati dal predetto art. 25), del D.L. vo n. 148/2015. Tale possibilità, comunque, non ha natura strutturale, ma viene limitata agli anni 2018 (ormai, trascorso), 2019 e 2020 all’interno di tetti di spesa annuali nelle misure sopra riportate.

La possibilità di proroga non è generale, ma circoscritta ad alcune specifiche aziende in possesso di determinati elementi che, a partire dal 24 ottobre 2018 non sono più dimensionali (si parlava, nel comma 133 dell’art. 1 della legge n. 205/2017, di oltre 100 dipendenti), ma soggettivi: tale requisito è stato cancellato dall’art. 25 del D.L. n. 119.

Le imprese (questo è da intendersi quale requisito soggettivo) debbono possedere, nel contesto regionale territoriale, una rilevanza strategica anche per le ricadute occupazionali ed, inoltre, (altro requisito essenziale) debbono aver raggiunto o star per raggiungere il limite massimo di utilizzo.

Alcuni chiarimenti, oltremodo necessari, furono dettati, per le causali di ristrutturazione e crisi aziendale dalla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e la Formazione del Ministero del Lavoro, con la circolare n. 2 del 7 febbraio 2018, formulata con il parere positivo dell’Ufficio Legislativo, alla quale si è aggiunta, il 29 ottobre u.s., la circolare n. 16 con la quale, oltre a sottolineare le novità introdotte, vengono chiarite alcune questioni operative sorte nel corso dei primi mesi di vigenza della precedente disposizione.

La circolare n. 6/2019, oltre a confermare una serie di passaggi individuati dalle precedenti note, sui quali mi soffermerò più avanti, precisa che “per le diverse annualità indicate dal citato art. 22-bis, come modificato dalla legge n. 26, il trattamento di integrazione salariale previsto dalla citata disposizione è riconoscibile, alla presenza di tutti gli altri requisiti indicati, nel limite massimo di dodici mesi per ciascun anno di vigenza della norma stessa”. Il tetto massimo disposto annualmente è, nella sostanza, il limite entro cui è possibile riconoscere l’ammortizzatore sociale, con la conseguenza che la proroga del trattamento per ulteriori dodici mesi può essere riconosciuta anche nel corso del 2019 e del 2020, in presenza di tutti gli elementi che la norma richiede e sulla scorta delle risorse finanziarie disponibili, con possibilità, in sede di accordo ministeriale, di rimodulare l’intervento sulla base di quante risorse ci sono ancora, atteso che i fondi complessivi previsti non possono essere “sforati”.

Fatta questa breve premessa, credo che sia opportuno entrare nel merito delle questioni che, peraltro, scaturiscono, essenzialmente, dai due precedenti interventi normativi essendo, quest’ultimo, sostanzialmente, finalizzato alla individuazione delle risorse ulteriori.

Due sono gli elementi da prendere in considerazione: la rilevanza strategica ed il raggiungimento del tetto massimo integrabile.

La rilevanza strategica dell’impresa viene in considerazione non tanto per il tipo di lavorazione (anche se ciò non è escluso), quanto per le ricadute negative sull’occupazione che potrebbero causare, nel particolare contesto territoriale, forti squilibri occupazionali. Di qui la necessità di dimostrare la sussistenza di tale elemento anche attraverso interventi delle Regioni interessate e dei servizi per l’impiego che, in un certo senso, debbono farsi “garanti” di tale asserzione, promuovendo attivamente iniziative di politica attiva, nel rispetto (ma non solo) delle previsioni contenute nel D.L. vo n. 150/2015.

Il secondo requisito riguarda il raggiungimento del traguardo rappresentato dal limite massimo di fruizione dell’ammortizzatore o l’avvicinamento allo stesso: ciò significa che, in presenza degli elementi appena sopra evidenziati, sarà opportuno presentare, in tempo, l’istanza di proroga, avvalendosi dell’usuale canale telematico della CIGS on-line sul quale mi soffermerò tra un attimo.

Ma, quale è la durata massima della proroga e, soprattutto, a quali condizioni può essere concessa?

La circolare n. 2/2018 afferma che il trattamento integrativo di cui parla l’art. 22-bis va inteso come prosecuzione, anche con soluzione di continuità, di un trattamento di CIGS, magari anche concluso nel corso del 2017 (il discorso, ovviamente, va oggi oltre tale data): esso deve rappresentare una sorta di continuazione ed implementazione delle azioni di risanamento già portate avanti. La stessa cosa deve, ora, intendersi per il contratto di solidarietà difensivo, come sottolineato dalla circolare n. 16/2018.

Il Legislatore effettua alcuni “distinguo”, tenendo presente, in ogni caso, che, a partire dal 24 settembre 2017, le ore integrabili (art. 22) per le ipotesi di CIGS non possono superare l’80% di quelle lavorabili nell’arco di tempo del programma autorizzato, come fu chiarito, allora, sotto l’aspetto operativo, dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 16/2017:

  • per la riorganizzazione aziendale, lo “sforamento” può raggiungere i dodici mesi, nel caso in cui il programma di investimenti ex art. 21, comma 2, che è alla base della precedente autorizzazione, sia caratterizzato da una complessità di investimenti che non sono attuabili nel limite massimo del biennio previsto (e qui, sarà necessario dimostrare il tutto attraverso precise e puntuali relazioni tecniche) o (ma le due causali possono ben sussistere insieme) che vi siano piani di recupero occupazionale con le relative azioni di riqualificazione che non sono state attuate, completamente, durante l’arco temporale dei 24 mesi. Vale la pena di ricordare come l’ipotesi “riorganizzazione” preveda una percentuale di ricollocazione pari ad almeno il 70% del personale interessato alla integrazione salariale e che, nel raggiungimento di tale percentuale rientrano coloro che restano nell’unità produttiva al termine del periodo di integrazione, coloro che sono stati trasferiti in altra unità produttiva o sono stati ricollocati presso altre imprese o che, infine, hanno risolto il proprio rapporto attraverso provvedimenti “non oppositivi” (nella sostanza, risoluzioni consensuali o accettazione volontaria del licenziamento, magari supportato da incentivi all’esodo). La salvaguardia dei livelli occupazionali richiede la indicazione di specifiche azioni di politiche attive concordate con gli Enti regionali e territoriali interessati, anche allorquando ad essere coinvolte siano più Regioni in considerazione del fatto che le unità produttive interessate insistono in territori diversi;
  • per la crisi aziendale (che, è bene ricordarlo, richiede, sempre, la ripresa dell’attività produttiva, in quanto quella “per cessazione di attività” ha proprie regole inserite nell’art. 44 del D.L. n. 109/2018), l’integrazione salariale straordinaria “addizionale”, può essere concessa per un massimo di sei mesi: ciò che si richiede è che il piano di risanamento già presentato ex art. 21, comma 3, del D.L.vo n. 148/2015, necessiti di interventi complessi, non attuabili nei dodici mesi “canonici”, finalizzati a garantire la continuazione dell’attività e la salvaguardia dell’occupazione. Anche in questo caso vanno indicate le specifiche azioni di politiche attive concordate con la Regione o le Regioni (o Province Autonome) interessate.

L’attivazione della proroga del contratto di solidarietà, per un massimo di dodici mesi (art. 25 del D.L. n. 119/2018), richiede:

  • la permanenza dell’esubero, magari anche parziale (perché, ad esempio, in presenza di una procedura collettiva di riduzione di personale “aperta”, si siano registrati “licenziamenti non oppositivi”), dichiarato nell’accordo sindacale a seguito del quale è stato richiesto l’intervento integrativo salariale straordinario;
  • la presentazione di piani di gestione finalizzati alla salvaguardia dell’occupazione anche concordati con la Regione o le Regioni interessate (o le Province Autonome);
  • A mio avviso, le azioni di politica attiva potrebbero passare anche attraverso la ricollocazione dei lavoratori in CIGS di cui parla il comma 136 dell’art. 1, della legge n. 205/2017 con il quale è stato inserito nella normativa sugli ammortizzatori sociali, l’art. 24-bis (finora, poco utilizzato). Da ciò discende che le parti (datore di lavoro e organizzazioni sindacali) potrebbero stipulare un accordo finalizzato ad individuare il settore o le aree ed i profili professionali ritenuti eccedentari. I lavoratori interessati potrebbero decidere di aderire la percorso di ricollocazione: i servizi del lavoro, direttamente, o attraverso Agenzie o Enti accreditati scelti dagli interessati, una volta “profilati” i soggetti interessati, potrebbero avviarli verso una ricollocazione mirata. I dipendenti possono fruire del vantaggio dell’esenzione IRPEF fino ad un massimo di nove mensilità sulle somme connesse alla cessazione del rapporto (ad esempio, incentivo all’esodo) oltre ad usufruire del 50% dell’indennità di integrazione salariale il periodo di concessione se non è ancora terminato. L’impresa “assumente” può fruire di uno sgravio contributivo di 4.030 euro all’anno (con esclusione di quanto dovuto all’INAIL) per ogni lavoratore interessato, per dodici mesi in caso di assunzione a termine o per diciotto mesi se il rapporto viene instaurato a tempo indeterminato.

Ma, sotto l’aspetto prettamente operativo, quali sono i passaggi necessari per poter chiedere la proroga?

La norma richiede:

  • un accordo sindacale che va stipulato al Ministero del Lavoro, presso la sede della Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro e delle Relazioni Industriali con la presenza della Regione interessata (o Provincia Autonoma) o, qualora la richiesta di proroga riguardi più unità produttive ubicate in contesti territoriali regionali diversi, anche delle altre Regioni. La presenza di tali Enti territoriali appare, oltre modo importante, in quanto è attraverso gli stessi ed i dipendenti centri per l’impiego che passa un possibile percorso di riqualificazione e di ricollocazione dei lavoratori eccedentari. Essa sta a significare, altresì, un impegno diretto e preminente nell’attuazione dei piani di politiche attive concordate;
  • la presentazione di piani operativi volti alla salvaguardia occupazionale all’interno di specifiche azioni di politiche attive concordate con la Regione o le Regioni interessate.

La contribuzione addizionale dovuta dall’impresa è quella prevista dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015: essendo stabilita, per scaglioni, e legata alla durata complessiva degli ammortizzatori all’interno del quinquennio mobile (quindi, massimo 36 mesi) essa, presumibilmente, nella maggior parte dei casi, sarà pari al 15%, calcolata sulla retribuzione globale che sarebbe spettata ad ogni lavoratore per le ore di lavoro non prestate.

Le circolari n. 2 e n. 16 ricordano, in maniera precisa e puntuale, i passaggi collegati alla presentazione dell’istanza di proroga che va, unicamente, inviata attraverso l’applicativo della CIGSonline.

In questo caso ci si trova di fronte ad un intervento di integrazione salariale che esula dai principi generali e che, comunque, appare garantito dalla sottoscrizione dell’accordo in sede ministeriale e dalla presenza degli Enti regionali coinvolti.

Da ciò discende che la effettiva necessità di garantire, da un lato, stabilità al trattamento integrativo di sostegno nei confronti dei lavoratori coinvolti e, dall’altro, la continuità aziendale, fanno si che le disposizioni procedimentali previste dall’art. 25 del D.L.vo n. 148/2015, non trovino applicazione (presentazione dell’istanza, attraverso il sistema telematico, entro sette giorni dalla stipula dell’accordo). Tale concetto si trova anche per la c.d. “CIGS per cessazione di attività”, reintrodotta nel nostro ordinamento, con alcune condizioni, dall’art. 44 del D.L. n. 109/2018 (c.d. “Decreto per Genova”), convertito, con modificazioni, nella legge n. 130. Le domande vengono esaminate seguendo l’ordine cronologico di presentazione ed entro il limite delle risorse assegnate per ciascun anno di riferimento.

Alla istanza, inviata telematicamente, va allegata copia dell’accordo raggiunto in sede ministeriale ed una relazione che attesti la presenza dei requisiti che possono dar luogo alla ulteriore richiesta di CIGS  e del contratto di solidarietà.

Al comma 6, dell’art. 25, si fa riferimento alla attività di controllo degli organi di vigilanza degli Ispettorati territoriali del Lavoro: essi dovranno, comunque, procedere alle verifiche finalizzate all’accertamento degli impegni aziendali nei tre mesi antecedenti la conclusione dell’intervento integrativo salariale, con tutte le conseguenze del caso allorquando emerga che il programma presentato dall’impresa non sia stato realizzato completamente o in parte. Qui, appare evidente come il riferimento operativo per tale attività resti, sempre, la circolare n. 27/2016, la quale, ovviamente, va correlata alle novità introdotte nei provvedimenti che si sono succeduti dal gennaio 2018 (art. 1, comma 133, della legge n. 205/2017, art. 25 del D.L. n. 119/2018, convertito nella legge n. 136 e art. 26-bis del D.L. n. 4/2019 convertito nella legge n. 26).

Le risorse finanziarie ulteriori (rispetto a quelle già stabilite con l’art. 25 del D.L. n. 119, ricorda, l’art. 26-bis  (80 milioni per il 2019 e 50 milioni di euro per il 2020) sono tratte dal Fondo Sociale per l’occupazione e la Formazione di cui parla l’art. 18, comma 1, lettera a)  del D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 2/2009: il monitoraggio della spesa sostenuta, come in passato, viene affidato all’INPS.

L’Istituto, con cadenza mensile, trasmette i dati sia alla Direzione Generale degli Ammortizzatori e della Formazione che a quella dei Rapporti di Lavoro e delle Relazioni Industriali. Ovviamente, qualora dal monitoraggio risulti, anche in via prospettica, il superamento dei limiti annuali, una immediata comunicazione dovrà essere fornita alle due Direzioni generali.

Da ultimo, ritengo opportuno ricordare alcune precisazioni che, il Dicastero del Lavoro ha inteso fornire, con la circolare n. 16/2018,  anche in relazione a quesiti intervenuti nei mesi scorsi:

  • il trattamento di CIGS “aggiuntivo” va inteso come prosecuzione del precedente intervento salariale concluso a meno che l’esubero di personale non sia stato risolto anche con procedure collettive di riduzione di personale;
  • il periodo congruo, ai fini del far ritenere, come attuale, le difficoltà lamentate dall’azienda, viene considerato all’interno dell’arco temporale dei 3 mesi antecedenti l’emanazione della circolare avvenuta il 29 ottobre;
  • il ricorso alla proroga è possibile anche per quelle imprese che, per effetto del raggiungimento del tetto massimo fruibile nel quinquennio mobile, non abbiano avuto la possibilità di ottenere il trattamento di CIGS per le durate indicate dagli art. 4 e 22 del D.L.vo n. 148/2015. Ovviamente, la durata è strettamente correlata al programma aziendale;
  • la proroga è possibile anche in favore di quelle imprese che abbiano fruito di CIGS e che, in presenza di criticità aziendali ed occupazionali ancora sussistenti, hanno fatto ricorso ad altri strumenti di integrazione salariale straordinaria od ordinaria;
  • gli effetti dell’accordo da stipulare in sede governativa (passaggio essenziale) possono essere limitati, per un’impresa che ha unità produttive dislocate in più Regioni, soltanto a quelle nelle quali è stata riconosciuta la particolare rilevanza economica ed occupazionale dall’Ente regionale interessato;
  • la presentazione della domanda finalizzata al raggiungimento dell’accordo in sede ministeriale (Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro e delle Relazioni Industriali) è sottoposta ad un termine che, sotto l’aspetto amministrativo, non appare derogabile: non prima dei 60 giorni antecedenti l’avvio della proroga del trattamento integrativo straordinario.

Fin qui le novità introdotte che, appare opportuno precisarlo per evitare equivoci, non riguardano, assolutamente, le eventuali proroghe ai trattamenti integrativi dei Fondi di Solidarietà, disciplinati dagli articoli 26 e seguenti del D.L.vo n. 148/2015.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 345 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →

0 Commenti

Non ci sono Commenti!

Si il primo a commentare commenta questo articolo!

Rispondi

Solo registrati possono commentare.