Decreto trasparenza: la richiesta del lavoratore per migliori condizioni di lavoro

Decreto trasparenza: la richiesta del lavoratore per migliori condizioni di lavoro

C’è una disposizione del D.L.vo n. 104/2022 che riguarda sia i nuovi lavoratori che quelli già in forza ed è l’art. 10 che, nella rubrica, parla di “Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili” ma che, nella declinazione dell’articolato suscita a mio avviso più di qualche perplessità.

L’analisi che segue cercherà di mettere in evidenza le criticità della disposizione e quella che sembra essere l’effettiva incidenza, avvertendo che, ad oggi, né il Ministero del Lavoro, né l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con le loro note di prassi (rispettivamente, la circolare n. 19 del 20 settembre e la circolare n. 4 del 10 agosto) hanno, minimamente, affrontato l’argomento.

Ma, andiamo con ordine.

Il comma 1, dopo aver fatte salve le norme più favorevoli già previste dalla legislazione vigente, stabilisce che un lavoratore (anche collaboratore) che abbia maturati un’anzianità di lavoro di almeno sei mesi o che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile.

Alcune riflessioni si rendono necessarie per capire la portata della norma.

La prima concerne il riferimento alle norme più favorevoli previste dalla legislazione vigente che sono fatte salve: tutto ciò significa, in ogni caso, che (l’elenco che segue è puramente indicativo e non esaustivo) rispetto alla richiesta del lavoratore interessato al cambiamento:

  1. Hanno la precedenza quei lavoratori che, ai sensi dell’art. 24 del D.L.vo n. 81/2015, hanno esercitato il diritto finalizzato ad una occupazione a tempo indeterminato per le mansioni già svolte, dopo essere stati alle dipendenze con contratti a termine di durata, anche in sommatoria, superiore ai sei mesi;
  2. Hanno la precedenza (art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949), entro i sei mesi successivi al recesso, quei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo o al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale ex lege n. 223/1991;
  3. Hanno la precedenza, entro i dodici mesi successivi alla cessione di azienda o di un ramo di essa, quei lavoratori non transitati, come stabilito dall’art. 47 della legge n. 428/1990;
  4. Hanno la precedenza a tornare a tempo pieno quei lavoratori che, per poter fruire delle cure per malattie oncologiche o anche perché affetti da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, hanno trasformato il loro rapporto in part-time (art. 8 del D.L.vo n. 81/2015).

La norma ha riferimento alle disposizioni più favorevoli previste dalla legislazione vigente e non cita (eppure, nel concreto, ce ne sono) quelle individuate dalla pattuizione collettiva (e questa cosa sembra generare criticità, perché molti diritti di precedenza sono presenti in contratti nazionali o integrativi aziendali come, ad esempio, quello dei lavoratori somministrati a termine in imprese che ne fanno ampio ricorso).

Il lavoratore (ma anche il collaboratore) può avanzare la propria richiesta scritta (comma 3) trascorsi almeno sei mesi e, comunque, al completamento del periodo di prova che, a norma dell’art. 7, non può essere superiore ai sei mesi. Par di capire, quindi, che in alcuni casi la richiesta dell’interessato possa essere esercitata, poco dopo aver superato positivamente il periodo di prova.

Ma, quale può essere il contenuto della richiesta? Cosa significano condizioni più prevedibili, sicure e stabili?

Le locuzioni appena riportate sono talmente ampie e vaste e tali, comunque, da avere un significato che può avere un contenuto soltanto rapportando il singolo aggettivo alla prestazione lavorativa in essere. La condizione sicura può avere un significato strettamente correlato alla sicurezza sul lavoro ma anche alla tipologia contrattuale in essere (contratto a tempo determinato, rapporto a tempo parziale, contratto intermittente, ecc.), la stabilità potrebbe, a ragione, essere correlata alla figura di un collaboratore che aspira a diventare lavoratore dipendente, la prevedibilità, infine, potrebbe avere un aggancio alla richiesta di una prestazione lavorativa ove l’orario di lavoro sia prevedibile e gestibile anche in relazione alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Il comma 2 ricorda che il lavoratore al quale sia giunta una risposta negativa dal datore di lavoro o dal committente, può reiterare l’istanza, con le stesse modalità, dopo che siano trascorsi almeno sei mesi dalla domanda precedente.

Ma, cosa sono obbligati a fare il datore di lavoro ed il committente, ovviamente ciascuno per la propria parte?

Entro un mese (comma 4) dalla presentazione della richiesta scritta (che può essere inviata anche per posta elettronica) sono tenuti a fornire una risposta scritta motivata: la motivazione è richiesta soprattutto se quest’ultima risulta negativa. Le motivazioni negative possono essere di vario genere, sia richiamando l‘organizzazione aziendale con l’impossibilità di trovare per l’interessato un posto adeguato alla richiesta (l’organizzazione del lavoro rientra nel potere insindacabile del datore), che riferendosi a diritti di precedenza in essere.

Nel caso in cui un lavoratore reiteri la domanda, la risposta del datore di lavoro persona fisica o dell’impresa dimensionata non oltre le cinquanta unità (il computo dei dipendenti va effettuato nel rispetto delle indicazioni previste dagli articoli 9 – per i dipendenti a tempo parziale -, 18 -per i lavoratori intermittenti- e 27 -per i dipendenti con contratto a tempo determinato – del D.L.vo n. 81/2015) può anche essere orale se le motivazioni addotte sono le stesse.

Il comma 5 ricorda che tale articolo non si applica ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, ai lavoratori marittimi e della pesca ed al personale domestico.

Fin qui il dettato normativo commentato che, a mio avviso, comporta due domande.

A cosa serve tale disposizione se il lavoratore può presentare ‘istanza soltanto due volte, magari in un arco temporale ristretto?

Sarebbe auspicabile un chiarimento amministrativo da parte del Ministero del Lavoro.

La seconda domanda riguarda la possibilità per un ispettore del lavoro di emettere un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004, atteso che la norma è “imperfetta” in quanto non accompagnata da alcuna sanzione amministrativa o penale. Essa potrebbe riguardare quei datori di lavoro o committenti che, trascorso il mese dalla richiesta, non hanno inviato alcuna risposta.

Di per se stessa la disposizione, che è un atto discrezionale dell’ispettore del lavoro, e che in caso di inosservanza genera una sanzione compresa tra 500 e 3.000 euro, può reggere ma sarebbe stato opportuno che il Legislatore chiarisse il significato di “forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili”. Ma, su questo aspetto, appare opportuno attendere indicazioni da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

 

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 324 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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