Comportamento negligente del lavoratore: come comportarsi?

L'editoriale di Eufranio Massi

Comportamento negligente del lavoratore: come comportarsi?

Il quadro normativo e le procedure disciplinari

Sovente, i datori di lavoro si trovano di fronte a comportamenti del proprio personale che ritengono fortemente negligenti e rispetto ai quali sono tentati, anche in relazione a prassi consolidate in azienda, a procedere alla risoluzione del rapporto. Ovviamente, anche in caso di recesso va applicata la procedura di contestazione prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970, con tutte le garanzie ed il diritto di difesa previsti dalla norma, nel rispetto dei tempi e dei modi da essa fissati nei vari commi che la compongono.

Il ruolo del CCNL nelle sanzioni disciplinari

Ma l’adozione di un provvedimento disciplinare sia conservativo che espulsivo postula il rispetto di quanto previsto dal CCNL in materia di sanzioni disciplinari e qui, purtroppo, la casistica ipotizzata (magari in testi vecchi di anni e non aggiornati alle nuove realtà) non ipotizza specifiche mancanze, ma elabora previsioni di carattere generale che vanno, poi, correlate alla realtà del fatto contestato.

L’ordinanza n. 29343/2025 della Cassazione

Questa breve digressione si è resa necessaria per comprendere la motivazione della ordinanza n. 29343/2025 con la quale la Corte di Cassazione, rinviando la decisione del merito alla Corte di Appello di Roma, ha affermato che laddove il CCNL preveda per un fatto specifico (nel caso in esame la negligenza) una sanzione di natura conservativa, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento ed il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro con applicazione dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300/1970.

Il caso concreto: dalla prassi interna al licenziamento

Ma, andiamo con ordine, cercando di riassumere il fatto contestato.

Il datore di lavoro, richiamando la violazione di una prassi interna, aveva proceduto al licenziamento di un dipendente che aveva compilato in maniera non corretta la scheda di controllo della temperatura dei prodotti in griglia.

Le decisioni dei primi due gradi di giudizio

In primo grado il giudice aveva disposto la reintegra nel posto di lavoro del dipendente, dopo aver verificato che il CCNL applicato (quello del settore turismo- pubblici esercizi) prevedeva, alla voce “negligenza”, una sanzione disciplinare di natura conservativa.

In secondo grado la Corte di Appello di Roma, riformando la precedente decisione, aveva ritenuto che la violazione della prassi aziendale fosse un qualcosa più grave della “negligenza” e, pertanto, essendo venuto meno il vincolo fiduciario, aveva condannato il datore di lavoro al pagamento della sola tutela indennitaria prevista dal comma 5 dell’art. 18 della legge n. 300/1970.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione non è stata d’accordo con tale impostazione affermando che:

  • Laddove il CCNL abbia previsto una sanzione di natura conservativa, il giudice non può legittimare un licenziamento riconoscendo, unicamente, l’indennità risarcitoria, cosa in contrasto con un principio di diritto fortemente consolidato che si trova in precedenti sentenze come, ad esempio, la n. 8621/2020 e la n. 107/2024, e come ha sottolineato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 128/2024;
  • La Corte di Appello non ha minimamente chiarito la ragione per cui la violazione della prassi aziendale non poteva essere ricondotta alla previsione del CCNL che stabilisce, per “negligenza nella esecuzione del lavoro”, una sanzione di natura conservativa;
  • L’applicazione della tutela reintegratoria non è necessariamente legata alla tipizzazione di una specifica mancanza: essa può essere desunta dal giudice di merito anche da una clausola di carattere generale;
  • La sanzione espulsiva può essere giustificata soltanto in presenza di un grave disvalore, scritto nella motivazione ed effettivamente accertato dal giudice.

Il rinvio alla Corte di Appello

Sulla base di tali rilievi la Cassazione ha rinviato la questione alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi nel merito sulla base dei principi sopra evidenziati.

Considerazioni finali: il ruolo crescente del giudice

Una breve considerazione: l’ordinanza si pone nel solco ormai ben tracciato sia dalla Consulta che da altre decisioni dei giudici di legittimità che rafforza la contrattazione collettiva nella graduazione delle sanzioni disciplinari ed al contempo, si pone come un ulteriore ostacolo alla “libertà di licenziamento”, sia pure monetizzato e con un costo “a priori” sostanzialmente già conosciuto, che era alla base del decreto legislativo n. 23/2015 sulle c.d. “tutele crescenti”.

I numerosi interventi della Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 196/2018, hanno rimesso il giudice al centro della controversia, e da semplice “notaio” che, nel licenziamento, salvo alcune eccezioni, era destinato a verificare soltanto il calcolo della indennità risarcitoria sulla base del mero calcolo dell’anzianità aziendale, ha visto il proprio ruolo riacquisire competenze legate non soltanto all’aumento della indennità entro il tetto massimo di 36 mensilità  in presenza di elementi oggettivi desumibili dall’art. 8 della legge n. 604/1966, ma anche alla possibilità di entrare nel merito delle questioni, cosa che, in molti casi, era inibito dalla norma del 2015.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 401 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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