Uso dell’intelligenza artificiale nella gestione del personale
L'editoriale di Eufranio Massi
Il quadro normativo di riferimento
I “media” (e non solo essi) disquisiscono sempre più di intelligenza artificiale (AI) applicata ai vari settori e, nel nostro Paese, il Legislatore con il varo della legge n. 132/2025, ha dettato disposizioni e deleghe prevedendo norme da rispettare in materia di ricerca, sperimentazione, sviluppo, adozione ed applicazione di sistemi e modelli. L’art. 1 “sponsorizza” un utilizzo corretto, trasparente e responsabile, in una dimensione antropocentrica, destinato a coglierne le opportunità, garantendo vigilanza sia sui rischi economici e sociali che sui diritti fondamentali, con un richiamo al Regolamento UE 2024/1689 del 13 giugno 2024.
Applicazione dell’AI alla gestione del personale
La breve riflessione di oggi riguarda un tema quello della applicazione dell’AI alla gestione del personale, che, se attuata, obbliga dal 10 ottobre 2025, data di entrata in vigore del provvedimento, i datori di lavoro ed i committenti ad una serie di adempimenti che sono ben richiamati dall’art. 11 che in tre commi, riallacciandosi alla normativa inserita nel D.L.vo n. 104/2022, impone una serie di obblighi.
Divieto di discriminazioni e tutela della persona
Occorre, innanzitutto, impedire che attraverso l’AI si realizzino comportamenti discriminatori sin dalla fase dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, cosa che, del resto trova norma di tutela nell’art. 3 della Costituzione, nell’art. 15 della legge n. 300/1970, nel D.L.vo n. 198/2006 o anche nel D.L.vo n. 215/2003, tanto per citare le disposizioni più importanti.
Le finalità dell’uso dell’AI in ambito lavorativo
Ma, andiamo con ordine sottolineando come la stessa rubrica dell’articolo parli di “Disposizioni sull’uso dell’intelligenza artificiale in materia di lavoro”
Il primo comma sancisce che l’uso dell’AI è volto a:
- Migliorare le condizioni di lavoro;
- Tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti;
- Accrescere la qualità delle prestazioni lavorative;
- Accrescere la produttività delle persone avendo quale parametro di riferimento il diritto dell’Unione Europea.
Obblighi di informazione e trasparenza
Il secondo comma (che, a mio avviso, contiene le disposizioni fondamentali) parla di affidabilità, trasparenza, inviolabilità dei dati personali riservati e di rispetto della dignità. Il datore di lavoro ed il committente (quindi, l’obbligo scatta anche se con i prestatori si instaura un rapporto di collaborazione comunque denominato), è tenuto ad informare il lavoratore nei casi previsti dall’art. 1-bis del D.L.vo n. 152/1997, introdotto nel “corpus” dal D.L.vo n. 104/2022.
I casi sopra richiamati sono quelli ai quali ci si riferisce allorquando vengono utilizzati sistemi decisionali o di monitoraggio completamente automatizzati.
Fatte salve le disposizioni previste dall’art. 4 della legge n. 300/1970 (ove sussistono procedure ben codificate dalla norma e dalla prassi amministrativa) Il datore di lavoro ed il committente pubblico o privato debbono informare il lavoratore circa l’utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio totalmente automatizzati destinati a fornire indicazioni rilevanti:
- L’assunzione;
- Il conferimento dell’incarico;
- La gestione del rapporto e la sua cessazione;
- L’assegnazione di compiti e mansioni
- Le indicazioni relative alla sorveglianza, alla valutazione, alle prestazioni ed all’adempimento delle obbligazioni contrattuali.
Contenuto minimo dell’informativa al lavoratore
Ma, come si adempie a tali obblighi?
La risposta la fornisce il comma 2 dell’art. 1-bis, laddove si afferma che, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, oltre alle informazioni obbligatorie previste dall’art. 1 del D.L.vo n. 152/1997 (che sono quelle usuali in vigore da 28 anni), qualora si utilizzino sistemi integralmente automatizzati, occorre indicare:
- Gli aspetti del rapporto di lavoro su cui incide l’AI;
- Gli scopi e le finalità dei sistemi automatizzati;
- La logica ed il loro funzionamento;
- Le categorie di dati e i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi automatizzati, ivi compresi i meccanismi di valutazione;
- Le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di correzione ed il nominativo del responsabile del sistema di gestione della qualità;
- Il livello di accuratezza, robustezza e cyber sicurezza dei sistemi, le metriche utilizzate per misurare i parametri, nonché gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse.
Diritti di accesso e tempi di risposta
Il successivo comma 3 afferma che il lavoratore, direttamente o per il tramite delle organizzazioni sindacali aziendali o territoriali ha diritto ad accedere ai dati o a richiedere ulteriori informazioni relative a quanto riportato al comma 2: il datore di lavoro o il committente hanno l’obbligo di rispondere per iscritto entro i 30 giorni successivi all’istanza. Su questi ultimi (comma 4), in caso di variazioni relative alla precedente comunicazione che “tocchino” le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro, grava l’obbligo di una informativa scritta almeno 24 ore prima (comma 5).
Comunicazione alle rappresentanze sindacali
Le informazioni ed i dati comunicati al lavoratore o al collaboratore, strutturati in maniera leggibile e trasparente vanno comunicate anche alla RSU, se presente in azienda, o, in mancanza, alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (comma 6). Sia il Dicastero del Lavoro che l’INL, attraverso le proprie articolazioni territoriali, possono richiedere la comunicazione delle stesse informazioni ed accedere ai dati.
Violazioni e regime sanzionatorio
Ma, cosa succede se il datore di lavoro o il committente (per il quale sussiste uno specifico riferimento ai rapporti ex art. 409, n. 3, cpc e art. 2, comma 1 del D.L.vo n. 81/2015) non ottemperano?
Trova applicazione l’art. 4 del D.L.vo n. 152/1997 che in caso di mancato, ritardato, incompleto o inesatto adempimento degli obblighi, rinvia, per la quantificazione delle sanzioni amministrative, una volta esauriti gli accertamenti, all’art. 19, comma 2, del D.L.vo n. 276/2003, il quale prevede per la violazione dell’art. 1-bis, commi 2 e 3, secondo periodo e 5, per ciascun mese di riferimento, la sanzione pecuniaria da 100 a 750 euro, ferma restando la configurabilità di eventuali sanzioni in materia di protezione dei dati personali qualora ne sussistano i presupposti ex art. 83 del Regolamento UE 2016/679. In caso di mancata comunicazione alle strutture sindacali la sanzione amministrativa è compresa tra 400 e 1.500 euro per ciascun mese nel quale si verifica la violazione.
Le responsabilità nelle Pubbliche Amministrazioni
Per le Pubbliche Amministrazioni (art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001) le violazioni dell’art. 1-bis sono valutate ai fini della responsabilità dirigenziale, nonché della misura della performance, così come previsto dall’art. 7 del D.L.vo n. 150/2009.
Le sanzioni vengono applicate dall’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio.
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