La manifesta infondatezza nel licenziamento: la parola alla consulta

Prosegue l’attività della Corte Costituzionale nell’esame delle varie norme che nel decennio appena trascorso hanno riguardato la disciplina dei licenziamenti individuali

La manifesta infondatezza nel licenziamento: la parola alla consulta

Prosegue l’attività della Corte Costituzionale nell’esame delle varie norme che nel decennio appena trascorso hanno riguardato, con la legge n. 92/2012 (che ha riformato, in gran parte, l’art. 18 della legge n. 300/1970) e con il D.L.vo n. 23/2015, la disciplina dei licenziamenti individuali. Indubbiamente, molte questioni sono state sollevate negli ultimi anni dai giudici remittenti e la Corte è stata chiamata, talora, a svolgere esami di legittimità costituzionale non semplici

Con la sentenza n. 125, depositata in cancelleria lo scorso 19 maggio, la Consulta, si è occupata dell’art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970, laddove, nella alternativa tra risarcimento indennitario e reintegra nel posto di lavoro a fronte di un fatto posto a base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, correlava quest’ultima alla “manifesta” insussistenza dello stesso. Questa norma era stata introdotta nel 2012 con la c.d. “riforma Fornero” (art. 1, comma 42, lettera b, della legge n. 92/2012) ed aveva come obiettivo, ricorda la Corte Costituzionale, quello di aggiornare la disciplina dei recessi “alle esigenze del mutato contesto di riferimento”, cercando di disegnare a favore dei lavoratori colpiti da licenziamento illegittimo una tutela diversificata in relazione alla gravità rilevata dal giudice.

Per la cronaca, la questione era stata sollevata dal Tribunale di Ravenna con una ordinanza del 6 maggio 2021 che aveva lamentato la violazione di 5 articoli della nostra Carta Costituzionale (l’1, il 3, il 4, il 24 e il 35).

Dopo un lungo esame la Consulta ha accolto il ricorso sottolineando che il diritto del lavoratore a non essere ingiustamente licenziato si fonda sui principi contenuti negli articoli 4 e 35 della Costituzione e sulla speciale tutela del lavoro, in tutte le sue applicazioni, alla base del nostro ordinamento: il Legislatore, pur avendo un ampio margine di apprezzamento, è vincolato al rispetto dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, come ricordato nella sentenza n. 59/2021.

L’inciso “manifesta”, rispetto alla insussistenza del fatto all’origine del provvedimento di licenziamento ha natura indeterminata ed appare alquanto problematico il confine tra l’evidenza conclamata del vizio e  l’insussistenza pura del fatto: il criterio scelto dal Legislatore può portare a soluzioni difformi, con possibili ingiustificate disparità di trattamento. Non sussiste, nella norma, alcun punto di riferimento per una valutazione, cosa che viene ritenuta fondamentale dalla Corte in quanto l’esame del licenziamento richiede fondamentali esigenze di certezza. La sussistenza di un fatto non richiede delle graduazioni (“o c’è o non c’è”) che il giudice di merito è chiamato a risolvere in un senso o nell’altro.

La Consulta sottolinea che il criterio della manifesta insussistenza:

  1. Non ha alcuna attinenza con il disvalore del licenziamento intimato e qualora lo stesso sia per giustificato motivo oggettivo, il quadro probatorio si presenta articolato in modo tale da non essere compatibile immediatamente con un accertamento sulla insussistenza del fatto;
  2. Risulta eccentrico nell’apparato dei rimedi che, in genere, è incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale correlata alla celerità dell’accertamento;
  3. E’ indeterminato ed impegna le parti ed il giudice alla ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione della eventuale insussistenza.

La cancellazione dal comma 7 dell’art. 18 della legge n. 300/1970 della parola “manifesta” semplifica, indubbiamente, l’esame del giudice di merito che, in questo caso, si trova con un’unica strada che è quella della reintegra nel posto di lavoro e, in un certo senso, pone fine ad ogni discussione che pure c’è stata sia in dottrina che in giurisprudenza sulla portata di tale locuzione.

A questo punto, fatti salvi ulteriori approfondimenti sulla materia (questa riflessione è stata scritta, velocemente, appena depositata la decisione), è opportuno chiedersi: ma la tutela indennitaria che, pure il Legislatore ha previsto, e che diviene residuale, quando si applica?

La Corte Costituzionale si rende conto della questione e ne richiama una possibile applicazione laddove risultano violati i principi di correttezza e di buona fede nella scelta del lavoratore che sono criteri in uso, principalmente, nelle procedure collettive di riduzione di personale, laddove sulla scorta di quelli individuati dall’accordo sindacale o dall’art. 5 della legge n. 223/1991, anche in concorso tra loro (carico familiare, anzianità, esigenze tecnico produttive ed organizzative) il datore di lavoro procede nella individuazione del dipendente o dei dipendenti da licenziare.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →