Informazione e consultazione sindacale per le integrazioni salariali

La riforma degli ammortizzatori sociali attuata dal Legislatore impone la necessità di una riflessione sui passaggi relativi ai rapporti che il datore di lavoro deve tenere con le organizzazioni sindacali in ordine ai temi della informazione e della consultazione

Informazione e consultazione sindacale per le integrazioni salariali

Informazione e consultazione sindacale per le integrazioni salariali: l’Editoriale di Eufranio Massi

La riforma degli ammortizzatori sociali attuata dal Legislatore con un profondo intervento sulle determinazioni normative comprese nel D.L.vo n. 148/2015 che ha subito profondi cambiamenti, impone, a mio avviso, la necessità di una riflessione sui passaggi relativi ai rapporti che il datore di lavoro deve tenere con le organizzazioni sindacali in ordine ai temi della informazione e della consultazione (in alcuni casi anche del conseguente accordo come nei contratti di solidarietà): essa si rende opportuna anche perché nei due anni appena trascorsi, la crisi pandemica ha dettato alcuni comportamenti per certi aspetti diversi da quelli ai quali, oggi, occorre far riferimento.

Prima di entrare nel merito, ritengo opportuno chiarire, da subito, l’estrema importanza della informazione e della consultazione, atteso che essa rappresenta un passaggio ineliminabile che accompagna la richiesta di integrazione salariale, come ricorda l’INPS con la circolare n. 139/2016, laddove sottolinea la necessità che risulti, dalla documentazione, una data certa relativa alla convocazione delle organizzazioni sindacali.

Informazione e consultazione per le integrazioni salariali ordinarie

Ma andiamo con ordine, iniziando dalle previsioni contenute nell’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015 che riguarda le integrazioni salariali ordinarie, ma anche quelle del Fondo di integrazione salariale.

Esso stabilisce le procedure relative alla informazione e consultazione sindacale: si tratta di un passaggio molto importante ai fini del buon esito della richiesta di integrazione salariale ordinaria.

Il datore di lavoro (non c’è alcun riferimento al tramite dell’associazione cui aderisce, ma la cosa è, senz’altro, ammissibile), in caso di riduzione o sospensione dell’attività ha l’obbligo di comunicare, in via preventiva, alla RSA o alla RSU o, in mancanza, alle strutture territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause, l’entità, la durata prevedibile ed il numero dei lavoratori interessati. La circolare n. 139/2016 dell’INPS chiede, pena la improcedibilità dell’istanza (ma la legge non dice nulla in merito) che la comunicazione datoriale debba avvenire con raccomandata o con PEC: il tutto per avere una data certa alla quale far riferimento nel corso della procedura.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto che può essere richiesto da una delle parti (quindi anche dal datore di lavoro): l’oggetto dell’incontro è, indubbiamente, l’esame della situazione complessiva ed è finalizzato alla tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla situazione di crisi. L’incontro deve avvenire in presenza ma non è, assolutamente, esclusa la possibilità che avvenga in via telematica, ammessa con la modifica intervenuta attraverso l’art. 23 del D.L. n. 4/2022.

Il Legislatore delegato fissa termini perentori per la conclusione dell’esame congiunto (che può terminare anche senza alcun accordo): 25 giorni, ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 dipendenti.

Questa è la regola generale che può essere superata (comma 4) allorquando, a fronte di eventi non oggettivamente evitabili, la sospensione o la riduzione di orario non possano essere rinviate: in questo caso, il datore di lavoro deve comunicare alle proprie rappresentanze interne o, in mancanza, alle strutture territoriali sopra individuate, la durata prevedibile della sospensione o della riduzione ed il numero dei dipendenti interessati. Se la riduzione di orario è superiore alle 16 ore settimanali, su richiesta di una delle parti, che deve avvenire entro 3 giorni dalla comunicazione datoriale, si deve addivenire ad un esame congiunto concernente sia la previsione della ripresa della normale attività produttiva che la distribuzione degli orari di lavoro. La procedura si deve esaurire entro i 5 giorni successivi a quello della richiesta.

Queste disposizioni, che hanno una portata generale, trovano applicazione in edilizia e nel settore dei lapidei (sia dell’industria che dell’artigianato) soltanto alle richieste di proroga del trattamento con sospensione dell’attività lavorativa oltre le 13 settimane.

L’art. 14 ricorda, infine, che nella istanza di concessione, da presentare all’INPS, va data comunicazione relativa agli adempimenti della procedura.

Per quel che concerne i datori di lavoro che richiedono l’assegno di integrazione salariale al Fondo ai quali sono iscritti, occorre seguire la regolamentazione ed i tempi di informazione e consultazione previsti nel regolamento costitutivo. 

Informazione e consultazione per le integrazioni salariali straordinarie

L’art. 24 del D.L.vo n. 148/2015 detta i tempi della procedura di consultazione sindacale nel caso in cui l’impresa richieda la riorganizzazione anche per realizzare processi di transizione o la crisi aziendale. L’iter deve essere seguito anche per il raggiungimento dell’accordo di transizione occupazionale previsto dall’art. 22-ter.

Va, innanzitutto, ricordato come la comunicazione debba essere tempestiva (concetto che, senza indicazione di un termine, va correlato con la situazione aziendale) e debba essere inviata, direttamente o tramite l’associazione di categoria alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato, alle RSA o alle RSU o, in mancanza alle articolazioni territoriali di categoria delle organizzazioni dei lavoratori “comparativamente” più rappresentative a livello nazionale.

Ma, cosa va comunicato?

Nella nota vanno evidenziate le cause di sospensione o di riduzione di orario, l’entità e la durata prevedibile e il numero dei dipendenti interessati, nonché le ragioni per le quali non sono praticabili soluzioni alternative, la gestione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché il numero delle eventuali eccedenze occupazionali.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto della situazione aziendale che va chiesto da una delle parti entro i 3 giorni successivi. La richiesta va inviata anche alle Regione o al Ministero del Lavoro (Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali) per i fini che saranno esaminati tra poco. La procedura ha tempi estremamente “cadenzati” nel senso che si deve concludere, non necessariamente con un accordo come nel contratto di solidarietà difensivo, entro i 25 giorni successivi (ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 lavoratori) a quello in cui è stata avanzata la richiesta che ha aperto la procedura.

Mutuando principi già contenuti in provvedimenti precedenti (si pensi all’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 469/1997, ora abrogato, per effetto dell’art. 32 del D.L.vo n. 150/2015), l’incontro si tiene presso l’Ufficio individuato dalla Regione competente per territorio, qualora l’intervento riguardi unità produttive ubicate in una sola Regione o presso il Ministero del Lavoro se la richiesta interessa unità produttive che insistono su più ambiti regionali La norma prevede, in ogni caso, un coinvolgimento, attraverso richiesta di parere, delle Regioni interessate. A tal proposito si ricorda che per effetto dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 158/2001, convertito nella legge n. 248, il parere degli Enti regionali interessati deve pervenire entro 20 giorni dalla conclusione della procedura di consultazione sindacale: trascorso tale termine il Dicastero del Lavoro può procedere a prescindere (circolare Ministero Lavoro n. 53/2002).

Il Legislatore delegato si preoccupa di definire, puntigliosamente, l’oggetto dell’esame congiunto che consiste:

  1. Nel programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata, del numero dei soggetti interessati alla sospensione o alla riduzione di orario;
  2. Nelle ragioni che non ritengono praticabili altre forme di riduzione di orario;
  3. Nella individuazione delle misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze occupazionali;
  4. Nei criteri di scelta per individuare i lavoratori che si intendono sospendere: ciò, per evitare effetti ritorsivi, deve essere coerente con le ragioni che sono alla base della richiesta dell’intervento integrativo;
  5. Nella modalità della rotazione tra i lavoratori o nelle ragioni di natura tecnica ed organizzative che giustifichino la mancata rotazione. Il D.M. 10 marzo 2016, pubblicato sulla G.U. n. 138 del successivo 15 giugno, stabilisce che qualora in sede di verifica ispettiva, anche a seguito di segnalazione da parte delle organizzazioni sindacali o di singoli lavoratori, emerga il mancato rispetto delle modalità di rotazione dei lavoratori sospesi concordate in sede di esame congiunto, ovvero indicate nella domanda di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale, il contributo addizionale, previsto dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015, è incrementato dell’1%. L’incremento è applicato sul contributo addizionale dovuto per i singoli lavoratori ai quali non è stata applicata la rotazione e limitatamente al periodo temporale per il quale è stata accertata la violazione L’applicazione della maggiorazione percentuale avviene ad opera dell’INPS sulla base del verbale trasmesso dagli organi di vigilanza dell’Ispettorato territoriale del Lavoro.

La procedura appena esaminata si applica anche per la stipula di un accordo di transizione occupazionale, ove le parti dovranno ben specificare quanto riportato nell’art. 22-ter. Qui, come detto, la procedura si deve concludere con un accordo, atteso che per facilitare le transizioni occupazionali, alle imprese che occupano più di 15 dipendenti può essere concesso, in deroga agli articoli 4 e 22, un ulteriore intervento di CIGS finalizzato al recupero occupazionale per un periodo massimo di 12 mesi. In tal caso l’accordo sindacale, giunto al termine della procedura deve definire le azioni finalizzate sia alla rioccupazione che all’autoimpiego, con il ricorso anche ai Fondi interprofessionali per quel che riguarda la formazione e la riqualificazione professionale. I lavoratori sono obbligati a partecipare ai corsi e la mancata partecipazione, ascrivibile alla responsabilità esclusiva del lavoratore, comporta la decadenza dalla prestazione di integrazione salariale. I dipendenti che fruiscono della integrazione salariale “ulteriore” vengono inseriti nel programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) disciplinato dall’art. 1, comma 324, della legge n. 178/2020. La legge n. 234/2021 prevede incentivi per i datori di lavoro che assumono, a tempo indeterminato, lavoratori in CIGS a seguito di accordo per la transizione occupazionale:

  1. 50% dell’indennità di integrazione salariale ancora dovuta all’interessato, per un massimo di 12 mesi: si tratta di un beneficio, non immediatamente operativo, per il quale è prevista, in via prioritaria, la richiesta di un parere positivo della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione;
  2. Assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante ex art. 47, comma 4, de D.L.vo n. 81/2015 finalizzati alla qualificazione o riqualificazione professionale, secondo le regole amministrative già fissate per i lavoratori “over 29”, titolari di un trattamento di NASPI. In questo caso non occorre attendere alcun parere da parte della Commissione Europea ma la piena “agibilità” della modalità contrattuale, sono propedeutici sia la sottoscrizione dell’accordo di transizione occupazionale (quindi, non tutti i lavoratori in CIGS ma soltanto quelli identificati da quest’ultimo) e le determinazioni amministrative dell’INPS;

Da ultimo, due parole sul contratto di solidarietà, disciplinato dall’art. 21, comma 5 e già previsto dal comma 1, lettera c) del medesimo articolo. L’accordo con le organizzazioni sindacali è obbligatorio in quanto si tratta di bloccare, per tutta la durata dello stesso, i licenziamenti del personale eccedentario, fatta salva l’ipotesi a cui fa riferimento l’art. 4, comma 4, del D.M. n. 94033/2016 che esclude dallo “stop” i c.d. “licenziamenti non oppositivi”. Esso deve, quindi, contenere:

  1. Il numero dei lavoratori eccedentari, suddiviso per qualifiche;
  2. La riduzione media oraria che non può essere superiore nel periodo considerato all’80%, con punte del 90% riferite al singolo lavoratore;
  3. La possibilità di modificare in aumento le prestazioni, a fronte di necessità produttive, e le relative modalità applicative.

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Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 324 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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