Risoluzioni consensuali e NASPI dopo accordi collettivi durante il Covid

Con la circolare n. 180 del 1° dicembre 2021 l’INPS ha fornito le proprie indicazioni relative al riconoscimento della NASPI in favore dei lavoratori che, a seguito di accordi collettivi stipulati in azienda, hanno risolto, consensualmente, il proprio rapporto durante la situazione di emergenza legata alla pandemia

Risoluzioni consensuali e NASPI dopo accordi collettivi durante il Covid

Con la circolare n. 180 del 1° dicembre 2021 l’INPS ha fornito le proprie indicazioni relative al riconoscimento della NASPI in favore dei lavoratori che, a seguito di accordi collettivi stipulati in azienda, hanno risolto, consensualmente, il proprio rapporto durante la situazione di emergenza legata alla pandemia.

Per ben comprendere la questione ma anche le possibili criticità del chiarimento amministrativo dell’Istituto, credo che sia necessario ricapitolare, brevemente, lo strumento dell’accordo collettivo ricordando che la norma, nata a metà del 2020 per ovviare al blocco generalizzato dei licenziamenti per motivi economici, è stata, sostanzialmente, riportata in tutta la decretazione d’urgenza successiva. La sfera di applicazione si è, progressivamente, ristretta, man mano che (come ad esempio, nel settore industriale con esclusione di quello tessile) il divieto è venuto meno a partire dal 1° luglio.

L’accordo collettivo aziendale va stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono, a mio avviso, aggiungere la propria firma ad abundantiam) ed esplica la propria efficacia, limitatamente ai lavoratori che aderiscono e che risolvono, consensualmente, il proprio rapporto.

Questi ultimi hanno diritto alla NASPI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con la circolare n. 111/2020 e con i messaggi successivi (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato: l’Istituto si accontenta di un verbale sottoscritto anche da una sola sigla sindacale tra quelle individuate dal Legislatore accompagnato dalla dichiarazione di adesione dell’interessato che può anche consistere nel verbale conciliativo sottoscritto ex art. 410 o 411 c.p.c.). Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASPI nella misura ordinaria, rispettando, per quel che riguarda il computo, quanto previsto, da ultimo, dalla circolare INPS n. 137/2021. Nell’accordo collettivo che va siglato entro il giorno di scadenza del “blocco dei licenziamenti”, cosa che riguarda anche, secondo l’interpretazione restrittiva dell’INPS, le risoluzioni dei rapporti, le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) identificare le somme che saranno corrisposte a titolo di incentivo all’esodo. Il beneficio può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni di natura personale, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, ha riguardato le imprese con un organico superiore alle 100 unità, come previsto dal D.L. n. 73.

Nell’accordo, si può stabilire che i singoli atti di risoluzione siano firmati “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso la procedura telematica individuata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di riduzione di personale (criterio delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure obbligatorie individuali ex art. 7 della legge n. 604/1966, innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro e che riguarda i lavoratori di dipendenti da aziende con un organico superiore alle 15 unità (5 per quelle agricole), assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015.

Fatta questa breve, doverosa, premessa entro ad esaminare il merito dei chiarimenti amministrativi forniti dall’INPS: l’Istituto ricorda che fino al 30 giugno 2021 il blocco dei licenziamenti è stato generalizzato e, di conseguenza, fino a tale data, per i lavoratori che hanno risolto il proprio rapporto aderendo ad un accordo collettivo aziendale, sussiste il riconoscimento del diritto alla indennità di NASPI.

La questione, per l’INPS non è più così pacifica per il periodo successivo in quanto, non essendo più l’ammortizzatore COVID generalizzato, seppur erogato da diverse gestioni, l’eventuale accordo collettivo propedeutico alle risoluzioni consensuali ha valore, unicamente, se il datore di lavoro, con il blocco dei licenziamenti, richiede un intervento integrativo. È il caso, ad esempio, delle imprese tessili, identificate dai codici ATECO 13, 14 e 15, per  le quali i recessi sono stati bloccati fino al 31 ottobre u.s.: tale data, comunque, può ben essere superata atteso che l’art. 11, comma 7 ed 8, del D.L. n. 146/2021, consente un ulteriore periodo da fruire  entro il 31 dicembre.

La circolare n. 180 declina i datori di lavoro che possono richiedere ammortizzatori da fruire entro il 31 dicembre e che, durante il periodo, possono procedere ad accordi collettivi con risoluzioni consensuali che danno diritto alla NASPI si tratta:

  1. Dei datori di lavoro che, dopo la presentazione dell’istanza, sono stati autorizzati, ex art. 11, commi 1 e 6 del D.L. n. 146 ai trattamenti di assegno ordinario e di cassa in deroga;
  2. Dei datori di lavoro del settore tessile, a cui ho fatto cenno pocanzi che sono stati autorizzati, previa domanda, al fruire della CIGO COVID ex art. 50-bis, comma 2 del D.L. n. 73/2021 e delle successive disposizioni contenute nel D.L. n. 146;
  3. Delle impese con almeno 1.000 dipendenti che gestiscono stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, autorizzate, dopo la presentazione dell’istanza, alla CIGO COVID per ulteriori 13 settimane “godibili” entro il 31 dicembre 2021 (art. 3, commi 2 e 3, D.L. n. 103/2021);
  4. Dei datori di lavoro individuati dall’art. 8, comma 1, del D.L. n. 41/221, autorizzati ai trattamenti di integrazione salariale ordinaria e straordinaria, secondo le previsioni del D.L.vo n. 148/2015, con l’esonero dal pagamento del contributo addizionale disciplinato dall’art. 5 del predetto Decreto;
  5. Dei datori di lavoro che, dopo aver presentato istanza ex art. 40-bis, comma 1, del D.L. n. 73, sono stati autorizzati al trattamento di CIGS in deroga per u massimo di 13 settimane nel periodo compreso tra il 1 luglio ed il 31 dicembre, senza il pagamento di alcun contributo addizionale;
  6. Dei datori di lavoro dei settori del turismo, degli stabilimenti termali e del commercio, nonché del settore creativo, culturale e dello spettacolo che beneficiano dell’esonero contributivo ex art. 43 del Decreto Sostegni bis.

Fin qui l’INPS rimarca e sottolinea che i lavoratori dipendenti da datori di lavoro che non hanno richiesto l’integrazione salariale dopo il 30 giugno, in caso di sottoscrizione di un accordo collettivo al quale non hanno aderito, non hanno diritto alla NASPI.

Si tratta, a mio avviso, di una interpretazione che cozza con quanto declinato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, su parere conforme dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, con la nota n. 5186 del 16 luglio u.s., inviata alle proprie articolazioni periferiche il quale, dando indicazioni relative alla ripresa del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966, affermava, letteralmente che “il comma 10 dell’art. 8 del D.L. n. 41/2021, relativamente alle imprese di cui ai commi 2 e 8 (ovvero a quelle aventi diritto all’assegno ordinario e alla cassa integrazione in deroga di cui agli articoli 19, 21, 22 e 22 quater del D.L. n. 18/2020, nonché a quelle destinatarie della cassa integrazione operai agricoli CISOA) ha precluso, fino al 31 ottobre 2021, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966, inibendo altresì le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge”.

Il richiamo dell’INL,  ripeto, avallato dal parere positivo dei vertici ministeriali, parla di blocco dei licenziamenti fino alla fine di ottobre del 2021 e, di conseguenza, non può penalizzare quelle imprese che non hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali ma che hanno preferito concordare con l’avallo di un accordo collettivo, l’uscita “non traumatica” attraverso lo strumento delle dimissioni consensuali: dalla interpretazione dell’INPS si ricava, a mio avviso, un indirizzo poco coerente, nel senso che si intendono penalizzare i datori di lavoro di quelle imprese, virtuose, che non hanno fatto ricorso alle integrazioni salariali. Tale indirizzo, francamente, appare, un assurdo, atteso che la conferma del blocco dei licenziamenti, a prescindere o meno dall’utilizzo di strumenti di sostegno del reddito, è stato sostenuto dall’Ufficio Legislativo del Ministero. A quest’ultimo, a mio avviso, spetta l’onere di correggere l’interpretazione dell’Istituto, che rischia di lasciare numerosi lavoratori senza indennità di disoccupazione e senza lavoro.

Da ultimo, la nota dell’INPS elenca le varie ipotesi che, in via generale, danno diritto alla fruizione della NASPI. Esse sono:

  1. Il licenziamento, a prescindere dalla motivazione adottata;
  2. La scadenza del contratto a tempo determinato;
  3. Le dimissioni per giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali sul posto di lavoro, modificazioni peggiorative delle mansioni, mobbing, notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda -art. 2112 c.c., comma 4 -, spostamento del lavoratore ad altra sede senza che sussistano le comprovate esigenze tecnico-produttive ed organizzative, comportamento ingiurioso di un superiore gerarchico);
  4. Le dimissioni durante il periodo protetto della maternità (dal momento del concepimento fino ad un anno di età del bambino);
  5. La risoluzione consensuale al termine del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966;
  6. La risoluzione consensuale in seguito al rifiuto del lavoratore al trasferimento in altra sede dell’azienda distante più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore o raggiungibile in 80 minuti od oltre con i mezzi del trasporto pubblico;
  7. Il licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione ai termine dell’iter procedurale previsto dall’art. 6 del D.L.vo n. 23/2015.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →

0 Commenti

Non ci sono Commenti!

Si il primo a commentare commenta questo articolo!

Rispondi

Solo registrati possono commentare.