Assegno ordinario, Cassa in Deroga e CIGO per i tessili: le ultime proroghe del “decreto fiscale”

Con un decreto legge approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2021, il Governo è intervenuto a dettare nuove disposizioni su vari argomenti, soprattutto in materia fiscale

Assegno ordinario, Cassa in Deroga e CIGO per i tessili: le ultime proroghe del “decreto fiscale”

Con un decreto legge approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2021, il Governo è intervenuto a dettare nuove disposizioni su vari argomenti, soprattutto in materia fiscale (cd. “decreto fiscale”) e che, per quel che riguarda la materia lavoro, vede inserita una norma sulla somministrazione, un’altra sui congedi parentali nel caso in cui vi siano casi di didattica a distanza relativi a figli di età fino a 14 anni (o senza limite di età, se disabili) e, soprattutto, la revisione della normativa sui controlli riguardanti il lavoro nero e la sicurezza e alcune proroghe di integrazione salariale finalizzate ad attutire gli effetti della fine del blocco dei licenziamenti in alcuni settori. È su quest’ultimo argomento che intendo, oggi, focalizzare la mia attenzione avvertendo, comunque, che essa avviene sul testo circolato sui “media”, e non su quello che sarà bollinato dalla Ragioneria dello Stato, prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Già con l’art. 8, comma 2, del D.L. n. 41/2021 erano state concesse ventotto settimane da fruire fino alla fine del 2021 in favore delle aziende in difficoltà per le conseguenze della pandemia e che, di conseguenza, sono state costrette a sospendere o a ridurre l’attività: ebbene, ora, quelle imprese, alle quali non trova applicazione la normativa sulle integrazioni salariali che fanno riferimento alla CIGO, potranno chiedere ulteriori tredici settimane di assegno ordinario (quindi, FIS) o di cassa in deroga, nel periodo compreso tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre. L’intervento potrà essere richiesto per tutti i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto (non c’è, quindi, alcun riferimento all’anzianità aziendale di almeno novanta giorni nell’unità produttiva). Per tali trattamenti non sarà dovuto alcun contributo addizionale (e qui, la norma, si pone sullo stesso piano degli interventi già approvati con il D.L. n. 73).

La disposizione ha una copertura pari a 657,9 milioni di euro per l’anno in corso, ripartiti in 304,3 milioni per i trattamenti di assegno ordinario e di 353,6 milioni per la cassa in deroga. All’INPS, come al solito, verrà affidato un compito di monitoraggio che sarà finalizzato a verificare se il tetto massimo, anche in via prospettica, dovesse venir superato: in tal caso l’Istituto sarà tenuto a bloccare l’afflusso delle istanze.

Con il comma successivo l’Esecutivo pensa, invece, alle imprese del settore tessile identificate con i codici Ateco 13, 14 e 15, già oggetto di attenzione del D.L. n. 73 (art. 50-bis, comma 2) con interventi di CIGO fino al 31 ottobre: ebbene, verranno riconosciute ulteriori nove settimane da fruire tra il 1 ottobre ed il 31 dicembre (senza il pagamento di alcun contributo addizionale) in presenza di sospensioni o riduzioni di attività riconducibili alla pandemia. Anche in questo caso l’INPS monitorerà la spesa che, per il 2021 non potrà superare i 140,5 milioni di euro. Sia le tredici settimane che le nove verranno concesse dall’Istituto a condizione che siano state completamente autorizzate e, decorso il periodo autorizzato, sia le precedenti ventotto settimane (FIS e cassa in deroga) che il periodo di diciassette settimane (settore tessile “allargato”).

Per la presentazione delle istanze all’Istituto varranno, sempre, le stesse regole: a pena di decadenza esse dovranno essere inviate, telematicamente, entro la fine del mese successivo a quello nel quale ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario. La norma nulla dice relativamente alla fase di informazione e di consultazione sindacale che resta del tutto uguale a quella dei precedenti provvedimenti.

Il comma 5 dell’articolo che sto esaminando, tratta le questioni relative al pagamento diretto da parte dell’INPS che è in alternativa rispetto all’anticipazione da parte del datore di lavoro. Quest’ultimo che è, presumibilmente, in difficoltà economica, dovrà comunicare all’Istituto tutti i dati dei lavoratori necessari per il pagamento o il saldo entro la fine del mese successivo a quello nel quale è collocato il periodo integrativo o, in alternativa, entro trenta giorni dall’adozione del provvedimento concessorio, se posteriore. Se i termini, che sono di natura perentoria, non verranno rispettati, l’INPS non pagherà e tutti gli oneri ricadranno sul datore.

Le medesime regole si applicheranno ai Fondi bilaterali previsti dall’art. 27 del D.L.vo n. 148/2015 (tra i quali spicca, per importanza in questo specifico momento, quello del settore artigiano), i quali saranno tenuti a garantire l’assegno ordinario con le medesime modalità. I Fondi, ai quali viene complessivamente riconosciuto un “plafond” di 700 milioni di euro (ci saranno i Decreti Ministeriali a suddividerne gli importi), erogheranno gli importi nei limiti delle risorse assegnate.

Il comma 7 rappresenta uno dei punti focali della nuova disposizione: i datori di lavoro che presenteranno istanza per la fruizione dell’assegno ordinario (FIS e Fondi blaterali) o della cassa in deroga non potranno, per tutta la durata della fruizione dell’ammortizzatore:

a) Avviare procedure collettive di riduzione di personale ai sensi degli articoli 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991;

b) Procedere, a prescindere dal numero dei dipendenti in forza, a licenziamenti per motivi economici ex art. 3 della legge n. 604/1966, durante tutto il periodo di “godimento” dell’integrazione salariale: tutto questo comporta anche la sospensione dell’iter ex art. 7 della legge n. 604/1966 in corso, eventualmente iniziato. Ricordo che quest’ultimo si riferisce alla intenzione dei datori di lavoro dimensionati oltre le quindici unità, di avviare la risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo di dipendenti a tempo indeterminato, assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015. La sospensione della procedura richiama anche l’attenzione dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, presso la cui sede è istituita la commissione provinciale di conciliazione avanti alla quale si svolge il tentativo obbligatorio.

Tutto ciò, come già previsto in altri provvedimenti di urgenza emanati nel corso degli anni 2020 e 2021, non trova applicazione in alcune ipotesi ben consolidate, dalle quali, rispetto al passato, la bozza in esame, incomprensibilmente, non comprende il caso del cambio di appalto:

a) Licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, conseguenti anche alla messa in liquidazione della società, a meno che non si configuri una cessione totale o parziale di beni aziendali: in questo caso scatta la tutela dell’art. 2112 c.c. per ogni lavoratore interessato, con la conseguente illegittimità dei recessi;

b) Accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono, a mio avviso, aggiungere la propria firma “ad abundantiam”), limitatamente ai lavoratori che aderiscono. Questi ultimi hanno diritto alla NASPI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con la circolare n. 111/2020 (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato e dichiarazione di adesione). Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASPI nella misura ordinaria. Nell’accordo collettivo (per l’INPS è sufficiente anche una sola sigla tra quelle “comparativamente più rappresentative”) che va siglato entro il giorno di scadenza del “blocco dei licenziamenti” a seguito di fruizione della integrazione salariale (ma anche le risoluzioni, secondo l’Istituto, debbono avvenire entro la medesima data), le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) identificare il “quantum” a titolo di incentivo all’esodo che può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato. Nell’accordo, le parti possono anche convenire che i singoli accordi di risoluzione siano sottoscritti “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso la procedura telematica individuata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo collettivo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di personale (criterio delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure individuali ex art. 7 della legge n. 604/1966;

c) Fallimento, nel caso in cui non vi sia una prosecuzione, anche parziale dell’attività, magari autorizzata dall’autorità giudiziaria. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio riguardi uno specifico ramo d’azienda, sono esclusi dal divieto, i licenziamenti che riguardano i settori e le unità produttive non compresi nello stesso.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →