Integrazioni salariali post-COVID: i tempi delle procedure sindacali

Con i Decreti Legge n. 73/2021 e n. 99/2021, in corso di conversione in Parlamento, il Governo ha cercato, attraverso nuovi strumenti integrativi “a tempo”, di attutire gli effetti perniciosi della fine del blocco dei licenziamenti

Integrazioni salariali post-COVID: i tempi delle procedure sindacali

Con i Decreti Legge n. 73/2021 e n. 99/2021, in corso di conversione in Parlamento (tra l’altro una serie di norme sulle integrazioni salariali post COVID previste da quest’ultimo provvedimento sono state “trasportate” con emendamenti nel “corpus” della legge di conversione del D.L. n. 73), il Governo ha cercato, attraverso nuovi strumenti integrativi “a tempo”, di attutire gli effetti perniciosi della fine del blocco dei licenziamenti per motivi economici che è terminato, nel settore industriale, il 30 giugno u.s., con la sola eccezione del c.d. “settore tessile allargato” (codici ATECO 2007 13, 14 e 15) ove lo “stop” cesserà il 31 ottobre.

Le integrazioni salariali post COVID previste, ivi compreso il contratto di solidarietà difensivo “personalizzato” ed “a tempo” per le imprese che hanno subito un calo di fatturato di almeno il 50% nel raffronto tra il fatturato del primo semestre del 2019 e l’analogo periodo del 2021, rispondono ai criteri ed alle modalità individuate dal D.L.vo n 148/2015: soltanto per l’intervento previsto in favore del settore tessile l’ammortizzatore, pur senza richiamare la crisi pandemica, trae origine dal D.L. n 18/2020.

Tutto questo significa due cose: la prima è che le aziende interessate non dovranno più pensare ai temi ed alle modalità delle integrazioni salariali post COVID-19 e dovranno, quindi, riferirsi sia per la CIGO che per la CIGS che, infine, per il “mini” contratto di solidarietà, a quelli individuati dal D.L.vo n 148/2015; la seconda è che, probabilmente, gli incontri sindacali previsti dalla norma avranno un forte confronto di verifica, atteso che nella “raccomandazione” sottoscritta dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro dell’industria, nonché dal Presidente del Consiglio e dal Ministro del Lavoro, si chiede alle imprese, che dal 1° luglio sono legittimate ad effettuare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, di esplorare la possibilità di applicazione di uno degli ammortizzatori (per i quali non si paga il contributo addizionale), pensati come strumento temporaneo alternativo ai recessi.

Oggetto, quindi, di questa riflessione saranno, quindi, unicamente, le procedure di consultazione sindacale previste dal D.L.vo n 148/2015 che sono, per la tempistica ed i contenuti, completamente diverse da quelle degli ammortizzatori COVID-19.

Consultazione ed informazione per l’intervento di CIGO

L’art. 14 detta le regole per la procedura di informazione e consultazione sindacale: esse sono, a mio avviso, valide anche per questa CIGO, per la quale non è previsto il pagamento di alcun contributo addizionale e che non potrà andare oltre il prossimo 31 dicembre.

Il datore di lavoro, anche assistito dalla propria associazione di categoria, in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa ha l’obbligo di comunicare, in via preventiva, alla RSA o alla RSU o, in mancanza, alle strutture territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause, l’entità, la durata precedibile ed il numero dei lavoratori interessati. La circolare n. 139/2016 dell’INPS chiede, pena la improcedibilità dell’istanza (ma la legge non dice nulla in merito) che la comunicazione datoriale debba avvenire con raccomandata.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto che può essere richiesto da una delle parti (quindi anche dall’imprenditore): l’oggetto dell’incontro è, indubbiamente, l’esame della situazione complessiva ed è finalizzato alla tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla situazione di crisi.

Il Legislatore delegato fissa termini perentori per la conclusione dell’esame congiunto (che può terminare anche senza il raggiungimento di alcun accordo): 25 giorni, ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 dipendenti.

Questa è la regola generale che può essere superata (comma 4) allorquando, a fronte di eventi non oggettivamente evitabili la sospensione o la riduzione di orario, non possano essere differite: in questo caso il datore di lavoro deve comunicare alle proprie rappresentanze interne o, in mancanza, alle strutture territoriali delle organizzazioni sindacali sopra individuate, la durata prevedibile della sospensione o della riduzione ed il numero dei dipendenti interessati. Se la riduzione di orario è superiore alle 16 ore settimanali, su richiesta di una delle parti, che deve avvenire entro 3 giorni dalla comunicazione datoriale, si deve addivenire ad un esame congiunto concernente sia la previsione della ripresa della normale attività produttiva che la distribuzione degli orari di lavoro. La procedura si deve esaurire entro i 5 giorni successivi a quello della richiesta.

Queste disposizioni, che hanno una portata generale, trovano applicazione in edilizia e nel settore dei lapidei (sia dell’industria che dell’artigianato) soltanto alle richieste di proroga del trattamento con sospensione dell’attività lavorativa oltre le 13 settimane.

L’art. 14 ricorda, infine, che nella istanza di concessione, da presentare all’INPS, va data comunicazione relativa agli adempimenti della procedura.

Una breve considerazione appare necessaria: se la richiesta datoriale parla di carenza di commesse o di crisi temporanea di mercato, probabilmente, l’esame congiunto sarà molto più in profondità, rispetto ad una causale molto più temporanea legata a fenomeni meteorologici o situazioni simili. Si ricorda, infatti, che i licenziamenti sono esclusi dalla norma per tutto il periodo intercorrente tra la presentazione della domanda e la fruizione dell’intervento integrativo richiesto e che, comunque, uno dei requisiti essenziali alla base della CIGO, consiste nella ripresa dell’attività produttiva, non potendosi attaccare alla fine dell’integrazione, il licenziamento immediato dei lavoratori ritenuti eccedentari.

Consultazione sindacale in caso di richiesta di CIGS

Il discorso si presenta leggermente diverso nel caso in cui l’impresa richieda un intervento integrativo straordinario per riorganizzazione o crisi aziendale che, ai sensi dell’art. 40, comma 3, del D.L. n. 73 non può andare oltre il 31 dicembre.

L’art. 24 detta i tempi della procedura.

Va, innanzitutto, ricordato come la comunicazione debba essere tempestiva (concetto che, senza indicazione di un termine, va correlato con la situazione aziendale) e debba essere inviata, direttamente o tramite l’associazione di categoria alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato, alle RSA o alle RSU o, in mancanza alle articolazioni territoriali di categoria delle organizzazioni dei lavoratori “comparativamente” più rappresentative a livello nazionale. Nella nota vanno evidenziate le cause di sospensione o di riduzione di orario, l’entità e la durata prevedibile ed il numero dei lavoratori interessati: in questa fase, rispetto al passato, non è obbligatoria l’individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto della situazione aziendale che va chiesto da una delle parti entro i 3 giorni successivi (come già prevedeva il vecchio art. 2 del DPR n. 218/2000). La richiesta va inviata anche alle Regione o al Ministero del Lavoro Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali) per i fini che saranno esaminati tra poco. La procedura ha tempi estremamente “cadenzati” nel senso che si deve concludere, non necessariamente con un accordo come nel contratto di solidarietà difensivo, entro i 25 giorni (ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 lavoratori) successivi a quella in cui è stata avanzata la richiesta che ha aperto la procedura.

Mutuando principi già contenuti in provvedimenti precedenti (si pensi all’art. 3, comma 2, del D.L.vo n. 469/1997, abrogato per effetto dell’art. 32 del D.L.vo n. 150/2015), l’incontro si tiene presso l’Ufficio individuato dalla Regione competente per territorio, qualora l’intervento riguardi unità produttive ubicate in una sola Regione o presso il Ministero del Lavoro se la richiesta riguardi unità produttive ubicate in più ambiti regionali La norma prevede, in ogni caso, un coinvolgimento, attraverso richiesta di parere, delle Regioni interessate. A tal proposito si ricorda che per effetto dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 158/2001, convertito nella legge n. 248, il parere degli Enti regionali interessati deve pervenire entro 20 giorni dalla conclusione della procedura di consultazione sindacale: trascorso tale termine il Dicastero del Lavoro può procedere a prescindere (circolare Ministero Lavoro n. 53/2002).

Il Legislatore delegato si preoccupa di definire, puntigliosamente, l’oggetto dell’esame congiunto che consiste:

  1. Nel programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della durata, del numero dei soggetti interessati alla sospensione o alla riduzione di orario;
  2. Nelle ragioni che non ritengono praticabili altre forme di riduzione di orario;
  3. Nella individuazione delle misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze occupazionali;
  4. Nei criteri di scelta per individuare i lavoratori che si intendono sospendere: ciò, per evitare effetti ritorsivi, deve essere coerente con le ragioni che sono alla base della richiesta dell’intervento integrativo;
  5. Nella modalità della rotazione tra i lavoratori o nelle ragioni di natura tecnica ed organizzative che giustifichino la mancata rotazione: a tal proposito (comma 6) entro 60 giorni dalla entrata in vigore del Decreto Legislativo (ossia il 23 novembre 2015), con D.M. “concertato” tra Lavoro ed Economia doveva essere definito l’incremento del contributo addizionale a titolo di sanzione per la mancata rotazione. Ciò è avvenuto con il D.M. 10 marzo 2016, pubblicato sulla G.U. n. 138 del successivo 15 giugno. Ora, la disposizione, che sostituisce “in toto” la vecchia disciplina contenuta nell’art. 1, comma 8, della legge n. 223/1991, stabilisce che qualora in sede di verifica ispettiva, anche a seguito di segnalazione da parte delle organizzazioni sindacali o di singoli lavoratori, emerga il mancato rispetto delle modalità di rotazione dei lavoratori sospesi concordate in sede di esame congiunto, ovvero indicate nella domanda di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale, il contributo addizionale, previsto dall’art. 5 del D.L.vo n. 148/2015, è incrementato dell’1%, sul contributo addizionale che, però, nei provvedimenti integrativi straordinari previsti dai D.L. n. 73/2021 e n. 99/2021 non è previsto;
  6. Nella eventuale non percorribilità della strada del contratto di solidarietà difensivo (ci si riferisce a quello ordinario e non a quello che riguarda i datori di lavoro che hanno avuto un calo del fatturato di almeno il 50% e per i quali è previsto un cds “particolare ed a tempo” dall’art. 40 del D.L. n. 73): ciò, per la verità, non è detto dalla norma ma, a mio avviso, essa potrebbe anche essere declinata dalle parti nel verbale, atteso che il Legislatore con la scelta effettuata vuole privilegiare gli interventi salariali che attraverso la riduzione dell’orario mantengano il “cordone ombelicale” tra i lavoratori e l’impresa.

Contratto di solidarietà difensivo per le imprese con un calo del fatturato di almeno il 50%

Ho già avuto modo di affrontare su questo blog la tematica relativa a questo ammortizzatore che è disciplinato dall’art. 40, comma 1, del D.L. n. 73 e che postula, quale condizione essenziale, che l’impresa abbia subito un calo del fatturato di almeno il 50% nel raffronto tra il 1° semestre del 2019 ed il corrispondente periodo del 2021.

Il contratto presenta alcune peculiarità che vanno ben evidenziate:

  1. Può avere una durata non superiore a 26 settimane;
  2. E’ stipulabile dal 26 maggio e non può andare oltre il 31 dicembre 2021;
  3. Deroga alle previsioni contenute negli articoli 4 e 21 del D.L.vo n. 148/2021: ciò significa che il periodo di tale integrazione salariale non rientra nella durata complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile, anche nel caso in cui il contratto con la causale della solidarietà venga computato per la metà nella parte eccedente i 24 mesi (art. 22, comma 5): inoltre, la disciplina specifica prevista per tale ammortizzatore dall’art. 21, viene meno ed è sostituita da quella individuata dall’art. 40.

L’integrazione salariale è pari al 70% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai lavoratori per le ore di lavoro non prestate, senza il limite massimo previsto dall’art. 3, comma 5 del D.L.vo n. 148/2015. Di conseguenza non c’è il tetto di 998,18 euro lordi e 939,89 netti se la retribuzione risulta inferiore o uguale a 2.159,48 euro e di 1.199,72 euro lordi e 1.129,66 netti se la retribuzione risulta superiore a 2.159,48 euro: (tali valori, come ricorda la circolare INPS n. 7/2021) sono leggermente maggiorati nel settore edile.

Sulla richiesta non grava l’onere di alcun contributo addizionale che, ricordo, è del 9%, del 12% e del 15% sulla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestato a seconda del periodo integrativo all’interno del quinquennio mobile (art. 5).

Le richieste possono essere avanzate entro un limite di spesa per il 2021 pari a 557,8 milioni di euro: l’INPS è incaricato del monitoraggio della spesa e, in caso di superamento, anche prospettico, del limite di spesa, l’Istituto non prende in considerazione le ulteriori domande.

Fatta questa breve premessa e tornando all’oggetto di questa riflessione debbo rimarcare come nell’art. 40 non si rinvengano norme particolari per quel che riguarda la procedura sindacale: di conseguenza, fatti salvi specifici chiarimenti ministeriali, dovrebbe trovare applicazione quanto affermato nel D.L.vo n. 148/2015.

Da ciò ne consegue che, a differenza degli altri ammortizzatori sociali straordinari, nel contratto di solidarietà difensivo viene richiesto, obbligatoriamente, l’accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (o loro articolazioni territoriali), con le “loro” RSA o la RSU, come ci ricorda il richiamo effettuato all’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015.

Cosa va concordato con le organizzazioni sindacali?

Innanzitutto, la durata che, nel caso di specie, è, come detto, al massimo di 26 settimane e non può andare oltre il 31 dicembre 2021.

L’esubero va quantificato e motivato: il contratto di solidarietà non è applicabile (se valgono le regole generali richiamate anche dal D.M. n. 94033/2016) all’edilizia in caso di fine lavoro o fase lavorativa e, quindi, in tale specifico settore, se l’accordo riguarda i “lavoratori permanenti”, questi vanno riportati nominativamente nell’accordo, distinguendoli da quelli di cantiere.

Il contratto di solidarietà non è previsto per i lavoratori con contratto a termine legati ad esigenze stagionali ed è ammissibile per i c.d. “lavoratori a tempo parziale” strutturali nella organizzazione del lavoro: per costoro risulta ipotizzabile la ulteriore riduzione di orario. Queste regole generali che riguardano il “normale” contratto di solidarietà difensivo, attendono una conferma, in tal senso, da parte della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro.

In caso di minore ricorso alla solidarietà, per sopravvenute esigenze lavorative, il datore di lavoro, ricorda il D.M. n. 94033, deve darne notizia sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Occupazione ed all’INPS: nell’ipotesi di una maggiore riduzione occorre, invece, un nuovo accordo. Si tratta, comunque, di principi che sono pienamente riferibili anche al nuovo provvedimento ex art. 40, comma 1, del D.L. n. 73. Ai fini della gestione complessiva del contratto si ricorda che, in via generale, i lavoratori in solidarietà non possono effettuare prestazioni straordinarie.

Durante il trattamento integrativo il datore di lavoro non può procedere a licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo o collettivi a seguito di procedura di riduzione di personale. Ciò non è detto espressamente ma è nel c.d. “DNA” dei contratti di solidarietà, ove, riferendosi ai “normali” contratti di solidarietà, l’art. 4 del D.M. del Ministro del Lavoro n. 94033/2016   parla, unicamente, di “licenziamenti non oppositivi”, ossia di risoluzioni concordate o di dimissioni, anche incentivate.

Altra questione che si potrebbe presentare, riguarda il calcolo del mantenimento dei livelli occupazionali.

A mio avviso, non vi rientrano i dipendenti che risolvono il proprio rapporto per pensionamento, per dimissioni o per risoluzione consensuale, attivabile, quest’ultima, anche a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali. Ovviamente, anche i dipendenti licenziati per giusta causa non rientrano nel computo del mantenimento dei livelli occupazionali.

La riduzione media oraria non può essere superiore all’80%, riferita all’orario giornaliero, settimanale o mensile, con punte per ciascun lavoratore, rapportato all’intero periodo, pari al 90%: il tradizionale contratto di solidarietà prevede una percentuale del 60% elevabile, sull’intero periodo, per il singolo lavoratore al 70%.

Ripetendo in una sorta di “copia e incolla” quanto già previsto dall’art. 21, comma 5, del D.L.vo n. 148/2015, l’art. 40 ricorda che;

  1. Il trattamento economico da prendere in considerazione per il calcolo della indennità integrativa non tiene conto di eventuali contratti integrativi aziendali stipulati nel semestre antecedente la richiesta;
  2. Il trattamento di integrazione salariale viene ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale;
  3. L’accordo collettivo deve indicare le modalità attraverso le quali l’azienda, nei limiti del normale orario di lavoro, può soddisfare le esigenze di maggiore attività, modificando, in aumento, l’orario ridotto: il maggior aumento di lavoro comporta la riduzione del trattamento integrativo.

Come si vede, sono tutte questioni importanti che toccano la vita sia dell’azienda che dei lavoratori interessati e che, quindi, a differenza degli altri ammortizzatori, sollecitano il consenso aziendale e delle associazioni sindacali interessate.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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