La risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dei nuovi assunti negli appalti

eufraniomassi_articoloLa riflessione di questa settimana è focalizzata sulle previsioni introdotte dall’art. 7 dello schema di decreto legislativo sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in materia di licenziamento di lavoratori nuovi assunti a tempo indeterminato già operanti con la vecchia impresa su quel posto di lavoro con analoga tipologia contrattuale.
Il cambio di appalto fa sì che con l’azienda aggiudicatrice si instauri un nuovo rapporto, in quanto quello in essere con la precedente impresa ha termine con la fine della prestazione. Tutto questo in un quadro normativo che non consente, nel corso del 2015, all’impresa subentrante di usufruire delle agevolazioni previste dal comma 118 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 nel tetto massimo di 8.060 euro all’anno per ognuno dei tre anni successivi alla instaurazione del rapporto, in quanto i soggetti che si vanno ad assumere hanno già avuto nel semestre precedente un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La norma ipotizzata dal Legislatore delegato riguarda, è bene sottolinearlo, unicamente, i rapporti a tempo indeterminato (i lavoratori sono “nuovi assunti” per l’impresa, ma la prestazione continua senza soluzione di continuità negli stessi locali ed uffici come postula, ad esempio, l’art. 4 del CCNL multi servizi) e non i contratti a termine che, pure, sono abbastanza numerosi. Per i prestatori c.d. “veterani” (ossia assunti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo) nulla cambia rispetto al passato essendo possibile azionare il diritto con le tutele previste dall’art. 18 della legge n. 300/1970 se l’imprenditore ha un numero di dipendenti superiore alla soglia fatidica e dalla legge n. 108/1990, se sotto.

L’art. 7 afferma che ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo previsti per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo e giusta causa (art. 3, comma 1), per i licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali (art. 4) e per l’offerta di conciliazione avanti ad una “sede protetta” (art. 6), l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze del datore di lavoro subentrante nell’appalto, si computa  tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Per completezza di informazione ricordo i contenuti degli articoli appena citati:

a)      Art. 3, comma 1: nel caso in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o giusta causa, dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (la cui natura è sanzionatoria, satisfattiva e, nella gran parte dei casi, risarcitoria) non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, partendo da una base di quattro, con un tetto fissato a ventiquattro mensilità. Per le imprese dimensionate fino a quindici unità (e per quelle agricole fino a cinque) gli importi sono dimezzati e, in ogni caso, non superiori a sei mensilità;

b)      Art. 4: in presenza di vizi afferenti la motivazione (art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966) o la procedura ex art. 7 della legge n. 300/1970, il giudice, fatto salvo il caso in cui ricorrano gli estremi della risoluzione nulla, discriminatoria, inefficace o per fatto materiale insussistente, dichiara estinto il rapporto alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità, con le stesse caratteristiche della precedente, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, partendo da una base di due, e non superiore a dodici mensilità (per le piccole aziende è tutto dimezzato sempre nel limite massimo delle sei mensilità);

c)      Art. 6: l’offerta conciliativa facoltativa del datore di lavoro prevede una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, partendo da una base di due, fino ad un tetto di diciotto: le somme sono ridotte alla metà, sempre con un tetto di sei mensilità, per i piccoli datori di lavoro.

Tutto questo potrebbe essere foriero, nei prossimi anni, di qualche problema per le aziende subentranti le quali, soprattutto in quelle situazioni nelle quali è alto (e con una certa anzianità di servizio) il numero dei lavoratori a tempo indeterminato (che si è “costretti” ad assumere in base ad una norma di natura contrattuale – si pensi all’art. 4 del CCNL multi servizi che si applica alle imprese aderenti a Confindustria –  o perché inserita nel bando di gara), dovranno calcolare anche il costo ipotetico delle mensilità maturate. Ciò potrebbe causare qualche difficoltà operativa, se nel corso degli anni vi siano stati diversi cambi di appalto ma soprattutto se con un precedente datore di lavoro il dipendente abbia svolto la propria attività, in maniera continuativa, su più postazioni lavorative riferite a più appalti dello stesso imprenditore, con orari flessibili e diversificati che potrebbe essere non agevole quantificare, con riferimento al luogo ove il prestatore ha operato alle dipendenze dell’ultima impresa.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 323 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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