Mobilità in deroga: cosa c’è di nuovo? [E.Massi]

La reintroduzione della mobilità in deroga, praticamente scomparsa, è finalizzata per reinserire nel nostro ordinamento alcune forme di tutela dei lavoratori

Mobilità in deroga: cosa c’è di nuovo? [E.Massi]

Il Legislatore del “Jobs Act”, aveva profondamente riformato la normativa sugli ammortizzatori sociali: la CIGS per cessazione di attività era scomparsa, l’indennità ordinaria di mobilità per i lavoratori espulsi dai processi produttivi era stata cancellata dal nostro ordinamento a partire dal 1° gennaio 2017, la CIGS in deroga ridotta ai minimi termini e la mobilità in deroga, sostanzialmente, finita.

Si era puntato sulla NASPI come strumento di transizione tra un lavoro e l’altro, sull’assegno di ricollocazione in un’ottica che prevedeva un forte sviluppo delle politiche attive del lavoro di competenza della singola Regioni e Province autonome accompagnato da incentivi per l’inserimento, anche a termine, dei lavoratori, nel mondo del lavoro.

Il mancato decollo delle politiche attive ha rappresentato la “palla al piede” del nuovo sistema ipotizzato dal Legislatore il quale aveva anche previsto, per i lavoratori assunti con le c.d. tutele crescenti”, un costo certo legato alla risoluzione del rapporto di lavoro per licenziamento dovuto a giusta causa, giustificato motivo soggettivo od oggettivo, strettamente correlato all’anzianità aziendale: principio che è stato “bocciato” dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018 la quale ha ritenuto che tale criterio, seppur importante, dovesse essere integrato con gli altri previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966 (dimensione dell’impresa, contesto socio economico, comportamento tenuto dalle parti nel corso della controversia, ecc.), con la conseguenza (almeno nelle imprese dimensionate oltre i 15 dipendenti) che l’indennità risarcitoria può “spaziare” da un minimo di sei ad un massimo di trentasei mensilità, calcolate sull’ultima retribuzione utile ai fini del TFR.

Tale premessa si è resa necessaria per comprendere come la reintroduzione della mobilità in deroga (comma 251 dell’art. 1, della legge n. 245/2018) si inquadri in un disegno normativo e giudiziario, finalizzato a reinserire nel nostro ordinamento alcune forme di tutela dei lavoratori, già cancellate: basti pensare anche alla “reviviscenza” della CIGS per cessazione di attività, reintrodotta, con alcuni paletti e garanzie, fino al termine del 2020, dall’art. 44 del D.L. n. 109/2018 (il c.d. “Decreto per Genova”) convertito, con modificazioni, nella legge n. 130.

Il comma 251 afferma che il trattamento di mobilità in deroga viene concesso, nella durata massima di dodici mesi, in favore di quei lavoratori che hanno terminato il periodo di CIGS in deroga nell’arco temporale compreso tra il 1° dicembre 2017 ed il 1° dicembre 2018 e non hanno diritto alla NASPI. Tali lavoratori sono inseriti dalle singole Regioni in piani di politica attiva (formazione professionale, riconversione, progetti di inserimento finalizzato alla ricollocazione, ecc.) che vanno comunicati sia al Ministero del Lavoro che all’ANPAL (comma 252): probabilmente, attraverso specifici chiarimenti amministrativi, saranno date delucidazioni dal Dicastero del Lavoro circa le modalità ed i contenuti dei piani.

Il quadro complessivo dei possibili destinatari della mobilità in deroga va, necessariamente, integrato con la previsione contenuta nell’art. 25-bis del D.L. n. 119/2018 convertito, con modificazioni, nella legge n. 136. Tale disposizione prevede che ai lavoratori, già occupati in aree di crisi industriale complessa, possa essere riconosciuta la mobilità in deroga a condizione che abbiano cessato la mobilità ordinaria o in deroga nei periodi compresi tra il 22 novembre 2017 ed il successivo 31 dicembre, tra il 1° luglio 2018 ed il 31 dicembre 2018 (il periodo gennaio – giugno 2018 è stato già riconosciuto dall’art. 1, comma 142 della legge n. 205/2017). Anche in questo caso la durata massima è per dodici mesi, viene previsto l’inserimento in piani di politica attiva ed il beneficio viene meno nel caso in cui il lavoratore trovi una nuova occupazione.

Ma, con quali risorse vengono coperti gli oneri?

La risposta la fornisce il comma 253: essi hanno un tetto che è rappresentato dal massimo delle risorse residue disponibili per le politiche del lavoro e l’occupazione delle singole Regioni e Province Autonome: l’attuazione delle previsioni contenute nei commi precedenti è rimessa ad un Decreto “concertato” tra i Ministri del Lavoro e dell’Economia per il quale non è previsto alcun termine per l’emanazione. Alla luce della formulazione della disposizione si potrebbero verificare delle disparità nella fruizione della mobilità in deroga in quanto l’ammontare e, soprattutto, la durata massima dipendono dalle risorse residue disponibili nei singoli ambiti territoriali regionali.

La norma appena richiamata necessita, per motivi di organicità nella esposizione, di taluni chiarimenti.

Cominciamo dalla mobilità in deroga: si tratta di un trattamento economico che garantisce ai lavoratori che non possono accedere ad altre misure di sostegno, un reddito che va a sostituire la retribuzione. Di conseguenza non spetta a chi ha fruito, ad esempio, della mobilità ordinaria o della disoccupazione agricola o della NASPI, o a lavoratori che pur avendo diritto ad un ammortizzatore non ne abbiano fatto richiesta. In genere spetta a quei prestatori (vi sono compresi anche gli apprendisti ed i lavoratori somministrati) individuati con provvedimenti regionali di concessione, oppure con provvedimenti governativi, qualora ci si trovi in presenza di imprese ubicate in ambiti pluriregionali.

La Cassa integrazione guadagni in deroga, invece, che nei casi evidenziati dal Legislatore, è propedeutica alla mobilità in deroga, è uno strumento di sostegno del reddito, riconosciuto sia per aree regionali che a seguito di accordi governativi, laddove, per una serie di ragioni, non è possibile accedere al normale trattamento integrativo salariale. L’indennità è pari all’80% di ciò che il lavoratore avrebbe ottenuto per le ore di lavoro non effettuate, con il limite massimo delle 40 settimanali. La durata viene stabilita dagli accordi territoriali e rientra nel tetto massimo dei 36 mesi nel quinquennio.

La fruizione della NASPI, prevista dal D.L. vo n. 22/2015 postula la presenza di alcuni requisiti che debbono sussistere congiuntamente:

  • stato di disoccupazione involontario;
  • almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni antecedenti l’inizio del periodo di disoccupazione;
  • 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Da ultimo, una riflessione sulle politiche attive, finalizzate alla rioccupazione dei lavoratori: è possibile fruire della possibilità prevista dall’art. 47, comma 4, del D.L. vo n. 81/2015 che consente l’attivazione di rapporti di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, per una qualificazione o riqualificazione professionale in favore di soggetti che fruiscono della indennità di mobilità?

La risposta, ad oggi, sulla base di quanto affermato sia dall’INPS con la circolare n. 108/2018 (punto 2.2.1.) che dal Ministero del Lavoro (nota del 16 aprile 2018) è negativa in quanto la disposizione si riferisce unicamente ai titolari del trattamento di mobilità ordinaria e non in deroga.

 

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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