Il recupero delle agevolazioni contributive non dovute [E.Massi]

Il recupero delle agevolazioni contributive non dovute [E.Massi]

Sono sempre più frequenti le lamentele di chi, sottoposto a verifica per assunzioni agevolate fruite nel corso degli ultimi anni, non se le vede “ex post” riconosciute con la conseguente richiesta di restituzione da parte dell’INPS.

Prima di esaminare la questione nella sua complessità, occorre dire che questo fenomeno si è particolarmente accentuato a seguito dei controlli sui benefici triennali e, poi, biennali, correlati alle nuove assunzioni avvenute nel corso del 2015 e del 2016 per effetto dei provvedimenti normativi contenuti nelle leggi n. 190/2014 e n. 208/2015.

Vale la pena di ricordare, con riferimento a queste due disposizioni, come gli sgravi contributivi non siano riconosciuti dallo stesso Legislatore se nei sei mesi antecedenti il lavoratore era stato occupato con un contratto a tempo indeterminato, se nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore delle singole norme sopra citate il soggetto era alle dipendenze a tempo indeterminato dello stessa impresa o di altra collegata o controllata o facente capo, anche per interposta persona, allo stesso proprietario o se, in forza, prima dell’assunzione, presso lo stesso datore con un contratto di collaborazione anche a progetto, lo stesso era stato ricondotto a rapporto di lavoro subordinato a seguito di visita ispettiva, a meno che il datore non avesse già acceduto alla stabilizzazione specifica prevista, a partire dal 2016, dall’art. 54 del D.L.vo n. 81/2015.

Fatta questa breve premessa, ricordo che qualunque beneficio postula il rispetto del commi 1175 e 1176   dell’art. 1 della legge n. 296/2006, dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 e, laddove richiesto (v. assunzione  tempo pieno ed indeterminato dei lavoratori in NASPI, o dei disoccupati da almeno dodici mesi “over 50”), della normativa europea sugli aiuti di Stato, cosa che comporta, per gli Enti pubblici interessati, la consultazione del Registro nazionale degli Aiuti di Stato rinvenibile su una piattaforma informatica del Ministero dello Sviluppo Economico, operativa dallo scorso 12 agosto. Tra le altre cose, a completamento degli oneri che gravano sul datore, per effetto di disposizioni europee, spesso viene richiesto anche l’incremento occupazionale rispetto all’organico medio dei dodici mesi precedenti (v., tra gli altri, “Garanzia Giovani”, laddove è necessario, per l’assunzione a tempo indeterminato degli “over 25” se si è superata la soglia del “de minimis”).

Rispetto del comma 1175 significa:

  1. regolarità contributiva rilevabile dal DURC, fermi restando gli altri obblighi di legge;
  2. rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro che non risultino ostative al rilascio del Documento Unico di Regolarità contributiva;
  3. rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Rispetto dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 (che ha riportato il contenuto in precedenza presente all’interno dell’art. 4 della legge n. 92/2012) significa che le agevolazioni correlate ad una assunzione non spettano (ma non influiscono sulla legittimità del rapporto instaurato):

  1. se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo derivante dalla legge (collocamento di disabile a seguito di ”scopertura” accertata, a meno che non si tratti di lavoratori destinatari specifici dell’incentivo previsto dall’art. 13 della legge n. 68/1999) o dal contratto collettivo (anche aziendale): ciò vale anche per i lavoratori utilizzati in somministrazione;
  2. se non è stato rispettato un diritto di precedenza stabilito dalla legge (ad esempio, l’art. 47 della legge n. 428/1990 o l’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o l’art. 24, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015). L’esclusione dal beneficio ha effetto anche su quei datori che hanno fatto ricorso alla somministrazione senza aver offerto l’assunzione ad un lavoratore che ne aveva diritto per legge o per aver esercitato “la precedenza” con le modalità previste dalla normativa sui contratti a termine;
  3. se vi sono in corso sospensioni dal lavoro legate a crisi o riorganizzazione aziendale a meno che l’assunzione non riguardi unità produttive interessate dall’integrazione salariale straordinaria o personale con livelli diversi da quelli dei lavoratori sospesi;
  4. se il datore assumente, o che utilizza lavoratori in somministrazione, presenta aspetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore che ha proceduto al licenziamento del lavoratore nei sei mesi precedenti.

Rispetto della normativa sugli Aiuti di Stato significa:

  1. essere all’interno del “de minimis” ex Regolamento UE n. 1407/2013: quanto appena detto porta a riconoscere che sono considerati ammissibili aiuti derivanti dalla normativa nazionale, regionale ed europea che non superino in tre esercizi finanziari la somma complessiva di 200.000 euro (100.000 nel trasporto di merci su strada per conto terzi). Non rientrano in tali importi gli aiuti che un’azienda possa aver ottenuto sulla base di uno specifico regolamento di esecuzione autorizzato dalla Commissione. Nel settore della pesca (produzione, commercializzazione e trasformazione di prodotti ittici), per effetto del Regolamento n. 717/2014 il limite è fissato in 30.000 euro, mentre in agricoltura l’importo massimo viene fissato dal Regolamento n. 1408/2013 in 15.000 euro. Per completezza di informazione va ricordato che in presenza di imprese collegate o controllate, o riconducibili allo stesso proprietario, gli importi vengono computati unitariamente sulla base del concetto della c.d. “impresa unica”;
  2. non essere datori di lavoro tenuti alla restituzione degli Aiuti di Stato dichiarati incompatibili (si pensi alle agevolazioni dei contratti di formazione e lavoro, dichiarate non conformi alla normativa europea).

Rispetto della norma sull’incremento occupazionale netto significa:

  1. “aumento netto del numero di dipendenti dello stabilimento (inteso come intera organizzazione del datore di lavoro) rispetto alla media relativa ad un periodo di riferimento: i posti di lavoro soppressi in tale periodo devono essere dedotti e il numero di lavoratori occupati a tempo pieno, a tempo parziale o stagionalmente va calcolato considerando le frazioni di unità di lavoro – anno ULA”: art. 2, paragrafo 32, Regolamento n. 651/2014;
  2. “porre a raffronto il numero medio di unità lavoro –anno ULA dell’anno precedente all’assunzione con il valore medio di unità – lavoro dell’anno successivo all’assunzione “: Corte Europea di Giustizia, Sezione II, 2 aprile 2009, n. C- 415/07;
  3. che il riferimento va effettuato sulla effettiva forza lavoro e non su quella stimata (interpello Ministero del Lavoro n. 34/2014);
  4. che nel computo non vanno compresi i posti resisi vacanti per effetto di dimissioni volontarie, invalidità, pensionamento per raggiunti limiti di età, riduzione volontaria dell’orario di lavoro, licenziamento per giusta causa. Su questi punti sarebbero necessari, a mio avviso, alcuni chiarimenti amministrativi da parte del Ministero del Lavoro su come, ad esempio, debbano essere calcolati quei lavoratori che “dimissionari di fatto” non compilano il modello telematico obbligatorio e il datore di lavoro si vede “costretto” ad adottare un provvedimento di licenziamento il quale, essendo di natura disciplinare (assenza reiterata), vede attivata la procedura ex art. 7 della legge n. 300/1970 e non può essere definito “per giusta causa”. Parimenti sussiste la questione di come debbano essere computati i lavoratori che accedono all’APE i quali risolvono il rapporto ma in pensione di vecchiaia ci andranno al compimento dei 66 anni e 7 mesi (limite attuale).

Fatte queste brevi e doverose premesse, passo ad esaminare sia le posizioni dell’INPS relative alla verifica del “DURC interno” che quelle espresse, di recente, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 3 del 13 luglio 2017 che dalla Cassazione con la sentenza n. 21053    dell’11 settembre 2017, ricordando, peraltro che i datori di lavoro che intendano usufruire di agevolazioni debbono autocertificare con PEC all’Ispettorato territoriale del Lavoro, l’inesistenza di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali di natura definitiva ostativi al riconoscimento degli sgravi.

L’INPS, anche sulla scorta di quanto affermato nel messaggio n. 3220/2017, si avvale dell’iter procedimentale in base al quale entra sul portale DURC online, attivando le verifiche per tutte le denunce UNIEMENS ove risultino emesse note di rettifica con la causale “addebito art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006” ed ove non risulti già emesso il preavviso di DURC interno negativo. Da ciò discende che i datori debbono mettersi in regola anche con richieste di dilazione.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 3 ha avuto, a mio avviso, il pregio di affrontare la questione del recupero contributivo “ad ampio spettro”, esaminando sia  il problema della regolarità contributiva che quello del mancato rispetto della contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, anche a livello territoriale od aziendale.

La revoca dei benefici per un’azienda non in regola con i versamenti contributivi riguarda la totalità dei dipendenti fruitori di agevolazioni: l’INL ricorda anche il contenuto dell’interpello n. 33/2013 laddove veniva affermato che “una volta esaurito il periodo di non rilascio del DURC, l’impresa potrà tornare a godere dei benefici normativi e contributivi ivi compresi quei benefici di cui è ancora possibile godere in quanto non legati a particolari vincoli territoriali”.

Ma nei quindici giorni finalizzati alla regolarizzazione del DURC, previsti dal D.M. 30 gennaio 2005, il datore di lavoro può regolarizzare anche le gravi violazioni individuate nell’allegato A (la maggior parte riguardano la salute e la sicurezza dei lavoratori), accertate con provvedimenti o giudiziari definitivi?

La risposta della circolare n. 3 è negativa in quanto si tratta di violazioni molto gravi che incidono sulla salute e sicurezza dei lavoratori  e che non consentono, per ognuna delle violazioni indicate, il rilascio della regolarità contributiva per un periodo compreso, in relazione alla gravità, tra 24 e 3 mesi. Si tratta, tra le altre cose, di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, di omicidio e lesioni colpose, correlati alla prestazione lavorativa, di  specifiche violazioni di una certa entità del D.L.vo n. 81/2008 ma anche di violazione degli articoli 7 e 9 del D.L.vo n. 66/2003, laddove il mancato riposo giornaliero e settimanale riguardi una percentuale di almeno il 20% dei lavoratori regolarmente impiegati.

Diverso, invece, è il discorso relativo al mancato rispetto dei c.d. “contratti privilegiati”: nella sostanza, se un datore di lavoro vuole applicare un contratto collettivo “non comparativamente rappresentativo” può farlo, ma il Legislatore può benissimo, anche sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 51 del 26 marzo 2015, “agganciare” le agevolazioni contributive al rispetto di quei contratti od accordi collettivi che sono applicati alla maggioranza dei lavoratori che operano in quello specifico settore.

La circolare n. 3, pone e chiarisce, con il conforto dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, il problema se il mancato rispetto per alcuni dipendenti del trattamento economico e normativo del contratto sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, riverberi i propri effetti anche su altri lavoratori “portatori di benefici” rispetto ai quali non è stata accertata alcuna irregolarità.

La risposta dell’Ispettorato Nazionale (probabilmente, anche in contro tendenza con alcune decisioni dell’Istituto relative agli anni trascorsi) è che la “penalizzazione” riguarda soltanto i dipendenti per i quali è stata accertata la difformità e per il solo periodo nel quale si è protratto il comportamento elusivo.

A riprova di ciò viene citato l’art. 6, commi 9 e 10 del D.L. n. 338/1989, poi convertito nella legge n. 389, laddove, trattando il tema della fiscalizzazione degli oneri sociali, il Legislatore afferma che le riduzioni non sono riconosciute se non siano stati rispettati per i singoli lavoratori i requisiti previsti dalla norma e per un periodo uguale a quello in cui si è verificata la violazione. Tel orientamento risulta anche da quanto, successivamente, affermato dall’art. 2, comma 5, del D.L. n. 71/1993, convertito nella legge n. 151, relativamente agli sgravi contributivi in favore delle imprese operanti nel Mezzogiorno.

Una interpretazione diversa, secondo l’Ispettorato Nazionale, potrebbe portare per lievi violazioni della contrattualistica che non incidono sulla posizione contributiva, a conseguenze ben maggiori di quelle che discendono dalle violazioni previste dall’Allegato A del D.M. 30 marzo 2005 alle quali ho fatto cenno pocanzi.

Da ultimo uno sguardo anche alla sentenza n. 21053 della Cassazione, depositata l’11 settembre 2017. In essa si afferma (il motivo del ricorso era la revoca delle agevolazioni previste dalla legge n. 448/1998 per un importo di euro 227.079,05 per il triennio 2002/2004) che il mancato rispetto di disposizioni anche di natura formale e non sostanziale finalizzate alla tutela della sicurezza dei dipendenti sul posto di lavoro, comporta la perdita di agevolazioni contributive in quanto la norma non lascia spazio ad una valutazione circa il grado della violazione. Nel caso di specie, l’impresa non aveva provveduto a comunicare all’Ispettorato del Lavoro e all’ASL ai sensi dell’art. 8, comma 11, del D.L.vo n. 626/1994, il nominativo del responsabile del servizio di protezione e prevenzione interno ed esterno all’azienda (comunicazione effettuata successivamente all’infortunio mortale). Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte trae origine dal fatto che il comma 6 dell’art. 3 della legge n. 448/1998 (norma antecedente al comma 1176 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 che ha originato il decreto sul DURC e sulle cause relative alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori ostative al suo rilascio) stabiliva che le agevolazioni trovavano applicazione alla condizione del rispetto delle prescrizioni previste dal D.L.vo n. 626/1994, senza alcuna graduazione circa la gravità delle singole violazioni.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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3 Commenti

  1. daniela
    Novembre 23, 11:03

    A mio avviso,l’azienda, non puo’ essere condannata al pagamento dei contributi sulle ore di differenza per raggiungere il limite di 15 ore previste dal CCNL di riferimento.
    Nel caso in cui usufruisse di sgravi, allora, il mancato rispetto del CCNl potrebbe essere causa di revoca dello sgravio stesso.
    Cordiali saluti

  2. Domanda alla quale, ad oggi, non sono riuscito a trovare né ad avere risposta.
    Qualora un’azienda del settore turistico stipuli contratti part-time con un orario di lavoro pari a 10 ore (orario palesemente sotto il limite minimo delle 15 settimanali stabilito dal CCNL TURISMO), potrebbe essere condannata a restituire le differenze retributiva e contributiva tra le fatidiche 15 ore e le 10?
    Questa ipotesi rientra nella casistica di “non rispetto del CCNL considerate le problematice organozzative del settore?
    Omettevo di indicare che l’azienda non usufruisce di alcuna agevolazione.
    Cordiali saluti

    Critelli Andrea

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