CIV DELL’INPS: Cosa occorre cambiare nell’iter per la cassa integrazione ordinaria [E. Massi]

Il Consiglio di indirizzo e di vigilanza (CIV) è uno degli organi dell’INPS che trova la propria ragion d’essere nell’art. 3 del D.L.vo n. 479/1994 e negli articoli 2 e 4 del DPR n. 366/1997. Composto da rappresentanti delle parti sociali ha, tra le altre cose, il compito di definire i programmi e di individuare le linee di indirizzo dell’Ente.

Sulla base di quanto appena detto, con la deliberazione n. 5 del 21 marzo 2017, il CIV, a circa nove mesi dalla emanazione della circolare n. 139/2016, ha sentito il dovere di impegnare gli organi di gestione dell’Istituto a dettare linee interpretative ed applicative uniformi sul territorio e a cambiare alcuni indirizzi che, a detta dell’organo collegiale, non sono in linea con il dettato normativo e rischiano di rendere sempre più, inutilmente tortuosa, la strada per l’accesso al trattamento integrativo salariale ordinario.

Le parti sociali hanno rilevato, in questo primo periodo di applicazione delle novità introdotte con il D.L.vo n. 148/2015, una applicazione burocratica, molte volte fine a se stessa, che oltre ad allungare, di molto, i tempi per la decisione (90 giorni) si sofferma su alcuni aspetti secondari che poco hanno a che fare con l’oggetto dell’intervento che è quello di alleviare, nei limiti del possibile, i datori di lavoro ed i lavoratori alle prese con una crisi aziendale temporanea. Sembra quasi che si cerchi, unicamente, di salvaguardare la posizione del Dirigente della sede che decide, monocraticamente, dopo la cancellazione delle commissioni provinciali per l’industria e per l’edilizia delle quali il CIV chiede di valutarne la ricostituzione, attraverso una modifica legislativa.

Detto questo, ritengo necessario andare con ordine seguendo le sollecitazioni che il CIV ha espresso con le proprie determinazioni.

La prima riguarda i tempi della decisione sulla domanda di CIGO: essi debbono restare all’interno dei 90 giorni. L’Istituto, in molti passaggi chiede anche cose che non sono espressamente previste dal Legislatore, andando ben oltre la norma per un senso di sicurezza (si pensi al fatto che la consultazione sindacale ex art. 14 deve avvenire soltanto per raccomandata o per PEC, pena la improcedibilità della domanda) e, poi, quando si tratta di decidere, non si rispettano gli ordinari termini previsti. Se il CIV ha ritenuto di richiamare gli organi dirigenziali è perché le decisioni vanno, nella stragrande maggioranza dei casi, oltre i 90 giorni, cosa che, francamente, non appare tollerabile con una ordinaria attività di gestione aziendale.

La seconda questione sollevata dal CIV, con lo scopo di ridurre il contenzioso, riguarda il rigetto della istanza di CIGO.

A prescindere dalla motivazione adeguata che deve tener conto sia degli elementi documentali, sia di quelli di fatto presi in considerazione, che della prevedibilità della ripresa lavorativa, si richiede che, prima della reiezione, sia attivato quanto previsto al comma 2 dell’art. 11 del D.M. n. 95442 del 15 aprile 2016 (che regola i criteri per la concessione del trattamento), ossia il supplemento di istruttoria, qualora necessario ma, soprattutto, l’audizione delle organizzazioni sindacali che hanno partecipato alla consultazione ex art. 14. Il rigetto della domanda, rileva il CIV, postula sempre l’obbligo di una adeguata motivazione finalizzata ad indicarne le ragioni dettagliate e, in caso di mancata integrazione dell’istruttoria, sarà necessario esplicitare i motivi per i quali il Dirigente della sede ha ritenuto di non attivarla.

La terza questione sollevata dal CIV concerne la semplificazione del procedimento in un’ottica che, comunque, lasci inalterata l’esigenza probatoria a carico del datore di lavoro richiedente: valorizzazione della relazione di accompagnamento, nel senso che tutta una serie di documenti richiesti a sostegno della stessa, non debbono essere prodotti dando piena applicazione all’art. 47 del DPR n. 445/2000 il quale, tra le altre cose afferma, al comma 3, che “fatte salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con i concessionari di Pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati all’art. 46, sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”.

La quarta questione è, nella realtà, una serie di considerazioni relative alle causali:

a) Probabilità della ripresa: secondo il CIV la stessa non può che essere strettamente correlata alle iniziative concrete, finalizzate a cercare ulteriori commesse ed occasioni di lavoro, assunte dall’impresa e messe in evidenza nella relazione di accompagnamento. Di conseguenza appare incongrua la richiesta di dimostrare il conseguimento dei nuovi ordinativi. Se l’impresa evidenzia nella relazione ordinativi che saranno “in portafoglio” in un periodo successivo a quello dell’istanza di CIGO, la prospettiva di ripresa, secondo il CIV si intende provata e non vanno prodotti altri elementi di natura probatoria;

b) Mono committenza: la circolare n. 139/2016 chiarisce che l’organizzazione di un’impresa che è legata in modo esclusivo ad un’altra non può costituire di per sé un elemento di valutazione avendo chiarito il Ministero del Lavoro che la mono committenza non può essere di per se stessa causa di rigetto;

c) Secondo il CIV, atteso il ruolo centrale che il D.M. n. 95442 assegna alla relazione ed attesa la possibilità, valutata unicamente dal datore di lavoro, di allegare ulteriore documentazione, la decisione del Direttore della sede circa la concessione o meno del trattamento integrativo va presa sulla base della relazione e dei documenti eventualmente prodotti;

d) Ripresa dell’attività prima della decisione: il riconoscimento della Cassa integrazione ordinaria che postula la ripresa dell’attività produttiva è dimostrato, secondo il CIV, da tale avvenimenti, senza bisogno di alcun ulteriore elemento di valutazione;

e) Eventi meteorologici: qui il CIV “sposa” la causa, sostenuta da gran parte degli operatori, della illogicità della richiesta al datore di lavoro dei bollettini meteo. Il Consiglio ricorda il contenuto dell’art. 43 del DPR n. 445/2000 (modificato dall’art. 15 della legge n. 183/2011), emanato in una logica di semplificazione e di trasparenza (concetti che, sovente, servono per far titoli sui giornali ma che le Pubbliche Amministrazioni dimenticano come è avvenuto, nel caso di specie, con la circolare n. 139/2016 dell’INPS e con il D.M. n. 95442 che è, pur sempre, un provvedimento amministrativo): “le Amministrazioni pubbliche ed i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive e i documenti che siano in possesso delle Pubbliche Amministrazioni (e tali sono, sino a prova contraria, sia le Arpa Regionali che il Ministero della Difesa da cui dipende l’Aeronautica )”. In realtà, la richiesta dei bollettini meteorologici oltre che contraria alla previsione legale appena citata, appare come una forma di coercizione nei confronti dei datori di lavoro (quasi a dire “ti voglio rendere l’iter il più difficile possibile”), in quanto l’Istituto acquisisce, tuttora, i bollettini per la CISOA (che è l’integrazione salariale per i lavoratori agricoli) ove la procedura (art. 18 del D.L.vo n. 148/2015) è rimasta invariata in capo alla specifica Commissione e il trattamento viene riconosciuto, nella quasi totalità dei casi, per maltempo;

f) Valutazione degli eventi meteorologici: Il CIV chiede che le peculiari esigenze di certi settori come, ad esempio, quello della lavorazione del marmo, non vengano considerate attraverso il mero calcolo dei millimetri di pioggia caduti, ma che tengano presenti la “scivolosità” dell’attività o il “gelo” che rende difficoltose le prestazioni in edilizia. In tal modo si eviterebbero situazioni, a mio avviso, incresciose come la risposta fornita da una sede dell’INPS, nel gennaio 2017 ove si afferma testualmente che “la causale gelo non è contemplata nella circolare n. 139/2016 paragrafo 6.4” e che la stessa Direzione Regionale sovra ordinata ha ritenuto di “non ritenere accoglibili le domande CIGO per gelo, dato il carattere stagionale della causale” (come se il datore di lavoro avesse il potere, intervenendo sul cielo, di programmare ogni anno i giorni di gelo!). E’ sconfortante, per il cittadino, vedere che non si leggono neanche le disposizioni legislative (art. 11 del D.L.vo n. 148/2015) che parlano espressamente, di “intemperie stagionali” come causa di integrabilità, e che dell’evento “gelo” (temperature al di sotto dello zero) ne parlava già il messaggio INPS n. 28336 del 1998. Parimenti, il CIV chiede che, in presenza di lavorazioni svolte con

temperature particolarmente elevate o rigide si tenga conto della c.d. “temperatura percepita”, se maggiore o inferiore a quella reale e che si può, benissimo, rilevare dei bollettini meteorologici.

Da ultimo, il CIV chiede che l’Istituto si faccia carico di una iniziativa, su base locale, a cadenza mensile, per incontri tra le sedi INPS e le parti sociali, finalizzati ad esaminare l’andamento delle istruttorie, le criticità, le possibili soluzioni e la condivisione di prassi già utilizzate in passato.

Questo è quanto deliberato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS e si ha motivo di ritenere che le obiezioni sollevate saranno tenute nel dovuto conto dalla Direzione Generale competente a fornire le indicazioni alle articolazioni periferiche.

A completamento di questa riflessione credo sia, inoltre, necessario fissare l’attenzione su un’altra criticità che si desume dalla mera applicazione della circolare n. 139/2016 e che rischia di sollevare un notevole contenzioso.

Mi riferisco al passaggio in cui, parlando della procedura di informazione e consultazione sindacale (fase importante dell’iter di concessione della CIGO), si afferma che “l’azienda deve indicare nell’apposito campo della domanda telematica le informazioni richieste e deve inoltre allegare, pena l’inammissibilità della domanda stessa, copia della comunicazione (PEC, raccomandata) inviata alle organizzazioni sindacali come elencate all’art. 14 del D.L.vo n. 148/2015 ed eventuale copia del verbale di consultazione nel caso di esperimento della stessa”.

Ora, per poter parlare di inammissibilità della domanda perché non effettuata in un certo modo (PEC, raccomandata) occorre vedere cosa afferma sul punto il Legislatore all’art. 14: “ Nei casi di sospensione o riduzione dell’attività produttiva, l’impresa è tenuta a comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, ove esistenti, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati”.

Come si vede il Legislatore non ha indicato espressamente le modalità in cui deve essere inviata la comunicazione: quando lo ha voluto fare, lo ha fatto, e vi ha “correlato” specifiche conseguenze.

A tal proposito, restando alla “materia lavoro” ricordo, a mo’ di esempio, due disposizioni:

a) l’art. 410 cpc, comma 5, ove, in presenza del tentativo di conciliazione facoltativo avanti alla commissione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro, viene, espressamente, precisato che la richiesta, inviata anche alla controparte, deve essere inviata per raccomandata;

b) l’art. 412 –quater cpc ove sono previste una serie di notifiche legate al rispetto dei tempi relativamente ad una modalità di definizione delle controversie di lavoro attraverso una procedura di conciliazione ed arbitrato particolare (per la verità pochissimo adoperata);

c) l’art. 7, comma 4, della legge n. 604/1966, ove la richiesta di conciliazione obbligatoria avanzata dal datore di lavoro e notificata dalla controparte per una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, va inviata per raccomandata (tale onere riguarda le imprese dimensionate oltre le 15 unità per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015).

Qui, invece, il Legislatore non ha detto nulla: ciò significa che la inammissibilità della domanda, evidenziata nella circolare n. 139/2016, non trova il proprio supporto nella disposizione legislativa. Ovviamente, si comprende quale è il motivo per il quale l’Istituto richiede l’invio per raccomandata o per PEC: è quello della necessità di avere “una data certa” circa l’obbligo di informativa sulla situazione aziendale e della, possibile, successiva fase di consultazione che deve essere richiesta dalle organizzazioni sindacali (interne o di categoria). Tale risultato se è facilmente conseguibile attraverso copia della ricevuta della lettera raccomandata A/R o della PEC, è meno attestabile attraverso una informativa inviata con fax o posta elettronica non certificata (anche se la data di invio è rilevabile dalla documentazione). A mio avviso, dichiarare inammissibile l’istanza non ha senso (soprattutto se, successivamente, nei termini previsti dalla norma, si è svolto l’incontro

sindacale al quale, magari, è seguita la sottoscrizione dell’accordo), in quanto lo scopo della norma è proprio quello di informare e, se possibile, coinvolgere, nella gestione della crisi temporanea, le organizzazioni dei lavoratori. Il rigetto dell’istanza sulla base di un elemento formale (ripeto, non conseguente ad una norma legislativa) appare, soltanto, lineare con una gestione burocratica della pratica, senza tener conto che la certezza della data dell’informativa si potrebbe raggiungere anche sentendo le organizzazioni sindacali interessate che, spesso, sono parte “vivente” dell’impresa, in quanto espressione delle rappresentanze interne.

Significativo di questa maniera “burocratica” di trattare la richiesta di CIGO (che, non dimentichiamolo, incide pesantemente sui lavoratori e sull’azienda) è ciò che risulta stia avvenendo in alcuni contesti territoriali ove l’istanza dell’impresa è stata respinta perche l’informativa era stata inviata alle organizzazioni sindacali con lettera raccomandata a mano e non A/R (cosa abbastanza normale in alcuni contesti territoriali di minori dimensioni, ove la pratica di CIGO viene “gestita” dall’Associazione datoriale alla quale aderisce il datore e le lettere per le Organizzazioni di categoria vengono consegnate “a mano” dal fattorino). La raccomandata a mano ha lo stesso valore di una raccomandata A/R, in quanto ciò che la rende valida dal punto di vista legale è la firma per ricevuta sulla copia della lettera e, paradossalmente, può avere un valore più alto rispetto alla nota A/R inviata in una busta, potendo, in quest’ultimo caso, essere sempre essere negato o contestato il contenuto.

Un’ultima considerazione a “mo’ di battuta”: se un domani fosse necessario, per una qualsiasi ragione correlata ai termini di presentazione dell’istanza di CIGO, acquisire la data certa dell’accordo sindacale, ci meraviglieremmo se, sulla base di tali ragionamenti, fosse chiesto al datore di lavoro di sottoscrivere il verbale in sede notarile?

E’ auspicabile che, in un quadro di riordino complessivo delle questioni sollevate dal CIV con la deliberazione n. 5 del 21 marzo 2017, anche questo aspetto venga affrontato e risolto.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 321 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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