La somministrazione acausale quale regola generale e la sopravvenuta conseguente abrogazione delle clausole dei ccnl che avevano introdotto ipotesi di somministrazione acausale – la totale assenza di limiti di utilizzo nella metalmeccanica quale corollario

Nei giorni passati mi è stato rappresentato un dubbio sollevato da talune aziende industriali, operanti nel settore della metalmeccanica e utilizzatrici di somministrazione di manodopera. Tali aziende rappresentavano il timore che, dopo la generale liberalizzazione operata dal job act, che ha praticamente spazzato via dalla legge ogni riferimento alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, l’istituto della somministrazione “acausale” – unico oramai attivabile in azienda – potesse essere ricondotto nell’ambito e, dunque, soggiacere al limite previsto dalla dichiarazione comune contenuta all’art. 4 Sezione IV Titolo 1 del CCNL Metalmeccanica.

La questione mi è apparsa di semplicissima soluzione, tuttavia, proprio perché così semplice, mi ha rappresentato con spietata evidenza quanta confusione abbia generato negli imprenditori, e più in generale negli operatori, l’alluvione legislativa degli ultimi anni.

Il quesito proposto, come accennato, ruotava intorno alla dichiarazione comune contenuta nell’art. 4 Sezione IV Titolo 1 del CCNL Metalmeccanica sottoscritto nel dicembre 2012. Questo il dato della disposizione:

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 20, comma 5-quater, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dai successivi interventi legislativi, la somministrazione di lavoro a tempo determinato, esente da motivazioni, è ammessa oltreché nei casi previsti dalla legge e nelle ulteriori ipotesi previste dagli accordi aziendali stipulati dalla Rappresentanza sindacale unitaria d’intesa con le strutture territoriali delle Organizzazioni sindacali più rappresentative, per l’attivazione di un numero di contratti (anche successivamente prorogabili), per ciascun anno (1° gennaio-31 dicembre), non superiore a quello corrispondente ai lavoratori somministrati successivamente assunti con contratto a tempo indeterminato nei tre anni precedenti; a tali fini sono utili le proposte di assunzione formulate per iscritto e ricevute dal lavoratore ma dallo stesso rifiutate formalmente. E’ comunque consentita la somministrazione di lavoro a tempo determinato esente da motivazione fino a tre lavoratori in ciascun anno qualora l’azienda occupi lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato in numero almeno pari al doppio dei suddetti lavoratori in somministrazione. La somministrazione di lavoro a tempo determinato, esente da motivazione, è inoltre ammessa per l’utilizzo di soggetti che possono accedere al collocamento obbligatorio ovvero con una invalidità certificata di almeno il 20 per cento, di soggetti condannati ammessi al regime di semilibertà nonché di soggetti in via di dimissione o dimessi dagli istituti di pena”.

Come sopra accennato, più di qualche azienda ha temuto che una volta abrogato dalla riforma l’obbligo di indicazione di una “causale” nei contratti di somministrazione di manodopera stipulati, la disciplina dettata per i contratti “acausali” dalla nominata dichiarazione comune dell’art. 4 del CCNL Metalmeccanica potesse assurgere a disciplina generale della somministrazione nel settore, con conseguente applicazione del limite di contingentamento ivi previsto alla totalità dei rapporti in somministrazione attivabili in azienda.

Inizialmente ho creduto che bastasse osservare che l’art. 20, comma 5-quater, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in ragione del quale espressamente la norma era stata emanata, è stato abrogato dalla L. 78/14 per sgomberare il campo da ogni dubbio circa la non ulteriore sopravvivenza della disciplina pattizia invocata. Tuttavia l’argomento non è sembrato sufficiente agli interlocutori.

Si è colta, allora, l’occasione per operare una ricostruzione dell’evoluzione normativa degli ultimi cinque anni in materia di somministrazione, utile a comprendere fino in fondo l’effettiva portata della riforma recentemente emanata [D. L. 34/14, convertito con modificazioni nella L. 78/14] e del concetto stesso di “causale”. Il lavoro, avviato con specifico riferimento alla metalmeccanica, può essere esteso a tutti i settori (e sono davvero tanti) nei quali le parti sociali siano intervenute per prevedere ipotesi di somministrazione acausale, atteso che le argomentazioni sostenute valgono, in generale, per tutti le clausole simili.

Dico subito che è pacifico che nel settore della metalmeccanica, ad oggi, non esista alcun limite superiore imposto dalla legge o dalle parti sociali all’utilizzo della somministrazione di manodopera, e che neppure ha senso parlare di ultravigenza della disciplina pattizia sopra riportata, né di ogni altra similare, lasciando così la lettura esclusivamente a chi abbia voglia di approfondire l’argomento.

  1. a.    L’originaria previsione normativa dell’istituto della somministrazione a tempo determinato.

Sin dalla sua prima apparizione nell’ordinamento italiano, l’istituto della somministrazione di manodopera a tempo determinato ha sempre trovato la propria disciplina normativa nell’ambito del D. Lgs. 276/03 che, all’art. 20 comma 4, così disponeva:

la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”.

Nella formulazione originaria, in sostanza, la somministrazione di manodopera era sempre possibile qualora ricorressero per l’azienda utilizzatrice valide ragioni di ricorso all’istituto, che andavano pure indicate per iscritto. L’espressione utilizzata dal legislatore del 2003 appariva del tutto simile a quella impiegata dal legislatore del 2001 per la disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, con due sole evidenti differenze:

1) per la somministrazione veniva da subito specificato che le ragioni invocabili dall’utilizzatore potevano ben essere riferite all’ordinaria attività dell’azienda, laddove tale precisazione per il contratto a termine sarebbe intervenuta solo successivamente, con l’art. 21 comma 1 del D. L. 112/08;

2) nel caso di stipula di contratto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze dell’azienda, le ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo o sostitutivo andavano specificate per iscritto, mentre nel caso di somministrazione di manodopera esse potevano più semplicemente essere indicate in contratto [cfr. tanto si evinceva dalla comparazione tra il comma 2 dell’art. 21 D. Lgs. 276/03 e il comma 2 dell’art. 1 D. Lgs. 368, oramai abrogato].

Nella sua formulazione originaria, dunque, l’istituto della somministrazione di manodopera poteva essere solo ed esclusivamente della tipologia “con causale” (per usare una terminologia cara a quelli che all’epoca sarebbero stati i futuri commentatori della norma) e neppure erano previste ipotesi al ricorrere delle quali non vigesse il vincolo causale.

Del resto il legislatore dei primi anni 2000 neppure poteva prefigurarsi quale bagarre giurisprudenziale si sarebbe scatenata dietro una formula così tanto aperta e liberale. Ed infatti, nessuno può negare che l’art. 20 comma 4 del D. Lgs. 276/03 fosse, già nella sua originaria formulazione, una norma di apertura totale, se sol si pensa che prima dell’entrata in vigore della c.d. “Legge Biaggi”, il lavoro temporaneo, regolato com’era dalla L. 196/1997, era ammesso esclusivamente in pochi e specifici casi tassativamente elencati dalla stessa legge.

A ben guardare il legislatore del 2003 – come del resto aveva già fatto il legislatore del 2001 per i contratti a termine – aveva compiuto una vera e propria rivoluzione copernicana, ammettendo la somministrazione di manodopera “a fronte di ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, in quanto tale espressione – se decontestualizzata da forzature di carattere meramente ideologico successivamente operate dalla Giurisprudenza – altro non poteva e non può significare se non che il ricorso all’istituto doveva intendersi ammesso praticamente sempre, ossia a fronte di qualsiasi ragione, con il solo onere dell’indicazione della medesima in contratto.

Compreso tale semplice principio di partenza, si comprende pure facilmente come all’origine dell’istituto neppure avesse un senso disquisire di somministrazione “con causale” o “acausale”, atteso che la norma la consentiva sempre e in ogni caso. Non a caso, i primi commentatori delle riforme parlarono di “causalone” per riferirsi all’ampiezza assoluta della formulazione normativa.

Altra semplice ed immediata conseguenza è che la possibilità di individuare eventuali limiti quantitativi delegata alle parti sociali dal legislatore del 2003 non poteva che essere riferita all’istituto della somministrazione in generale e, dunque, alla somministrazione con indicazione della causale, unica fattispecie esistente al momento dell’originaria emanazione del D. Lgs. 276/03.

  1. b.    L’elaborazione Giurisprudenziale e la nascita del problema della causale.

Il problema della c.d. “causale”, ovvero della corretta individuazione ed indicazione di una concreta ragione di ricorso alla somministrazione di manodopera (così come al contratto a termine) è un problema originato nell’ambito della Giurisprudenza che, concretamente, non ha mai tollerato la liberalizzazione totale dell’utilizzo della somministrazione di manodopera, come pure del contratto a termine, pur fortemente voluta – sin dai primi anni di questo secolo – dal legislatore. E così, i Giudici hanno cominciato a vivisezionare e controllare meticolosamente le ragioni di ricorso indicate nei contratti, fino a dichiararle – in passato molto spesso, poi un po’ meno – invalide o perché non sufficientemente specificate, ovvero in quanto ritenute non realmente temporanee, oppure perché valutate quali non strettamente riferibili all’attività lavorativa concretamente esercitata dal lavoratore, o ancora perché ritenute non eccezionali e comunque non tali da giustificare l’utilizzo dell’istituto, e via enumerando.

Il sistema del controllo della ragione di ricorso al contratto di somministrazione (come, del resto, al contratto a termine) è un sistema che non sembra in grado di fornire realmente alcuna concreta garanzia al lavoratore ma che, utilizzando le parole di un autorevolissimo giurista, ha dato vita a una vera e propria “palestra collettiva di esercizi di creatività giurisprudenziale”. Ne è scaturita una situazione di forte incertezza del diritto. Una vera e propria cabala per la quale la liceità o illegittimità di un contratto è stata rimessa alla singola interpretazione, se non al mero arbitrio, del Giudice di volta in volta chiamato a decidere, con risultati diametralmente opposti anche nell’ambito della medesima sezione di Tribunale.

L’insostenibile incertezza generata dal sistema di controllo della “causale” ha fatto sì che il legislatore intervenisse, negli anni successivi, per mitigare un fenomeno certamente non virtuoso.

  1. c.    La prima comparsa della somministrazione “acausale” e la sempre maggiore diffusione di tale tipologia.

Di fronte allo scenario sopra esaminato, gli interventi normativi degli ultimi cinque anni sono andati nella direzione di sottrarre la legittimità del contratto di somministrazione, quanto più possibile, a un controllo giudiziale oramai quasi rapsodico, nell’evidente volontà del legislatore di portare a compimento l’originario disegno liberale mortificato dalla Giurisprudenza. E così sono state introdotte, mano a mano, ipotesi al ricorrere delle quali il contratto di somministrazione a termine fosse svincolato dall’obbligo di indicazione della ragione di ricorso.

La prima apparizione dell’istituto della somministrazione di manodopera libera da causale avveniva con la L. 191/2009, che sanciva la libertà assoluta del ricorso alla somministrazione di lavoro (sia a tempo determinato che a tempo indeterminato) qualora essa fosse utilizzata per il reimpiego di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità [art. 20 comma 5 bis D. Lgs. 276/03]. Era il primo esempio di contratto di somministrazione che potesse non indicare una ragione di carattere tecnico produttivo organizzativo o sostitutivo. Molti parlarono di somministrazione “acausale”, tuttavia, a ben vedere, una causale esisteva eccome, ed era pure estremamente nobile: il reimpiego di lavoratori in mobilità in un momento in cui la crisi era divenuta dirompente rappresentava, per l’ordinamento giuridico, un interesse ben più meritevole di tutela rispetto al diritto del lavoratore di verificare quali fossero le ragioni di ricorso alla somministrazione a termine invocate dall’azienda. Fu un vero e proprio successo. Liberato della zavorra della “causale”, l’istituto consentì, in breve tempo, il reimpiego di oltre mezzo milione di lavoratori altrimenti espulsi dal mercato del lavoro.

Il successo della prima esperienza convinceva il legislatore ad ampliare le ipotesi di apertura e l’occasione veniva con il recepimento della Direttiva Europea in materia di somministrazione di manodopera, eseguito con l’emanazione del D. Lgs. 24/2012. Con l’introduzione del comma 5–ter all’art. 20 del D. Lgs. 276/03 il legislatore inseriva nuove ipotesi di somministrazione “acausale”, eliminando l’obbligo dell’indicazione delle ragioni di ricorso qualora per l’esecuzione dei contratti fossero utilizzati lavoratori percettori di indennità di disoccupazione ordinaria o di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi, ovvero si pescasse tra la vasta categoria dei lavoratori svantaggiati. In tutte tali ipotesi, inoltre, come pure nel caso di reimpiego di lavoratori in mobilità, i contratti di somministrazione “acausale” stipulati non si computavano (e continuano a non computarsi anche dopo la riforma) nei limiti di contingentamento eventualmente introdotti dal CCNL di settore applicato presso l’utilizzatore. Con il successivo comma 5-quater, poi, veniva delegata alla contrattazione collettiva, anche aziendale, la possibilità di prevedere ipotesi al ricorrere delle quali non fosse necessaria l’indicazione della causale.

Qualche mese dopo era la volta della c.d. “Legge Fornero”. Con la L. 92/12 il legislatore introduceva una nuova ipotesi di contratto di somministrazione “acausale”: si trattava del primo rapporto a tempo determinato, anche in somministrazione, della durata complessiva non superiore a un anno. Si affacciava per la prima volta nell’ordinamento italiano una fattispecie di “acausalità” anche per il contratto a termine, laddove – come abbiamo visto – la somministrazione già conosceva tale tipologia da ben tre anni. La riforma, tuttavia, in cambio di tale ipotesi di “acausalità”, introduceva limiti estremamente rigidi per i contratti di lavoro a tempo determinato che, grazie a un successivo intervento normativo [D. L. 76/13], potevano essere mitigati solo con l’intervento dei contratti collettivi, ai quali pure veniva delegata, per la prima volta, la possibilità di prevedere altre ipotesi di “acausalità” per i contratti a termine.

L’ennesima delega conferita dal legislatore alle parti sociali apriva una nuova stagione di consultazioni in quasi tutti i settori, che portava a ridefinire il sistema di flessibilità nell’ambito dei Contratti Collettivi Nazionali, ove spesso venivano introdotte ipotesi al ricorrere delle quali fosse possibile per le aziende fare ricorso alla somministrazione di manodopera e al contratto a termine senza l’obbligo di indicare l’odiosa “causale”.

  1. d.    Le ipotesi di acausalità previste dal CCNL Metalmeccanica industria del dicembre 2012 e, più in generale, dalla gran parte dei CCNL di settore.

La dichiarazione comune di cui all’art. 4 Sezione IV Titolo 1 del CCNL Metalmeccanica, che ha sollevato dubbi, si inserisce pienamente nell’ambito di tale stagione, essendo contenuta nel CCNL rinnovato proprio a dicembre del 2012. Ed infatti, la disposizione, senza mezzi termini, precisa di essere stata emanata ai sensi di quanto disposto dall’art. 20 comma 5-quater del D. Lgs. 276/03.

Da tutto quanto sin qui narrato dovrebbe essere oramai chiaro che tale disposizione non interveniva, in realtà, per introdurre limiti all’utilizzo della somministrazione a termine “acausale” presso le aziende, bensì, al contrario, essa era finalizzata proprio a individuare nuove ipotesi al ricorrere delle quali le aziende potessero attivare contratti di somministrazione di manodopera senza l’obbligo di indicazione di una causale. Si trattava, evidentemente, di una disposizione positiva, che introduceva nuove possibilità per le aziende e non già negativa, volta a limitarne l’utilizzo.

La dichiarazione comune non faceva altro che prevedere che fin tanto che le aziende associate stipulassero un numero di contratti di somministrazione pari al numero delle assunzioni dirette effettuate nel triennio precedente di lavoratori già prima somministrati, esse potessero agire in deroga alla regola generale per la quale nei contratti di somministrazione di manodopera andava sempre indicata una valida ragione di ricorso.

In sostanza, fino al 19 marzo 2014, ossia fino all’emanazione del D.L. 34/14, primo passo del c.d. Job Act, lo scenario normativo poteva così riassumersi:

la regola generale in materia di somministrazione di manodopera continuava ad essere quella per la quale l’azienda che avesse deciso di farvi ricorso avrebbe sempre dovuto indicare in contratto una valida ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Accanto alla regola generale, gli interventi normativi susseguitisi tra il 2009 e il 2012 avevano introdotto una serie di ipotesi al ricorrere delle quali la regola generale poteva essere derogata e l’azienda poteva esimersi dall’indicare tali ragioni. Queste ipotesi, per le quali i commentatori delle norme parlavano di “somministrazione acausale” erano comunque eccezionali rispetto alla regola generale e, in quanto tali, possibili esclusivamente in presenza di una disposizione di legge o di contratto collettivo che le consentisse.

  1. e.    Il c.d. Job Act e la fine dell’epoca delle “causali”.

Il Decreto Legge 20.03.2014 n. 34, convertito con modifiche nella L. 78/14, ha posto definitivamente la parola fine all’annosa querelle delle ragioni di ricorso sopra narrata, affermando, questa volta probabilmente in maniera definitiva, la ferma volontà del legislatore per la completa liberalizzazione della somministrazione di manodopera. E tanto ha fatto eliminando totalmente ogni riferimento normativo alle famose ragioni di carattere tecnico produttivo, organizzativo o sostitutivo che hanno caratterizzato l’ultimo decennio di contratti di lavoro e somministrazione a termine.

Non avendo neppure più un senso oggi parlare di ragioni di ricorso alla somministrazione di manodopera, atteso che ogni riferimento ad esse è stato sic et simpliciter cancellato dalla novella, va da sé che a partire dal 20 marzo 2014 (data di pubblicazione ed entrata in vigore del Decreto Legge) la regola generale per la somministrazione di manodopera è il libero ricorso all’istituto, in qualsiasi caso e per qualsiasi ragione e senza alcun obbligo di indicazione.

L’art. 1 comma 2 del D.L. 34/14, come modificato dalla L. 78/14 di conversione, infatti, alla lettera a) ha letteralmente soppresso i primi due periodi dell’art. 20 comma 4 D. Lgs. 276/03, la cui attuale formulazione risulta essere la seguente:

La somministrazione di lavoro a tempo determinato é ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. E` fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato é affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”.

Divenuta regola la totale “acausalità”, perdono ovviamente pure di significato le eccezioni sopra esaminate. E così, la stessa lettera a) del medesimo comma 2 ha pure espressamente abrogato il comma 5-quater del medesimo articolo 20 del D. Lgs. 276/03 che, come visto, era la norma che conferiva delega alle rappresentanze sociali di individuare, nell’ambito dei contratti collettivi, eventuali ulteriori ipotesi di c.d. “acausalità”.

Ulteriore corollario dell’abolizione del concetto stesso di causale, è pure la modifica all’art. 21 comma 1 lett. c del D. Lgs. 276/03, operata con la lett. b) della norma in esame, con la quale il legislatore ha pure chiarito (e non poteva essere diversamente) che solo nell’ipotesi di attivazione di contratti di somministrazione a tempo indeterminato resta obbligatoria l’indicazione dei casi di ricorso all’istituto.

Di seguito il testo dell’art. 1 comma 2 D.L. 34/14 conv. Con mod. L. 78/14:

“«2. Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 20:

1) al comma 4, i primi due periodi sono soppressi e, al terzo periodo, dopo le parole: “della somministrazione” sono inserite le seguenti: “di lavoro”;

2) il comma 5-quater è abrogato;

b) all’articolo 21, comma 1, lettera c), le parole: “ai commi 3 e 4” sono sostituite dalle seguenti: “al comma 3″»”

  1. f.     L’abrogazione tacita delle disposizioni pattizie contrarie

Tornando al CCNL Metalmeccanica – ma, come già detto, il ragionamento vale in generale per tutte le clausole simili contenute negli altri CCNL di settore – l’esame normativo dovrebbe oramai aver chiarito definitivamente che la norma dettata dal CCNL per il settore della Metalmeccanica aziende industriali con la dichiarazione comune esaminata era norma speciale, emanata in vigenza dell’art. 20 comma 4-quater del D. Lgs. 276/03, in ragione di apposita delega legislativa e mirata ad individuare ipotesi più favorevoli per le aziende associate, al ricorrere delle quali esse aziende potevano ben stipulare contratti di somministrazione privi dell’indicazione di una causale, in deroga alla regola generale di cui all’art. 20 comma 4 del D. Lgs. 276/03 che, all’epoca dell’emanazione della norma pattizia, prevedeva l’obbligo di indicare sempre una valida ragione di ricorso alla somministrazione di manodopera.

Tale regola generale, come visto, è stata totalmente sovvertita dalla L.78/14, atteso che oggi neppure ha più senso parlare di ragioni di ricorso alla somministrazione di manodopera, che può essere attivata sempre e comunque, senza alcuna indicazione di una “causale”.

Venuta meno la regola generale, va da sé che neppure hanno più un senso le clausole dei contratti collettivi che, sotto il passato regime, avevano introdotto una deroga alla rigida disciplina oggi non più in essere. Ed infatti, il legislatore ha espressamente abrogato anche il comma 5-quater dell’art. 20 del D. Lgs. 276/03.

Nel caso che abbiamo oggi esaminato, a differenza di altri che recentemente hanno suscitato un lodevole e proficuo dibattito, sorprendentemente, l’esame dell’evoluzione normativa è servito proprio a dare conforto al dato letterale delle disposizioni di legge, piuttosto che a contraddirlo.

Ed infatti, tornando al dato normativo, è di tutta evidenza che di fronte all’espressa abrogazione dell’art. 20 comma 5-quater D. Lgs. 276/03, che era il presupposto della disciplina pattizia esaminata, non possa non  ritenersi abrogata anche la disposizione di cui alla dichiarazione comune dell’art. 4 Sezione IV Titolo 1 del CCNL Metalmeccanica che, non a caso, espressamente esordiva con la locuzione “ai sensi di quanto previsto dall’art. 20, comma 5-quater, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276”. E con essa tutte le disposizioni emanate dai CCNL in adesione alla delega conferita dal legislatore del 2012.

Diversamente argomentando, del resto, neppure si comprenderebbe quale ulteriore ragione di sopravvivenza e utilità possano avere delle norme che consentono all’azienda di fare ricorso alla somministrazione acausale solo al ricorrere di specifiche e predeterminate ragioni, laddove la legge neppure prevede più il concetto stesso di ragioni di ricorso alla somministrazione di manodopera.

Ne consegue che il settore della metalmeccanica deve ritenersi libero da qualsivoglia limite di contingentamento che le parti sociali hanno ben deciso di non introdurre nel Contratto Collettivo Nazionale. Negli altri settori, si può sempre ricorrere alla somministrazione in assenza di indicazione di una specifica “causale” fino a concorrenza dei limiti eventualmente previsti nel CCNL applicato presso l’utilizzatore.

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Luca Peluso (Legal Team)
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Avvocato Giuslavorista socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani). Consegue la laurea con lode in Giurisprudenza nell’anno 2001. Specializzato nell’individuazione di soluzioni idonee a garantire la giusta flessibilità in azienda, collabora con prestigiosi studi professionali fornendo prevalentemente attività di consulenza.

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1 Commenti

  1. Esprimo la seguente perplessità su parte delle conclusioni: l’abrogazione del 1° periodo del c.4 dell’art. 20 del Dlgs.276/2003 e del successivo comma 5 quater riguardano la causalità ma non il contingentamento che rimane affidato ai CCNL ex art.10 Dlgs 368/2001 richiamato dall’art. 20 citato. Pertanto mi pare che se è indubbio che le disposizioni contrattuali indicanti ipotesi di acausalità risultano superate non altrettanto si può dire per i limiti quantitativi di utilizzo che i CCNL erano liberi di porre prima del DL 34/2014, come peraltro anche dopo.

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