Causali dei contratti a termine: più tempo per gli accordi collettivi

Possibilità di prolungare la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione

Causali dei contratti a termine: più tempo per gli accordi collettivi

Il 30 aprile 2024 sarebbe dovuto scadere il termine che era stato concesso dal Legislatore alle parti sociali per individuare, nell’ambito degli accordi collettivi, anche aziendali, i casi al ricorrere dei quali sarà possibile protrarre la durata di un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, per oltre 12 mesi.

È noto che, nell’ambito degli oscillanti interventi legislativi che hanno caratterizzato la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato – anche in somministrazione – negli ultimi (almeno) diciassette anni, l’ultimo apporto, in ordine di tempo, si è avuto con il D. L. 48/2023, convertito in L. 85/2023, che con l’art. 24 ha sostituito integralmente le lettere a), b), b-bis) del comma 1 dell’art. 19 del D. Lgs. 81/2015, riscrivendo, così, totalmente la disciplina delle c.d. “causali”.

Il testo novellato che ne è uscito è il seguente:

1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

  1. a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;
  2. b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;

b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.

Coerentemente, il Legislatore è intervenuto anche sull’art. 21, comma 01, del medesimo D. Lgs. 81/2015, che è dedicato alle proroghe ed ai rinnovi contrattuali e che è stato così sostituito: “il contratto può essere prorogato e rinnovato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.

Si ricorderà che la reintroduzione nel nostro ordinamento delle c.d. “causali” (dopo un’assenza che era durata oltre quattro anni, dal decreto Paoletti) è ascrivibile al c.d. “Decreto Dignità” del luglio 2018 (D. L. 87/2018, conv. in L. 96/2018). Tale decreto aveva lasciato libere le parti di fare ricorso al contratto a termine, anche in somministrazione, senza necessità di apporvi alcuna causale, esclusivamente allorquando si fosse utilizzato uno ed un solo contratto, anche eventualmente prorogato, per una durata complessiva non superiore a dodici mesi.

La specificazione di dettagliate e stringenti causali era necessaria, invece, non soltanto per poter superare i dodici mesi complessivi di impiego del medesimo lavoratore, ma anche in tutti i casi di successione di una pluralità di contratti. Ciò in quanto la legge richiedeva l’obbligatoria sussistenza di una causale in ogni caso di rinnovo, indipendentemente da quale fosse la durata di ciascun contratto e/o della successione di essi.

Il legislatore del 2023, in buona sostanza, con il D.L. 48/2023, da un lato, ha realmente liberalizzato integralmente dalle causali i primi dodici mesi di impiego di un medesimo lavoratore con contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, eliminando, appunto, l’obbligo di apposizione di una causale anche nei casi di rinnovi contrattuali, sempre che si resti entro il limite temporale dei primi dodici mesi di impiego complessivo.

Dall’altro lato, … Per continuare a leggere l’articolo, vai a lawpartner.it

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