Apprendistato e diritto di precedenza: la posizione del Ministero del Lavoro [E.Massi]

Apprendistato e diritto di precedenza: la posizione del Ministero del Lavoro [E.Massi]

Il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 2 del 9 agosto 2017, rispondendo ad un duplice quesito di Confcommercio, ha affrontato il tema del diritto di precedenza quale scaturisce dall’art. 24 del D.L.vo n. 81/2015, in relazione al consolidamento di un rapporto di apprendistato professionalizzante al termine del periodo formativo ed alla nuova assunzione di altro lavoratore sempre con tale tipologia contrattuale.

Prima di entrare nel merito della risposta ministeriale credo che sia opportuno ricapitolare, sia pur brevemente e senza particolari approfondimenti, la normativa sui diritti di precedenza nei contratti a tempo determinato (che, è bene ricordarlo, non sono gli unici diritti di precedenza contemplati dal nostro ordinamento lavoristico), contenuta nell’art. 24 del D.L.vo n. 81/2015.

E’ il comma 1 a fornire la definizione principale: esso afferma che salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività per un periodo superiore ai sei mesi, diviene titolare di un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro l’anno successivo, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a tempo determinato.

La norma si presta ad alcune brevi delucidazioni.

La prima riguarda la pattuizione collettiva, non solo nazionale ma anche territoriale od aziendale, secondo il principio affermato dall’art. 51, che può derogare alla norma legislativa, nel senso che può indicare termini temporali diversi (maggiori o minori), ma anche contenuti diversi, rispetto a quelli indicati dal Legislatore: ad esempio, potrebbero comprendere nel calcolo complessivo anche i rapporti in somministrazione a tempo determinato, formalmente esclusi dall’art. 24 che non ne parla, mente, al contrario, sono ricompresi nell’art. 19 ai fini del computo complessivo massimo dei trentasei mesi.

La seconda riguarda la maturazione del diritto di precedenza: esso scaturisce da due elementi, strettamente correlati tra loro. La sommatoria anche di più contratti a termine di breve periodo (magari risalenti ad anni lontani)  che consente di superare la soglia fatidica dei sei mesi è il primo che, però, deve essere accompagnato dal fatto che in tali rapporti siano state espletate le stesse mansioni (secondo elemento). Vale la pena di ricordare come per effetto del nuovo art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 3 del D.L.vo n. 81/2015,  il Legislatore abbia ammesso la c.d. “mobilità orizzontale” allorquando ha riconosciuto la piena legittimità della utilizzazione del lavoratore a “mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

La terza concerne la qualificazione dei rapporti che, anche in sommatoria, consentono di superare la soglia dei sei mesi. Il Legislatore parla soltanto di contratti a termine (ovviamente, comprensivi di proroghe e “sforamenti”): ciò significa che non sono computabili i periodi trascorsi con contratto di somministrazione, oppure con un rapporto di apprendistato (conclusosi “ante tempus”) o con un contratto a tempo indeterminato (cessato, ad esempio, per dimissioni), a meno che la contrattazione collettiva non disponga diversamente.

Il successivo comma 2  stabilisce una “corsia preferenziale” per le donne in particolari condizioni, stabilendo che il periodo di congedo per maternità sia obbligatorio che anticipato è utile a conseguire il diritto di precedenza. Ovviamente, il presupposto è che la lavoratrice sia titolare di un contratto a tempo determinato superiore a sei mesi o che raggiunga tale limite temporale con un contratto “in sommatoria” con altri precedenti di analogo contenuto. Per la stessa lavoratrice il diritto di precedenza è, per così dire, maggiore nel senso che le viene riconosciuto non solo per un’ assunzione a tempo indeterminato, ma anche per un rapporto a termine il cui contenuto riguardi le mansioni già espletate: il tutto, correlato alla scadenza temporale dei dodici mesi dalla cessazione del precedente contratto.

Il comma 3 chiarisce che per i c.d. “contratti stagionali” il diritto di precedenza percorre un “binario parallelo” agli altri, nel senso che lo stesso riguarda soltanto le nuove assunzioni a tempo determinato dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

Anche qui è necessario, a mio avviso, un breve chiarimento: le attività stagionali sono quelle individuate dalla contrattazione collettiva, nazionale, territoriale od aziendale secondo la previsione dell’art. 51, e da un Decreto del Ministro del Lavoro (art. 21) che, ad oltre due anni dall’entrata in vigore della norma, non è stato ancora emanato. Fino a quando ciò non avverrà, occorrerà riferirsi al D.P.R. n. 1525/1963 che, peraltro, contiene molte attività ormai desuete (è passato più di mezzo secolo dalla sua promulgazione).

L’ultimo comma dell’art. 24 rappresenta, a mio avviso, il “cuore” del diritto di precedenza, nel senso che:

  • deve essere espressamente richiamato nella lettera di assunzione;
  • va esercitato per iscritto dal lavoratore interessato entro i sei mesi dalla data di cessazione del rapporto; tale limite temporale è abbassato a tre mesi per i contratti stagionali;
  • si estingue trascorso un anno dalla cessazione del rapporto.

Anche in questo caso alcune delucidazioni si reputano necessarie.

Nella lettera di assunzione va riportato la dizione relativa alla sussistenza del  diritto di precedenza. L’onere può essere soddisfatto sia facendo, semplicemente, riferimento alla disposizione di legge (art. 24 del D.L.vo n. 81/2015)  che riportando, in chiaro, i contenuti della norma. Tale obbligo non è accompagnato da alcuna sanzione, come chiarito in via amministrativa dal Ministero del Lavoro. Va, in ogni caso, chiarito come, pur in assenza dello specifico richiamo, il diritto di precedenza per il lavoratore interessato, “scatti” comunque, in quanto è previsto dal dettato normativo.

Un discorso, leggermente diverso va, a mio avviso, fatto per i rapporti a termine nella Pubblica Amministrazione (i soggetti sono individuati dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001): l’eventuale diritto di precedenza va correlato al fatto che si entra in organico a tempo indeterminato attraverso il concorso o una procedura selettiva pubblica: il bando può riconoscere un diritto di precedenza, a parità di titoli e di punteggio, a chi ha avuto precedenti rapporti a tempo determinato.

Il diritto di precedenza va esercitato per iscritto nei sei mesi successivi alla cessazione del rapporto (tre per i contratti stagionali). Ciò significa che deve pervenire a conoscenza del datore di lavoro entro tale periodo che inizia dalla cessazione del precedente contratto, ma che fino a quando non è esercitato nella forma scritta (certificata o raccomandata) non ha alcun valore, nel senso che se un imprenditore deve effettuare un’assunzione a tempo indeterminato per quelle stesse mansioni e non ha agli atti la manifestazione di volontà finalizzata ad esercitare il diritto, è libero di effettuare l’assunzione senza dover ricordare all’interessato (o agli interessati se sono più di uno) che sono titolari di un diritto di precedenza (del resto, già glielo ha ricordato nella lettera di assunzione).

Ciò è molto importante anche ai sensi della previsione contenuta nell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015 in quanto se non ha violato un diritto di precedenza (che deve essere stato esercitato, prima ed essere regolarmente agli atti), ha diritto alle eventuali agevolazioni connesse alla nuova assunzione.

Una volta esercitato, il diritto di precedenza esplica la propria efficacia, fino al raggiungimento dei dodici mesi dalla cessazione del precedente rapporto, su tutte le articolazioni dell’impresa, pur se ubicate all’interno del territorio nazionale (la contrattazione collettiva ma anche quella individuale potrebbe limitare l’ambito di applicazione). Una eventuale rinuncia ad una assunzione presso una determinata unità produttiva (magari, perchè situata in una località “scomoda”) non inficia il diritto, nel senso che il datore è tenuto a consultare l’interessato, in presenza di altre assunzioni a tempo indeterminato, relative alle mansioni già espletate, fino allo “spirare” del diritto.

Il diritto di precedenza è per una assunzione a tempo indeterminato per le mansioni già espletate: quindi, il rapporto offerto può essere non soltanto a tempo pieno ed indeterminato ma anche a tempo parziale o con rapporto di apprendistato professionalizzante, qualora ricorrano le condizioni previste dall’interpello 8/2007 e, se il lavoratore è un “over 29”, sussista la titolarità ad un trattamento di disoccupazione o fruisca della indennità di mobilità (ipotesi quest’ultima che si sta estinguendo), secondo la previsione dell’art. 47, comma 4, del D.L.vo n. 81/2015 e già ammessa dall’INPS fin dal 2014 con il messaggio n. 4152 del 17 marzo. E’ da escludere, invece, che, il datore di lavoro possa adempiere al proprio onere offrendo l’assunzione attraverso un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato: l’esclusione deriva dalla tipologia ove la prestazione lavorativa, a carattere discontinuo, dipende unicamente dalla “chiamata” del datore di lavoro.

Ma, la violazione del diritto di precedenza, quali conseguenze può determinare, a parte le considerazioni già espresse in merito al non riconoscimento di eventuali agevolazioni?

A mio avviso, nessuna sul rapporto, validamente, costituito tra datore di lavoro e lavoratore, nel senso che tale assunzione, nel rapporto interpersonale, è perfettamente legittima e l’unica cosa che il datore non può ottenere sono le eventuali agevolazioni previste.

Diverso è, invece, il discorso tra datore e lavoratore il cui diritto sia stato violato. Escluso che il giudice, in caso di contenzioso, possa imporre una assunzione “forzosa” (ciò non avviene neanche nel collocamento obbligatorio dei disabili a fronte di una carenza legale accertata), il lavoratore può chiedere un risarcimento del danno che il giudice, se lo riterrà sussistente, liquiderà seguendo parametri logici.

Per quanto riguarda, invece, possibili conseguenze legate ad accertamenti attraverso gli ispettori del lavoro, la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero, con la circolare n. 18/2014, confermando l’assenza di qualsiasi sanzione, ha ritenuto non applicabile il provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.L.vo n. 124/2004 in quanto manca il presupposto di un apprezzamento discrezionale esercitabile dall’ispettore e concernente il “quomodo della condotta”.

Un’altra questione da affrontare riguarda la scelta del lavoratore o dei lavoratori da assumere in presenza di più diritti esercitati: il Legislatore non ha detto nulla e, quindi, ha lasciato ampio spazio e discrezionalità nella individuazione dei criteri al datore di lavoro. Cosa giusta che, però, potrebbe prestare il fianco a qualche contestazione.

Personalmente, ritengo che una via da seguire sia quella, da tempo, in uso, anche per accordi sindacali, nelle aziende che fanno uso dei “contratti stagionali”: i criteri sono quello dell’anzianità aziendale e, a parità di condizioni, quello dell’età. Non consiglierei affatto criteri (salvo eccezioni, da valutare nel caso concreto) che fanno riferimento a situazioni familiari difficilmente comparabili come, ad esempio, il carico familiare, la famiglia mono parentale, la convivenza “more uxorio”, ecc.

Ma, la trasformazione di un contratto a termine, in corso, in un contratto a tempo indeterminato viola il diritto di precedenza?

La risposta è, a mio avviso, negativa in quanto, giuridicamente, non ci si trova di fronte ad una nuova assunzione (come richiede il Legislatore) ma alla trasformazione di un rapporto già esistente. Il medesimo discorso può farsi nel caso in cui, esercitando il proprio potere organizzativo, insindacabile dal giudice, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, il datore sposti a mansioni superiori un dipendente già in forza (mansioni per le quali era stato esercitato il diritto di precedenza) ed assuma, successivamente, un altro lavoratore per le mansioni già esercitate dal dipendente “promosso”.

Questa breve premessa necessaria sul diritto di precedenza e sulle questioni essenziali scaturenti dalla lettura dell’art. 24, mi portano, ora, ad esaminare la risposta ministeriale.

Il primo quesito sollevato da Confcommercio è: la prosecuzione di un rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo rappresenta una violazione del diritto di precedenza di un lavoratore che, con contratto a tempo determinato, ha già lavorato per le medesime mansioni alle quali è addetto il giovane?

La risposta dell’Amministrazione del Lavoro è chiara: non viene violato alcun diritto di precedenza in quanto il rapporto di apprendistato (nel caso di specie, professionalizzante) è, fin dall’inizio, a tempo indeterminato (art. 41, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015) e il “consolidamento” del rapporto al termine del periodo formativo (con il non esercizio datoriale della facoltà di recesso ex art. 2118 c.c.) non rappresenta altro che la naturale prosecuzione di quel contratto al termine del periodo di formazione.

Sulla seconda questione, “nuova assunzione con rapporto di apprendistato, di altro lavoratore”, il Dicastero del Lavoro offre una lettura diversificata, nel senso che non si può parlare di violazione del diritto di precedenza qualora il lavoratore interessato risulti già qualificato per le mansioni oggetto di apprendistato a causa di pregressi rapporti di lavoro a tempo determinato ed abbia manifestato, nelle forme previste dalla norma, la propria volontà di esercitare il diritto di precedenza: sul punto, ritengo opportuno sottolineare come, sotto l’aspetto amministrativo, tale possibilità era stata già contemplata dall’INPS con il messaggio 4152 del 17 marzo 2014.

La nota ministeriale continua richiamando gli orientamenti espressi dal Dicastero, sia  con l’interpello n. 8/2007 che con la circolare n. 5/2013.

Vale la pena di ricordare che con l’interpello n. 8/2007, ritornato “in auge” dopo le modifiche introdotte dall’art. 44, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015, ove non si parla più di assunzione per l’ottenimento di una qualifica ma per l’ottenimento di una qualificazione (nella sostanza, è stato recuperato il termine utilizzato dal vecchio ed abrogato art. 49 del D.L.vo n. 276/2003), è stata data la possibilità ai datori di lavoro di assumere, con l’obiettivo di una maggiore qualificazione rispetto alla qualifica già posseduta (riscontrabile all’interno del percorso formativo obbligatorio) lavoratori che, in passato, attraverso contratti a termine o in somministrazione, calcolati, in sommatoria, non avevano superato la metà del periodo formativo previsto (oggi, nella sostanza in gran parte dei casi, tale limite è di diciotto mesi, fatto salvo qualunque discorso relativo ai profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano individuati dalla contrattazione collettiva ove il periodo formativo complessivo può raggiungere i cinque anni (art. 44, comma 2) e, quindi, nel limite massimo, ci si attesta a trenta mesi).

Diverso, secondo il Ministero, appare il discorso se ad essere interessato al contratto di apprendistato sia un lavoratore che non ha la qualifica specifica e che la dovrebbe raggiungere al termine del periodo formativo (qualifica già posseduta dal lavoratore con diritto di precedenza). Trattandosi di una assunzione a tempo indeterminato si tratterebbe di una violazione del diritto di precedenza, con tutte le possibili conseguenze del caso.

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