Si al risarcimento ridotto dell’art. 32 del Collegato Lavoro anche in caso di Somministrazione di manodopera irregolare.

collegato_lavoroL’art. 32 del c.d. “ collegato lavoro ” (L. 183/2010) è stato promosso  anche dalla Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 8941 del 10 aprile 2014, dopo aver già superato indenne il vaglio della corte costituzionale (sent. 303/2011).
Questa volta la legittimità della norma era stata messa in dubbio dai difensori del lavoratore ricorrente, i quali, dopo aver riletto l’intervento retroattivo del legislatore in chiave di illecita ingerenza nell’amministrazione della giustizia, avevano ipotizzato la violazione dei principi della Costituzione Italiana e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. La questione è stata ritenuta manifestamente infondata.

L’intervento della Cassazione ci dà l’occasione per ritornare su una questione non ancora del tutto risolta, cioè quella che riguarda l’applicabilità o meno dell’indennità forfettaria anche ai casi in cui sia dichiarata dal Giudice l’illegittimità di rapporti svolti in somministrazione di manodopera a tempo determinato e sia costituito, conseguentemente, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Nonostante il chiaro e costante orientamento manifestato più volte dalla Corte di Cassazione (tra le altre, Sentenze nn. 1148/2013 e 13404/13), non mancano magistrati che continuano a contraddire la Suprema Corte e a ritenere la norma inapplicabile alla somministrazione a termine. Sia chiaro: la giurisprudenza maggioritaria ritiene oramai risolta in positivo la questione, tuttavia spuntano ancora pronunce contrarie, come quella emessa recentemente dal Tribunale di Napoli, con Sentenza n. 78906/14. Il risultato è che, come troppo spesso ormai accade, l’esito di una medesima controversia rischia di essere profondamente diverso a seconda del Giudice a cui essa sarà assegnata, anche nell’ambito della stessa sezione di Tribunale.

Chi scrive ritiene, senza mezzi termini, che non possa non ritenersi applicabile l’indennità omnicomprensiva anche ai casi in cui sia dichiarata l’illiceità o l’irregolarità della somministrazione di manodopera.

Ciò in quanto la Giurisprudenza contraria sembra fondare le proprie tesi, prevalentemente se non esclusivamente, sull’argomento letterale in ragione del quale solo nel caso di illiceità della clausola che definisce la durata di un contratto di lavoro a tempo determinato si verificherebbe la “conversione del contratto a tempo determinato” invocata dal legislatore con la norma.

Tuttavia si ritiene che la disposizione di cui all’art. 32 comma 5 del c.d. “collegato lavoro” vada necessariamente interpretata con scrupolosa meticolosità e non ci si possa fermare alla mera interpretazione letterale della legge, atteso che la norma in commento è decisamente mal scritta e tale da non consentire all’interprete di issarsi su posizioni certe e assolute. La norma, infatti, oltre a scontare evidenti problemi grammaticali “il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore”, con tecnica certamente non sopraffina, sembrerebbe voler individuare le conseguenze (“stabilendo un’indennità onnicomprensiva”) relative a un istituto che mai concretamente è stato definito dal legislatore “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato”. Mai, infatti, il legislatore italiano ha concretamente definito l’istituto della conversione del contratto a tempo determinato e mai neppure ha individuato quali siano concretamente i “casi di conversione del contratto a tempo determinato”. Di fronte a tale ambiguità, è evidente che neppure ha senso invocare un’interpretazione strettamente letterale (come hanno fatto talvolta, ad esempio, la Corte di Appello di Torino e il Tribunale di Napoli) di una norma che per acquisire concretamente un senso deve necessariamente passare attraverso l’interpretazione estensiva del lettore (a prescindere da qualsiasi valutazione di merito, infatti, il lettore dovrà necessariamente introdurre almeno le parole <<danno causato al>> tra la parola “risarcimento” e le parole “del lavoratore”, affinché la disposizione possa acquisire un senso compiuto, atteso che davvero non si comprende cosa possa significare altrimenti la locuzione “al risarcimento del lavoratore”).

Ed infatti tutte le pronunce negative ad oggi pervenute, pur mascherandosi talvolta dietro una lettura strettamente letterale della norma, alla fine sono approdate a interpretazioni frutto di ragionamenti estremamente complessi pur di far perno sull’istituto della “conversione” che, come detto, non è mai stato neppure definito dal legislatore.

Come spesso accade, dunque, l’oscillazione giurisprudenziale non è altro che la conseguenza di una norma formulata con eccessiva superficialità.

Preferibile, come già detto, appare dunque l’interpretazione estensiva, ed infatti a favore dell’applicabilità anche alla somministrazione dell’indennità omnicomprensiva si è sempre espressa la Suprema Corte di Cassazione, ovviamente facendo sempre riferimento a ragionamenti giuridici non strettamente ed esclusivamente legati all’ambiguo istituto della conversione.

Interessante, soprattutto, è la Sentenza n. 13404/13, con la quale la Suprema Corte ha affermato che “la Sentenza della CGUE 11.4.13, Della Rocca, ha escluso che la direttiva 1990/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo, costituita dal fatto che le parti stipulanti l’accordo quadro hanno espressamente previsto che esso <<si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale>>. Da tale previsione si ricava che, anche per l’accordo quadro, e quindi per la direttiva che lo ha recepito, il contratto a termine che si accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del contratto a tempo determinato, tanto che il legislatore europeo, avendo intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che definisce una eccezione, in mancanza della quale l’accordo avrebbe coperto tale area. Se il legislatore europeo non avesse precisato <<ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda da parte di un’agenzia di lavoro interinale>>, la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un contratto di fornitura di lavoro interinale. <<A contrario>> deve ritenersi che, quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera. È quanto è accaduto con l’art. 32, quinto comma, della L. 183 del 2010, che ha fatto indistintamente riferimento a contratti a tempo determinato, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale”. Particolarmente sopraffino il ragionamento della Suprema Corte, che conferma quanto sia estremamente complesso fornire un’interpretazione alla norma dell’art. 32 comma 5 L. 183/2010.

Oltre alle pregevoli ed autorevoli argomentazioni portate dalla Corte di Cassazione, esiste un ulteriore argomento interpretativo in virtù del quale non si può non concludere che anche alle ipotesi di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato conseguente alle irregolarità della somministrazione di manodopera vada necessariamente applicata l’indennità omnicomprensiva.

È parere di chi scrive che a seguire il ragionamento operato dalla Giurisprudenza restrittiva (che esclude, appunto, l’operatività dell’art. 32 nei confronti della somministrazione irregolare) si giunge ad un estremo paradosso. Si è accennato in precedenza che il canone interpretativo comune a tutte le sentenze che hanno ritenuto di non estende l’applicabilità della norma alla somministrazione irregolare trova il suo fondamento nell’istituto della conversione, ossia nella circostanza per la quale solo nel caso di illiceità del contratto a termine la legge disporrebbe che, in caso di violazione delle norme dettate in materia, il contratto si considera a tempo indeterminato (di qui il discernere di conversione – D. Lgs. 368/01), mentre nelle ipotesi di somministrazione irregolare non potrebbe parlarsi di conversione, atteso che il legislatore ha disposto chiaramente che in tali casi il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore viene costituito in ragione di una sentenza del giudice (art. 27 D. lgs. 276/03). Tale interpretazione, tuttavia, sembra non tener presente che – a ben guardare – esiste anche nella disciplina della somministrazione di manodopera un’ipotesi riconducibile al concetto di conversione. Essa è contenuta nell’art. 21 comma 4 del D. Lgs. 276/03 ed è dettata per l’ipotesi più grave di invalidità: la nullità assoluta, che deriva dalla totale assenza di un contratto scritto [l’art. 21 comma 4 D. Lgs. 276/03 testualmente recita: “in mancanza di forma scritta, il contratto di somministrazione é nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore]. Ebbene, se la scriminante della conversione individuata dalla Giurisprudenza restrittiva davvero fosse valida, giungeremmo alla paradossale conclusione per la quale nell’ipotesi di più grave illiceità prevista dalla legge per la somministrazione – ossia allorquando essa è sic et simpliciter nulla poiché svolta in totale assenza di una pattuizione contrattuale scritta (art. 21 comma 4 D. Lgs. 276/03) – dovrebbe trovare applicazione l’indennità risarcitoria in esame, mentre la medesima resterebbe esclusa nei casi meno gravi di somministrazione irregolare di cui al nominato art. 27, allorquando un contratto scritto c’è ma risulta viziato da mera irregolarità. Di qui la paradossale conclusione per la quale un’ipotesi di mera irregolarità (art. 27) darebbe luogo a una sanzione più severa (corresponsione di tutte le retribuzioni perse fino all’effettiva riammissione in servizio, comprensive del versamento dei contributi e delle relative sanzioni) rispetto a quella prevista per un’ipotesi ben più grave di nullità assoluta (pagamento indennità forfettaria da 2,5 a 12 mensilità, per giunta decontribuita).

È evidente, allora, che il canone discriminativo determinante non può rinvenirsi nel termine “conversione”, ma debba essere ricercato nel concetto di determinatezza temporale così come finemente evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione nella Sentenza esaminata.

Ne consegue che l’indennità forfettaria e omnicomprensiva di cui all’art. 32 comma 5 del Collegato Lavoro non può non ritenersi applicabile anche all’istituto della somministrazione di manodopera, oltre che al contratto a termine.

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Luca Peluso (Legal Team)
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Avvocato Giuslavorista socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani). Consegue la laurea con lode in Giurisprudenza nell’anno 2001. Specializzato nell’individuazione di soluzioni idonee a garantire la giusta flessibilità in azienda, collabora con prestigiosi studi professionali fornendo prevalentemente attività di consulenza.

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