Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale: cosa cambia? [E.Massi]

Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale: cosa cambia? [E.Massi]

Molti operatori del settore si chiedono, continuamente, cosa è cambiato nella procedura di conferma delle dimissioni volontarie e delle risoluzioni consensuali: la risposta è che, al momento, nulla è cambiato rispetto alla procedura ipotizzata nell’art. 4, commi da 17 a 23 –bis della legge n. 92/2012 (quindi, la conferma è possibile ancora con la dichiarazione del lavoratore apposta sul retro della comunicazione di cessazione inviata telematicamente al centro per l’impiego e nelle altre modalità di conferma presso la Direzione del Lavoro o il centro per l’impiego), ma molto cambierà allorquando la disposizione contenuta nell’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 entrerà pienamente in vigore. Infatti, il precetto è subordinato alla emanazione di un D.M. del Ministro del Lavoro e da sessanta giorni di “vacatio”, successivi alla entrata in vigore.

Ma, andiamo con ordine mettendo in evidenza anche le possibili criticità.

Afferma il comma 1 che, al di fuori della casistica individuata dall’art. 55, comma 4, del D.L.vo n. 151/20091, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro debbono avvenire, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su moduli resi disponibili dal Dicastero del Lavoro sul proprio sito istituzionale e trasmessi sia al datore di lavoro che alla Direzione territoriale del Lavoro competente per territorio con alcune modalità che saranno individuate con un decreto del Ministro del Lavoro.

Alcune riflessioni si possono, a mio avviso, effettuare, da subito.

La prima riguarda il campo di applicazione.

Le nuove disposizioni non riguardano la procedura specifica che, a seguito della convalida, consente il godimento dell’indennità di NASPI ed il pagamento del periodo di preavviso, nel periodo in cui (art. 54, comma 1) vige il principio del divieto di licenziamento (dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino): esso vale per la madre ma anche per il padre qualora abbia usufruito del periodo “garantito” in sostituzione della moglie (perché deceduta, o allontanatasi, o affidatario esclusivo del neonato). Le stesse regole vigono in caso di adozione (un anno dall’ingresso in famiglia) o di affido. Le dimissioni vanno convalidate avanti al personale della Direzione territoriale del Lavoro (dal 2016, per effetto del D.L.vo n. 149/2015, il nome cambierà in “Ispettorato territoriale”)

Ma le nuove disposizioni non riguardano anche l’ipotesi di ampliamento della conferma del recesso a tre anni dalla nascita del bambino sia per la madre che per il padre lavoratore. Pena la inefficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale il tutto continua ad essere confermato avanti al funzionario del servizio ispettivo. Questa forma di maggior tutela del rapporto nei primi anni di vita del bambino (il medesimo discorso riguarda l’adozione o l’affido) non significa però tutela in ordine al rapporto di lavoro legato alla risoluzione (resta il limite massimo di un anno dalla nascita del bambino), né diritto al trattamento di NASPI (vale la regola che la disoccupazione deve essere involontaria), né il diritto all’indennità di preavviso. Ricordo, peraltro, che la risoluzione consensuale comporta il diritto al trattamento di disoccupazione soltanto in  tre ipotesi: nel periodo di tutela previsto dall’art. 54, comma 1, del D.L.vo n. 151/2001 e nel caso in cui la stessa avvenga al termine di una procedura conciliativa per licenziamento illegittimo (art. 7 della legge n. 604/1966) o ad accettazione di una offerta conciliativa ex art. 6 del D.L.vo n. 23/2015, come chiarito dal Ministero del Lavoro nello scorso mese di aprile.

La seconda riflessione riguarda le tipologie contrattuali interessate.

Il Legislatore delegato parla di “dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro”: la dizione adoperata fa sì che vi siano ricomprese tutte le tipologie di lavoro subordinato sia a tempo indeterminato che determinato ma anche le collaborazioni personali e continuative i cui requisiti sono ben evidenziati nell’art. 2 del D.L.vo n. 81/2015.

Purtroppo, neanche con la nuova procedura, a mio avviso, si potrà porre fine ad un uso distorto della norma se correlata ai vantaggi scaturenti, ad esempio, dall’esonero contributivo previsto dalla legge n. 190/2014 e da quello, più contenuto, che fisserà la legge di Stabilità per l’anno 2016: mi riferisco al fatto che attraverso un accordo tra datore di lavoro e lavoratore (possibile in molte piccole realtà produttive o commerciali) una assunzione “in pianta stabile” a tempo indeterminato (che il comma 118 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 vuole favorire) “camuffi” un contratto a termine, che è senza causale, di lunga durata, finalizzato soltanto a vedersi riconosciuto l’incentivo e che termina, con le dimissioni dell’interessato, allorquando finisce l’agevolazione.

Il comma 2 dell’art. 26 aggiunge, in modo esplicito che nei sette giorni successivi alla trasmissione del modulo il lavoratore ha diritto “al ripensamento” attraverso la revoca delle dimissioni e della risoluzione consensuale. Il Legislatore delegato, questa volta, non si sofferma su quanto si afferma al comma 21 dell’art. 4 della legge n. 92/2012 che riguarda ancora fino a quando la nuova normativa non sarà in vigore le conseguenze legate al ripensamento: il rapporto torna “in vita”, dal giorno successivo alla comunicazione di revoca, nulla matura per il periodo di interruzione e, in capo al lavoratore, scatta l’obbligo di restituzione di quanto eventualmente percepito.  Questi principi, a mio avviso, restano pienamente vigenti.

Piuttosto la disposizione (e qui saranno necessari alcuni approfondimenti) nulla dice circa dimissioni presentate ad una data fortemente antecedente la fine effettiva del rapporto di lavoro: potrebbe nascondere qualcosa, ma su questo aspetto, al momento, non ritengo opportuno soffermarmi.

Il comma 3 parla dei contenuti del  Decreto del Ministro del Lavoro che, stando alle previsioni normative dovrebbe uscire quasi alla vigilia di Natale (ossia il 23 dicembre, 90 giorni dopo l’entrata in vigore): i termini sono sempre ordinatori per la Pubblica Amministrazione e lo dimostra anche il “ruolino di marcia” di altri Decreti (peraltro, importanti) che sarebbero dovuti uscire entro i due mesi successivi e che ancora tardano. Comunque sia, il D.M. avrà un contenuto “informatico” nel senso che dovrà contenere i dati identificativi del rapporto dal quale si intende recedere o risolvere consensualmente, i dati relativi al datore ed al lavoratore, le modalità di trasmissione e gli standard tecnici finalizzati a determinare la data certa di trasmissione.

La trasmissione del modulo avviene, direttamente, per opera del lavoratore il quale, tuttavia, può delegare tale incombenza ai patronati, alle organizzazioni sindacali, agli Enti bilaterali o alle commissioni di certificazione (comma 4).

Il successivo comma 5 definendo la competenza del soggetto finalizzato ad accertare ed irrogare la sanzione amministrativa che viene individuato nella Direzione territoriale del Lavoro (un domani, Ispettorato territoriale), stabilisce (ma non c’è nulla di nuovo, relativamente all’importo, rispetto al passato) che la stessa è compresa tra 5.000 e 30.000 nel caso in cui il datore di lavoro alteri i moduli e ferma restando l’ipotesi che il fatto non costituisca un reato.

Dopo aver ribadito, come in altri provvedimenti, che tali modifiche debbono essere “a costo zero” (comma 6), il Legislatore delegato ricorda che la nuova procedura (comma 7) non è applicabile:

  1. al lavoro domestico, per la peculiarità dello stesso;
  2. alle dimissioni o alle risoluzioni consensuali avvenute avanti alla commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del Lavoro, in sede sindacale, avanti alle commissioni di certificazione e, aggiungo, in sede giudiziale.

Ma, una volta emanato il provvedimento amministrativo che disciplina tecnicamente la nuova procedura, quando il tutto entrerà in vigore? La risposta ce la fornisce il comma 8: le nuove disposizioni entreranno in vigore sessanta giorni dopo l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale e, nello stesso giorno, andranno “in soffitta” i commi da 17 a 23 – bis dell’art. 4 della legge n. 92/2012 che regolamentano ancora oggi l’istituto.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 326 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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