La nuova Cassa del D.L. n. 137: novità, criticità e questioni aperte [E.Massi]

Il blocco o la riduzione delle attività di migliaia di aziende dopo il DPCM del 24 ottobre 2020 costringe il Governo a prorogare gli ammortizzatori sociali COVID e la sospensione dei licenziamenti

La nuova Cassa del D.L. n. 137: novità, criticità e questioni aperte [E.Massi]

La sospensione o la riduzione delle attività di migliaia di aziende avvenuta con il DPCM 24 ottobre 2020 ha spinto il Governo ad emanare, in tutta fretta, il D.L. n. 137, che, tra le altre cose, si interessa della sostanziale proroga degli ammortizzatori sociali COVID e sposta in avanti, al 31 gennaio, “lo stop” ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

In questa breve riflessione mi soffermerò sulle novità relative alle integrazioni salariali che, rispetto al D.L. n. 104, presentano alcune novità.

Il provvedimento non è una semplice proroga del precedente, ma presenta aspetti e criticità diversi sui quali è opportuno riflettere avendo ben presente che sia l’esame parlamentare che le trattative in corso del Governo con le parti sociali potrebbero, cambiare, in corsa, alcuni contenuti.

Il comma 1 dell’art. 12 prevede un ulteriore periodo di ammortizzatori COVID-19 pari a 6 settimane di CIGO, assegno ordinario di FIS o Cassa in deroga, collocato nel periodo intercorrente tra il 16 novembre ed il prossimo 31 gennaio. Il datore di lavoro che presenterà istanza per un intervento a partire dal 16 novembre, pur avendo ancora la possibilità di utilizzare parte delle 18 settimane previste dal D.L. n. 104, andrà ad erodere, se autorizzato, il pacchetto delle 6 settimane ulteriori. In sostanza, vale lo stesso principio già presente nel D.L. n. 104, allorquando le settimane utilizzate dai datori di lavoro sulla base del D.L. n. 34, a partire dal 13 luglio, furono assorbite dalle 18 alle quali ho accennato pocanzi. Si tratta di una regola che può apparire discutibile, ma essa trae la propria origine dal fatto che si intende, a fronte di spese crescenti per la finanza pubblica, di limitarle il più possibile. E’, comunque, una regola che crea forti perplessità tra gli operatori, con criticità evidenti sulle quali mi soffermerò, in parte, nel corso della trattazione.

Alcune riflessioni si rendono necessarie e riguardano:

  • Il periodo di copertura: perché viene individuata la data del 16 novembre? Essa riguarda, essenzialmente, quei datori di lavoro che, senza soluzione di continuità, hanno utilizzato l’ammortizzatore COVID-19 a partire dal 13 luglio e che, appunto, avranno “consumato” tutto il pacchetto a loro disposizione il 15 novembre. Qualora necessitino di ulteriori interventi integrativi potranno utilizzare le 6 settimane che, fruite in modo continuativo, consentiranno di arrivare al 31 dicembre;
  • Il periodo complessivo di copertura: la data finale di vigenza dell’ammortizzatore COVID-19 è fissata al 31 gennaio (11 settimane a partire dal 16 novembre). Da ciò si evidenzia che il periodo di fruizione complessivo riesce a comprendere poco più della metà delle settimane totali;
  • L’ambito di applicazione relativo ai singoli lavoratori correlato alla data di assunzione: i D.L. n. 18 e n. 34 l’avevano indicata, il D.L. n. 104 non lo aveva fatto ma l’INPS, con la circolare n. 115, l’aveva individuata nel 13 luglio, giorno di “confine” tra la nuova e la vecchia disciplina integrativa. Anche il D.L. n. 137 non ha indicato la data e, credo, che anche questa volta, l’Istituto provvederà ad individuarla: essa potrebbe essere la data di pubblicazione del DPCM sulla limitazione o sospensione di alcune attività (24 settembre) o, più propriamente, il 28 settembre data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. n. 137;
  • Le imprese destinatarie: i datori di lavoro che hanno già fatto ricorso all’integrazione salariale per il coronavirus, potranno usufruire delle 6 settimane soltanto se avranno avuto già autorizzate le seconde 9 settimane del pacchetto delle 18 e soltanto, trascorso il periodo che risulta autorizzato che è quello per il quale, a determinate condizioni, sussiste l’obbligo di versare un contributo addizionale che resta confermato con le stesse modalità. Un “percorso facilitato” viene riservato alle imprese interessate dal DPCM del 24 ottobre (l’Istituto potrebbe individuarle attraverso il codice ATECO): potranno chiedere le 6 settimane, a partire dal 16 novembre, pur se non hanno richiesto completamente le 18 settimane previste dal D.L. n. 104 e, soprattutto, non saranno tenute a versare alcun contributo addizionale. Ma se ne hanno bisogno dal 25 settembre, cosa potranno fare, atteso che il nuovo ammortizzatore è utilizzabile dal 16 novembre? La risposta è che potranno far ricorso al “pacchetto” delle 18 settimane.

La formulazione del comma 2, dell’art. 12, necessita di una risposta su un problema pratico che potrebbe presentarsi: una impresa che non ha avuto necessità, nel corso del 2020, di ricorrere agli ammortizzatori COVID-19 perché, magari, operando nella grande distribuzione alimentare non ne ha avuto bisogno, qualora ne avesse necessità a gennaio 2021 (perché, ad esempio, appartenendo al settore della logistica, ha perso l’appalto con il 31 dicembre) potrà far ricorso ricorrere all’integrazione salariale prevista dal D.L. n. 137 /2020? Stando al tenore letterale della norma e fatte salve ipotesi diverse che potrebbero essere introdotte in sede di conversione, la risposta è negativa in quanto non ha, in via preventiva, avuto alcuna autorizzazione relativa alle seconde 9 settimane delle 18 complessive che andavano utilizzate entro il 31 dicembre (comma 2).  Ovviamente, avrà a disposizione l’integrazione salariale ordinaria prevista dal D.L. n. 148/2015 che, tuttavia, opera con modalità e criteri del tutto diversi sia per la CIGO che per il FIS.

Le 6 settimane ulteriori, a determinate condizioni, possono essere oggetto di un contributo addizionale, con le modalità e le forme stabilite dal D.L. n. 104 e dalla circolare INPS n. 115. Vi sono delle eccezioni che riguardano le attività sospese o ridotte a seguito del DPCM 24 ottobre 2020 per le quali i datori di lavoro interessati non saranno tenuti al versamento del contributo addizionale.

La questione, anche per alcune evidenti criticità, necessita di un quadro riepilogativo che, al momento, deve tener conto, in attesa di ulteriori approfondimenti amministrativi, degli scarni chiarimenti contenuti nella circolare n. 115.

La causale di riferimento da inserire nell’istanza è “COVID-19 con fatturato” e riguarda le richieste per CIGO, assegno ordinario del FIS e Cassa in deroga (ma anche quelle dirette ai Fondi ex artt.  26, 27 e 40 del D.L.vo n. 148/2015): tutte le istanze riferite ai periodi successivi al 15 novembre, dovranno essere accompagnate da una autocertificazione ex art. 46 del DPR n. 445/2000 il cui contenuto riguarda la comparazione del fatturato del primo semestre del 2020 con quello dell’analogo periodo riferito al 2019. Questo perché il comma 2 dell’art. 12, riprendendo quanto già affermato dal D.L. n. 104, richiede, in alcuni casi, un contributo addizionale che:

  • È pari al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o la riduzione di orario, se nella comparazione il fatturato si è ridotto per meno del 20%;
  • È pari al 18% della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di sospensione o di integrazione salariale, per le aziende che non hanno subito cali di fatturato.

Non è, invece, dovuto alcun contributo addizionale (comma 3) se la riduzione del fatturato, nel periodo sotto osservazione, è pari o superiore al 20%. Lo stesso principio vale sia per i datori di lavoro che hanno iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 (conta la data di comunicazione dell’attività inviata alla Camera di Commercio e non quella di apertura della matricola aziendale) che per coloro che hanno subito la cessazione o la riduzione di attività a seguito della entrata in vigore del DPCM 24 ottobre 2020.

Sulla scorta di quanto auto dichiarato (il falso ha conseguenze di natura penale) l’INPS individua l’aliquota del contributo addizionale che dovrà essere versato a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. Le opportune verifiche sulle autocertificazioni saranno di competenza sia dell’Istituto che dall’Agenzia delle Entrate sulla base di dati ed elementi di valutazione che potranno essere oggetto di scambio.

Una brevissima considerazione appare necessaria: le aziende che si troveranno nella necessità di dover fruire, anche parzialmente, delle 6 settimane e che non hanno subito cali di fatturato o lo hanno subito in misura inferiore al 20%, dovranno ben valutare il ricorso all’ammortizzatore (ma si tratta di una operazione che dovrebbero aver già fatto per le seconde 9 settimane delle 18 complessive prevista dal D.L. n. 104) perché il contributo addizionale costa  molto, ed è, in alcuni casi, superiore, alle percentuali previste, in via ordinaria, dal D.L.vo n. 148/2015 per la CIGO, per la CIGS e per il FIS.

Le disposizioni relative al contributo addizionale impongono, a mio avviso, la necessità di focalizzare l’attenzione su alcune “voci” fondamentali che, però, nella sostanza erano già state oggetto di riflessione per l’esame delle seconde 9 settimane del D.L. n. 104.

La prima riguarda il fatturato da prendere a riferimento: esso ha significati diversi sotto l’aspetto civilistico e sotto quello fiscale. La circolare n. 115 si rapporta alle questioni, in modo generico, riferendosi “agli indici di calcolo e le modalità di raffronto illustrate dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate”. Quest’ultima, nel corso della crisi pandemica, si è espressa con le circolari n. 9/E del 13 aprile e n. 15/E del 14 giugno ove ha affermato che, ai fini della determinazione del fatturato, occorre riferirsi alle operazioni che hanno partecipato alle liquidazioni periodiche dell’IVA nei periodi oggetto di raffronto.

Ovviamente, per chi non ha obbligo di fatturazione, appare necessario prendere a riferimento l’ammontare dei ricavi sulla base della previsione contenuta nella circolare n. 8/E del 3 aprile.

La seconda “voce” riguarda l’inizio dell’attività per quelle aziende che l’hanno cominciata nel corso del 2019. La circolare parla di data di inizio desunta dalla comunicazione alla Camera di Commercio ma, allora, il contributo addizionale non si applica ai datori di lavoro che non sono imprenditori? Le disposizioni del D.L. n. 104 al comma 2 dell’art. 1 si riferiscono a “tutti i datori di lavoro” ma per il contributo aziendale ci si riferisce al fatturato aziendale e la circolare n. 115 sembra sempre riferirsi alle imprese. Tutto ciò andrebbe, sollecitamente, chiarito.

Nulla è cambiato per quel che riguarda l’informativa, la consultazione e l’esame congiunto con le organizzazioni sindacali che possono essere svolti, con modalità semplificate, anche “da remoto”. Ricordo che i datori di lavoro che presentano un organico superiore alle cinque unità, debbono raggiungere un accordo con le rappresentanze dei lavoratori ai fini del trattamento di Cassa in deroga.

Tornando al merito delle questioni affrontate con il D.L. n. 137, il Governo ricorda, al comma 5, che le istanze, debbono essere inviate all’INPS entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario. Desta perplessità, l’affermazione, contenuta nella norma, secondo la quale, in sede di prima applicazione, le 6 settimane, che decorrono dal 16 novembre, possono essere presentate entro la fine del mese successivo a quello di pubblicazione del D.L. n. 137 (ottobre), ossia il 30 novembre. Probabilmente, la fretta, ha tirato un “brutto scherzo” agli estensori del provvedimento, perché, nel caso di specie, non si tratta di una disposizione di miglior favore, in quanto il termine ordinario per la presentazione delle istanze, partendo il tutto dal 16 novembre, non può che essere il 31 dicembre. Vedremo, cosa dirà l’INPS.

Il comma 6 stabilisce che in caso di pagamento diretto delle  prestazioni, i dati necessari per lo stesso o il saldo delle integrazioni debbono essere inviati entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato l’intervento integrativo o, se più favorevole, entro i 30 giorni successivi all’emanazione del provvedimento, con lo spostamento al 27 novembre (30 giorni dal 28 ottobre, data di entrata in vigore del D.L. n. 137), se tale data è posteriore a quella del primo periodo. I termini hanno natura decadenziale: ciò significa che, in caso di superamento degli stessi, i pagamenti e gli oneri connessi resteranno a carico del datore inadempiente.

Il comma 7, parlando della proroga al 31 ottobre dei termini riferiti sia alle istanze di cassa che alla presentazione degli SR41, con scadenza settembre, contiene un altro refuso (probabilmente, frutto di “copia e incolla” e di mancate riletture del testo) in quanto il differimento si riferisce alle sole istanze le cui scadenze si collocano tra il 1° ed il 10 settembre (date che non sembrano avere alcun significato).

Il comma 8 ricorda che i Fondi bilaterali alternativi ex del D.L. vo n. 148/2015 assicurano il pagamento dell’assegno ordinario con le medesime modalità stabilite per gli altri ammortizzatori e che, con appositi Decreti Ministeriali “concertati”, saranno messe a disposizione le dotazioni economiche previste dalla norma.

Da ultimo, il D.L. n. 137, ma la disposizione non è operativa in quanto si attende in “via libera” di Bruxelles ai sensi dell’art. 108 del Trattato anche per la prima “tranche” prevista dall’art. 3 del D.L. n. 104, riconosce 4 settimane di esonero contributivo per coloro che non si avvarranno dei trattamenti integrativi. Tale sgravio si correla, con le stesse modalità, a quello sopra indicato, con alcune significative novità.

La prima riguarda l’ammontare del beneficio: il riferimento è soltanto alla contribuzione del mese di giugno, nei limiti delle ore integrative già fruite.

La seconda concerne una forte differenza con la previsione dell’art. 3 del D.L. n. 104: non sussiste alcun raddoppio della contribuzione sulle ore già fruite in ragione di ogni dipendente.

La terza si riferisce al termine entro cui va “goduto” il beneficio: la data è il 3 gennaio 2021.

La quarta novità, infine, riguarda una sorta di “diritto di ripensamento”. Infatti, chi ha chiesto l’esonero in base all’art. 3 del D.L. n. 104 e non ne ha fruito interamente, potrà rinunciare alla parte residua e chiedere le integrazioni salariali previste dal D.L. n. 137.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 326 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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