Commercio: il contratto di sostegno all’ occupazione [E. Massi]

Commercio: il contratto di sostegno all’ occupazione [E. Massi]

eufraniomassi_articoloA volte, ritornano: cancellato dalla legge Fornero (legge n. 92/2012) il contratto di inserimento, già previsto dagli articoli 54 e seguenti del D.L.vo n. 276/2003, risorge, sotto altre vesti, attraverso il contratto di sostegno all’occupazione, che presenta forti assonanze con il primo. Esso è previsto dalla ipotesi di accordo riguardante il rinnovo del CCNL del settore terziario, sottoscritta il 30 marzo 2015.

Più che una nuova tipologia contrattuale ci si trova di fronte ad una ipotesi ulteriore di contratto a tempo determinato, disciplinata dal nuovo articolo 69 – bis, destinata a favorire l’ingresso sul mercato del lavoro di una serie di soggetti che, a vario titolo e per alterne vicende, ne sono rimasti ai margini.

Essa, è bene precisarlo subito, viene esclusa dai limiti quantitativi percentuali previsti dagli articoli 63 (20% del personale a tempo indeterminato, con una serie di esclusioni) e 66 (28%, quale sommatoria tra contratti a termine e contratti di somministrazione, anche in questo caso con una serie di esclusioni) del CCNL. La non computabilità nei limiti quantitativi (presumibilmente, per l’applicazione di istituti contrattuali) si estende, in caso di conferma a tempo indeterminato, per i successivi ventiquattro mesi.

Il contratto di sostegno all’occupazione ha carattere sperimentale, verrà monitorato dalle parti contraenti e la verifica definitiva avverrà in occasione del rinnovo del prossimo CCNL.

Questa riflessione vuole essere, al momento, soltanto uno strumento di conoscenza della nuova possibilità occupazionale derivante dal rinnovo, al momento, sottoscritto da Confcommercio e dalle associazioni di categoria Filcams CGIL, Fisascat Cisl e Uiltucs UIL.

Prima di entrare nel merito della nuova previsione, ritengo necessario soffermarmi sulle figure per le quali è attivabile il contratto (peraltro, una sola volta con lo stesso soggetto). I lavoratori, potenzialmente interessati sono:

a)      coloro che “non hanno un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi” o che, negli ultimi sei mesi, hanno svolto attività lavorativa in forma autonoma o parasubordinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione fiscale (4.800 euro). Per quel che concerne il  riferimento ad un “impiego non retribuito da almeno sei mesi” le parti sociali hanno richiamato l’art. 2, comma 18, lettera a) del Regolamento CE n. 800/2008, declinato nel nostro ordinamento dal D.M. del Ministro del Lavoro del 20 marzo 2013 che all’art. 1, dopo aver ripetuto la frase contenuta nel Regolamento comunitario sopra richiamata, aggiunge “ovvero coloro che negli ultimi sei mesi non hanno prestato attività riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi”;

b)      coloro che, titolari di un rapporto di apprendistato, non hanno visto “consolidarsi” il proprio rapporto al termine del periodo formativo. L’assunzione non è, ovviamente, possibile per i datori di lavoro che non hanno confermato i lavoratori ma, a mio avviso, non è neanche possibile per quelle aziende facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso titolare o che siano controllate e collegate  tra di loro (su ciò sarebbe opportuno, al momento debito, un chiarimento amministrativo da parte del Ministero del Lavoro);

c)      coloro che hanno esaurito l’accesso a misure di sostegno al reddito. Si tratta di lavoratori che non hanno più diritto agli ammortizzatori sociali, alla Nuova Assicurazione per l’Impiego, alla indennità di disoccupazione dei collaboratori (DIS-COLL) o all’ASDI (assegno di disoccupazione), previsto dall’art. 16 del D.L.vo n. 22/2015.

La durata del contratto è di dodici mesi (nel vecchio contratto di inserimento si parlava di diciotto mesi non prorogabili): dal tenore letterale della disposizione e fatte salve eventuali correzioni in sede di stesura definitiva, non sembra che lo stesso possa avere una durata inferiore: magari, il limite massimo può essere raggiunto attraverso più proroghe che, come afferma l’art. 4 del D.L.vo n. 368/2001 (ma anche lo schema di riordino dei contratti di lavoro che è, attualmente, in attesa del parere delle competenti commissioni di Camera e Senato), in un arco temporale di trentasei mesi non possono essere più di cinque. Tale contratto che non rientra nei limiti numerici previsti dal CCNL è, in ogni caso, computabile nel numero complessivo di trentasei mesi per lo svolgimento delle stesse o equivalenti mansioni.

L’assimilazione con il contratto di inserimento prosegue con la parte formativa, da evidenziare sul Libro Unico del Lavoro: anche qui sono previste sedici ore di formazione, con attenzione alla prevenzione antinfortunistica; esse potranno essere svolte, oltre che singolarmente, anche con la partecipazione a progetti aziendali o in affiancamento.

Due parole sono necessarie anche per i livelli di inquadramento che, come già nel contratto di inserimento, possono essere inferiori di due rispetto a quello finale nei primi sei mesi e di uno nel successivo periodo. Per i lavoratori assunti per qualifiche comprese nel sesto livello, i primi sei mesi saranno retribuiti con il livello inferiore (settimo, che è il più basso previsto dalla declaratoria contrattuale), mentre per i sei mesi successivi la “paga” sarà quella del livello di appartenenza.

In caso di trasformazione a tempo indeterminato (e qui finisce l’assonanza con il contratto di inserimento che non prevedeva “sconti”) il trattamento economico sarà di un livello inferiore rispetto a quello spettante per la qualifica indicata nel contratto di assunzione, per un ulteriore periodo di ventiquattro mesi: da ciò si deduce che, complessivamente, il costo retributivo per un arco temporale di trentasei mesi, pur essendo il rapporto, stato trasformato a tempo indeterminato, dopo un periodo di un anno trascorso con un rapporto a termine, è inferiore a quello indicato per la mansione svolta. L’unica eccezione è rappresentata dai lavoratori che hanno prestato la loro attività a tempo determinato per una qualifica compresa nel sesto livello: in caso di trasformazione del rapporto, nei ventiquattro mesi successivi la retribuzione non può essere “abbassata”, ma resta al sesto livello.

Una breve considerazione si rende necessaria e riguarda l’ammontare della retribuzione: nel caso limite di un apprendista “non consolidato” al termine del periodo formativo (tre anni), ma assunto a termine da altro datore (dodici mesi) e, poi, trasformato a tempo indeterminato (con retribuzione ridotta per ventiquattro mesi), si potrebbe arrivare a sei anni complessivi di “paga” inferiore al livello contrattuale di riferimento (in genere, si parla di lavoratori di medio – basso livello che hanno difficoltà ad entrare proficuamente nelle realtà economico – produttive), cosa che a me appare abbastanza “punitiva”.

Due parole sulla contribuzione previdenziale: non trattandosi di contratti stagionali o per ragioni sostitutive essa è maggiorata dell’1,40%, secondo la previsione contenuta nell’art. 2 della legge n. 92/2012.

Da ultimo, l’art. 69 – bis stabilisce che la contribuzione a carico del datore di lavoro per il fondo di previdenza complementare FONTE è pari per tutta la durata del contratti all’1,05% comprensivo della quota associativa pari a 22 euro della retribuzione utile per il computo del TFR. La stessa contribuzione dovrà essere applicata in caso di trasformazione a tempo indeterminato per i primi ventiquattro mesi.

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Eufranio Massi
Eufranio Massi 323 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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