L’ integrazione salariale nel settore editoriale [E.Massi]

L’ integrazione salariale nel settore editoriale [E.Massi]

L’editoria ha, da sempre, rappresentato un settore a se stante per quel che riguarda gli ammortizzatori sociali: di ciò fino alla scorso mese di dicembre ne è stata palese testimonianza la specifica normativa inserita all’interno della legge n. 416/1981.

Con il 1° gennaio 2018 alcune cose sono cambiate in quanto è entrato in vigore il D.L.vo n. 69/2017 con il quale, all’art. 1, vengono dettate una serie di nuove disposizioni relative agli interventi di integrazione salariale straordinaria per le imprese che operano in tale settore.

Si tratta di un intervento normativo che intende porre la parola “fine” alla precedente gestione e che, per certi versi, riconduce tutto all’interno del D.L.vo n. 148/2015, pur nella salvaguardia di alcune specifiche peculiarità. Nel “corpus” del predetto decreto, è stato inserito l’art. 25-bis, e, nel rispetto di tempi assolutamente “cadenzati”, il DM “concertato” tra Lavoro ed Economia n. 100495 del 23 novembre 2017  e le circolari della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del  Ministero del Lavoro n. 21 del successivo 22 dicembre e n. 5 del 20 febbraio 2018, emanate con il parere dell’Ufficio Legislativo, hanno fornito le prime indicazioni operative.

La riflessione che segue tiene non può che partire da queste ultime.

Chi sono i potenziali fruitori dell’integrazione salariale straordinaria e delle norme sul prepensionamento?

Il Legislatore si riferisce ai giornalisti professionisti, ai pubblicisti ed ai praticanti, dipendenti da imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici e di agenzie di stampa a diffusione nazionale ed ai dipendenti delle imprese che stampano i giornali ed i periodici nonchè delle predette agenzie di stampa, ivi compresi gli apprendisti con contratto professionalizzante ai quali sono estesi, ricorda la circolare n. 21, gli obblighi contributivi scaturenti dall’art. 2, comma 3, del D.L.vo n. 148/2015.

I soggetti interessati debbono possedere almeno 90 giorni di anzianità lavorativa presso l’unità produttiva interessata dall’intervento. Si ritiene, anche alla luce dei chiarimenti espressi nella circolare n. 14/2017 che, ai fini del calcolo, si debbano considerare i criteri individuati dall’INPS nelle circolari n. 197/2015 e n. 9/2017, secondo le quali nel concetto di effettivo lavoro rientrano i periodi di sospensione derivanti da ferie, festività, maternità obbligatoria ed infortunio e che, in caso di articolazione dell’orario settimanale su 5 giorni, vanno calcolati anche il sesto giorno ed il riposo settimanale, come affermato dal Ministero del Lavoro con la nota del 19 luglio 2016. 

L’iter per il prepensionamento

La circolare n. 21 sottolinea come, durante il periodo di fruizione dell’integrazione salariale straordinaria (qualunque sia la causale e, quindi, anche in presenza di un contratto di solidarietà difensivo), i lavoratori poligrafici possano decidere di seguire il percorso per l’esodo e per il prepensionamento alla luce dei criteri fissati dall’art. 37, comma 1, lettera a), della legge n. 416/1981 sul quale è intervenuto, apportando correzioni, il D.L.vo n. 69/2017.

Da quanto appena detto discende che dal 1° gennaio 2018, limitatamente al numero delle unità ammesse dal Ministero del Lavoro a seguito di un Decreto, sono necessari 37 anni di anzianità contributiva e che i periodi di trattamento integrativo sono riconosciuti utili d’ufficio: la facoltà di optare per l’esodo ed il prepensionamento va esercitata entro i 60 giorni dall’ammissione al trattamento di CIGS ex art. 25-bis del D.L.vo n. 148/2015 o, durante il periodo di godimento, entro i 60 giorni dal momento in cui maturano le condizioni dell’anzianità contributiva richiesta.

Diverso è, invece, il discorso relativo ai giornalisti professionisti iscritti all’INPGI: l’esodo ed il prepensionamento possono essere riconosciuti nei soli casi in cui l’impresa abbia avuto il Decreto di riconoscimento della CIGS per riorganizzazione aziendale in presenza di crisi, seguendo i criteri fissati sempre dalla legge n. 416/1981, all’art. 37, comma 1, lettera b): per quel che riguarda il momento dell’opzione valgono le stesse regole in uso per i poligrafici alle quali si è appena fatto cenno (60 giorni dall’ammissione al trattamento di CIGS o, durante la fruizione, nei 60 giorni successivi, al momento in cui è maturata l’anzianità contributiva richiesta).

Per l’esercizio dell’opzione finalizzata alla liquidazione anticipata della pensione viene richiesto ai giornalisti professionisti di aver fruito del trattamento di CIGS per almeno 3 mesi, anche non continuativi, riferiti all’intero provvedimento di autorizzazione.

Qui, il Legislatore richiede almeno 25 anni di anzianità contributiva: il numero dei giornalisti ammessi viene definito attraverso un Decreto “concertato” tra Lavoro ed Economia, sulla base di accordi recepiti dal Dicastero del Lavoro, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili. La liquidazione della pensione di vecchiaia può essere anticipata nei 5 anni che precedono il raggiungimento della pensione di vecchiaia nel regime INPGI, con integrazione a carico dell’Istituto per un massimo di 5 anni di anzianità contributiva. Va ricordato che il requisito di anzianità contributiva viene progressivamente adeguato agli incrementi della speranza di vita ex art. 12 della legge n. 122/2010.

L’art. 2, comma 5, lettera a) della legge n. 198/2016 (si tratta della legge delega da cui ha avuto origine il D.L.vo n. 69/2017) vieta ai giornalisti che abbiano ottenuto il trattamento pensionistico anticipato, di mantenere o di instaurare rapporti di lavoro con l’azienda nella quale erano in forza.

Le procedure di integrazione salariale straordinaria

Tornando alle specificità delle aziende editoriali si può notare come la prima differenza a balzare agli occhi, consista nel fatto che, a differenza delle altre imprese, non viene richiesto alcun limite dimensionale il quale, in via generale, è fissato in almeno sedici dipendenti, mediamente occupati, nel semestre antecedente la presentazione dell’istanza, ivi compresi i dirigenti e gli apprendisti (art. 20).

Ma, quali sono le causali che danno luogo all’intervento integrativo salariale straordinario?

Sono le stesse previste per gli altri settori, ma con alcune particolarità:

  1. riorganizzazione aziendale in presenza di crisi, di durata massima pari a 24 mesi, anche continuativi;
  2. crisi aziendale, di durata massima pari a 24 mesi, anche continuativi. Tale causale viene riconosciuta anche in caso di cessazione di attività, di fallimento o di cessione di ramo d’azienda . Come ben si arguisce dalle cose appena dette, la casistica è completamente diversa da quella generale, sia per la durata (24 mesi invece che 12), che per le motivazioni, essendo possibile anche senza alcuna ripresa dell’attività produttiva (elemento indispensabile nelle altre imprese industriali) o per fallimento, non più previsto, in via generale, dal gennaio 2017, dopo l’abrogazione dell’art. 3 della legge n. 223/1991;
  3. contratto di solidarietà difensivo per un massimo di 24 mesi per il quale valgono le stesse modalità individuate dall’art. 21, lettera c). Ciò significa che è necessario un accordo collettivo finalizzato a bloccare o ridurre i licenziamenti, che la riduzione oraria non può superare la percentuale del 60%, con punte del 70% per i singoli lavoratori riferite all’intera durata dell’intervento, che è possibile tenere “aperta” una procedura collettiva di riduzione di personale e che i licenziamenti possano essere effettuati sulla base del solo criterio della “non opposizione” e che un contratto stipulato nei primi 24 mesi del quinquennio mobile viene computato per la metà del periodo. L’accordo, necessario per l’attivazione dello stesso (non è sufficiente il solo esame congiunto), va sottoscritto con le organizzazioni sindacali individuate dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015: si tratta di quelle che sono “comparativamente” più rappresentative nel settore, delle “loro” RSA o delle RSU.

La durata massima nel quinquennio mobile (valgono gli stessi concetti in uso per le CIGS degli altri settori ed i criteri per il calcolo riportati nella circolare n. 17/2017 del Ministero del Lavoro) è di 24 mesi, con la possibilità di arrivare a 36 qualora venga stipulato un contratto di solidarietà nei primi 2 anni per una durata complessiva di 24 mesi: i trattamenti autorizzati e conclusi entro il 31 dicembre 2017 non entrano nel computo, mentre vi rientrano “pro-quota” quelli che, autorizzati in data antecedente, continuano ad essere fruiti a partire dal 1° gennaio 2018.

Come è noto, a partire dal 24 settembre 2017, essendo venuta meno la norma transitoria contenuta nell’art. 44, comma 3, del D.L.vo n. 148/2015, il limite massimo delle ore integrabili non può superare il tetto dell’80%. Qui, giustamente, in perfetta assimilazione con gli altri settori, la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione richiama i chiarimenti espressi con la circolare n. 16/2017 (numero dei lavoratori mediamente occupati nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale dal quale è possibile enucleare il numero di ore contrattualmente lavorabili, con riferimento alla platea complessiva dei lavoratori che costituiscono l’organico dell’unità produttiva, su cui si computa l’80% che costituisce il “plafond“delle ore autorizzabili).

La sostanziale assimilazione con la normativa generale si rileva sia per la misura dell’integrazione

salariale che per la contribuzione figurativa riconosciuta compiutamente per tutta la durata del periodo di sospensione o di riduzione di orario, così come prevede l’art. 6 del D.L.vo n. 148/2015.

Per quel che concerne, invece, la misura dell’integrazione salariale valgono “in toto” le regole fissate dall’art. 3.

Essa è pari all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non prestate comprese tra zero ore ed il limite orario contrattuale. Le modalità di quantificazione dell’ammontare del trattamento integrativo in relazione alla dislocazione oraria della prestazione ed alle modalità di erogazione della retribuzione, ivi comprese le indennità accessorie rispetto alla retribuzione base, sono identiche a quelle degli altri settori.

La misura del trattamento è soggetta agli stessi obblighi contributivi già esistenti come l’art. 26 della legge n. 41/1986 che prevede una riduzione dell’ammontare del trattamento pari al 5,84%. L’ammontare massimo dell’integrazione salariale non può superare i c.d. “massimali” ex lege n. 427/1980, secondo le modalità già applicate in base alla normativa vigente e soggetti a rivalutazione annuale.

Questi sono, per il 2018, come ricorda la circolare INPS n. 19 del 31 gennaio 2018, gli importi massimi mensili, rapportati alle ore autorizzate e per un massimo di 12 mensilità, comprensive dei ratei delle mensilità aggiuntive:

  • 982,40 euro allorquando la retribuzione mensile di riferimento comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è pari od inferiore a 2.125,36 euro: essi, al netto, sono 925,03 euro;
  • 180,76 euro nei casi in cui la retribuzione mensile di riferimento, anch’essa comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è superiore a 2.125,36 euro: al netto la somma è pari a 1.111,80.

Un discorso, parzialmente diverso, ricorda il nuovo art. 25-bis del D.L.vo n. 148/2015, va fatto per la parte contributiva, in quanto è prevista una differenziazione:

  • per i dipendenti delle imprese editoriali e stampatrici è dovuto sia il contributo dello 0,90% previsto dall’art. 23, di cui 2/3 a carico dei datori di lavoro e ed 1/3 a carico dei lavoratori che quello addizionale di cui parla l’art. 5 (9% per i primi 12 mesi calcolati sulla retribuzione che sarebbe spettata per le ore non lavorate, 12% per il periodo fino a 24 mesi e 15% per l’eventuale periodo successivo fino a 36 mesi);
  • per i giornalisti professionisti, i pubblicisti ed i praticanti è dovuto soltanto il contributo addizionale.

Ma, quali sono i criteri che presiedono all’approvazione dei programmi di CIGS?

Per quel che concerne la riorganizzazione aziendale in presenza di crisi, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare alcuni passaggi, in un certo senso, obbligati:

  • presentazione di un programma con interventi specifici ed investimenti coerenti con lo stato di crisi;
  • idoneità del programma finalizzato a superare le inefficienze di natura gestionale, commerciale o produttiva, finalizzati anche al riassetto redazionale;
  • copertura finanziaria degli investimenti programmati;
  • sospensione del personale interessato, dettagliatamente articolato, che evidenzi la diretta connessione con la riorganizzazione, con le modalità di attuazione e con i tempi di realizzazione: nel caso in cui siano previste eccedenze occupazionali va ipotizzato un piano di recupero aziendale;
  • recupero occupazionale del personale interessato dalla CIGS in misura non inferiore al 70%: in tale percentuale, in perfetta analogia con le imprese di altri settori, rientrano anche i lavoratori riassorbiti in altre unità produttive della stessa azienda o di altre aziende del settore e quelli per i quali si è ricorsi alla risoluzione del rapporto in modo “non oppositivo o traumatico” (nella sostanza, sono quelli il cui rapporto viene risolto consensualmente e senza alcuna impugnativa).

Diversi sono, invece, i criteri relativi ai programmi di crisi aziendale. Il datore di lavoro interessato deve:

  • specificare in una relazione tecnica la situazione critica che pregiudica il buon andamento dell’attività. Lo stato di crisi deve emergere da una serie di indicatori come, il fatturato, il risultato operativo, il risultato di impresa e l’indebitamento: il tutto, va preso in considerazione rispetto al biennio precedente;
  • indicare il decremento delle vendite e degli introiti pubblicitari;
  • delineare la consistenza del proprio organico, con le mansioni ed i compiti svolti, mettendo l’accento sul ridimensionamento e specificando che, nel periodo considerato, non vi sono state assunzioni con riconoscimento di agevolazioni o sgravi contributivi;
  • presentare un piano di risanamento con le iniziative prese o da intraprendere per fronteggiare la crisi, riferite ad ogni unità produttiva coinvolta, con l’obiettivo di garantire la continuità di impresa e la salvaguardia dei livelli occupazionali. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una cessazione totale o parziale o ad un fallimento va prodotto un piano di gestione degli esuberi.

Nel contratto di solidarietà difensivo il quadro si presenta diverso rispetto alle ipotesi considerate. Infatti il datore di lavoro deve:

  • presentare l’accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o con le loro RSU o la RSA. L’accordo deve quantificare e motivare gli esuberi;
  • prevedere deroghe che comportino un minor ricorso alla riduzione oraria in caso di esigenze temporanee di maggior lavoro. Nel caso in cui si verifichi tale ipotesi, il datore deve comunicare la variazione all’Ufficio ministeriale competente per la CIGS (tutto in via telematica), all’INPS o all’INPGI. Qualora sia prevista una maggiore riduzione oraria (che comunque, non può essere superiore al 60% o riferita al singolo lavoratore, calcolata su tutta la durata del contratto, al 70%) sarà necessario sottoscrivere un nuovo accordo;
  • non ricorrere a prestazioni di lavoro straordinario, fatte salve situazioni del tutto eccezionali;
  • gestire eventuali esuberi attraverso la procedura collettiva di riduzione di personale, con la individuazione del criterio della “non opposizione”.

Si tratta, come ben si vede, di ipotesi, del tutto analoghe, a quelle in essere per gli ordinari contratti di solidarietà difensivi.

L’istanza di autorizzazione del trattamento integrativo straordinario va presentata, come per le altre imprese, in via telematica, secondo la procedura fissata dall’art. 25, compilando le apposite schede ed allegando anche la documentazione richiesta dalla circolare n. 16/2017 relativamente al “plafond dell’80%” delle ore lavorabili. Ciò significa che la domanda va presentata entro i 7 giorni successivi alla conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data di stipula dell’accordo (necessario per la solidarietà), corredata dall’elenco nominativo dei lavoratori interessati alla riduzione di orario e che quest’ultima deve iniziare entro i 30 giorni successivi alla presentazione dell’istanza.

Ma, come avviene il pagamento delle integrazioni salariali?

Il Legislatore afferma che le somme che fanno riferimento al trattamento integrativo debbono essere corrisposte dal datore di lavoro alla data di scadenza del periodo di paga alle quali si riferiscono.

Anche in questo caso è previsto il c.d,. “pagamento diretto” da parte dell’INPS e, per i giornalisti, dell’INPGI, fatta salva l’ipotesi della revoca qualora gli organi di vigilanza dell’Ispettorato territoriale competente per territorio accertino l’insussistenza delle difficoltà economiche.

Su quest’ultimo aspetto si ritiene che debbono essere seguite le regole già fissate, in via amministrativa, dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 27/2016, laddove, richiamando l’art. 7, comma 5, del D.L.vo n. 148/2015, si afferma che gli ispettori del lavoro debbono dichiarare espressamente se l’impresa versa in una situazione di difficoltà di ordine finanziario. Tale attestazione deve essere basata sull’analisi dell’indice di liquidità che deve risultare negativo, con valore inferiore all’unità (rapporto tra liquidità immediate e passività correnti).

Nella prima voce rientrano, le liquidità immediate, i contanti e gli assegni in cassa, il conto corrente ed i titoli negoziabili, nella seconda, le passività correnti, i debiti di fornitura, i debiti per finanziamenti e quelli verso le banche, i debiti contributivi, fiscali e quelli verso i dipendenti, i ratei ed i riscontri passivi, le partite passive da liquidare e le quote di finanziamenti a medio e lungo termine con scadenza entro i 12 mesi.

Da ultimo, alcune  puntualizzazioni che riguardano altri aspetti importanti:

  • rimborso delle prestazioni attraverso il sistema del conguaglio: Il Legislatore ha richiamato, a partire dal 1° gennaio 2018, l’art. 7. Ciò significa che, a pena di decadenza, le richieste di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori, debbono essere avanzate entro i 6 mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione, se successivo;
  • la fase della consultazione sindacale deve seguire la procedura e le cadenze temporali previste dall’art. 24. Ciò significa che l’esame congiunto, a livello locale, può essere effettuato presso l’Ufficio indicato dalla Regione, che oggetto dello stesso vi sono le ipotesi di discussione di cui parla il comma 3, che la procedura si conclude entro i 25 giorni successivi a quello in cui è avvenuta la richiesta ridotti a 10 se l’impresa occupa meno di 50 dipendenti;
  • i termini per l’emanazione del provvedimento autorizzatorio sono quelli previsti dall’art. 25 (90 giorni dalla presentazione telematica istanza, fatte salve le sospensioni dovute ad esigenze istruttorie);
  • la necessità di uno specifico D.M., riconosciuta dallo stesso Legislatore, è stata già assolta con il DM n. 100495 del 23 novembre 2017;
  • i periodi di integrazione salariale straordinaria richiesti ed autorizzati prima del 1° gennaio p.v., si computano soltanto per i periodi fruiti a partire da tale data, come chiaramente ribadito, da ultimo, dalla circolare n. 5/2018.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 323 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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