La negoziazione assistita nelle controversie individuali di lavoro (E. Massi)

editoriale di Eufranio MassiCon una modifica introdotta nel “corpus” del quarto comma dell’art. 2113 c.c. anche le conciliazioni raggiunte attraverso la c.d. “negoziazione assistita da un avvocato” ottengono il crisma della inoppugnabilità: ciò è avvenuto attraverso l’art. 7 del D.L. n. 132/2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014, che contiene “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.

L’obiettivo dell’Esecutivo è quello di “sgravare” la giustizia civile di una serie di ricorsi che possono trovare opportuna soluzione in via extra giudiziale: è un obiettivo, non nuovo, atteso che il Legislatore, nel corso degli ultimi 40 anni, è intervenuto, più volte, sulla materia a cominciare dalla legge n. 533/1973, ma le soluzioni (non ultima quella del 2010 con  la facoltatività generalizzata e con uno “schema” che a livello amministrativo – si pensi all’iter postulato dalla legge n. 183 che lascia, in ultima analisi, la scelta di aderire al datore, dopo aver posto una serie di ostacoli alla richiesta del lavoratore-) non sono mai state soddisfacenti, con un aumento sempre maggiore della conflittualità.

Prima di entrare nel merito della novità introdotta dall’Esecutivo attraverso la decretazione d’urgenza, ritengo opportuno ricapitolare quali sono le conciliazioni per le quali, in relazione, alla qualificazione dei soggetti avanti ai quali si è raggiunto l’accordo, viene riconosciuto il crisma dell’inoppugnabilità. Si tratta di una elencazione abbastanza lunga, atteso che al mero dettato del comma 4 dell’art. 2113 c.c., la legge n. 183/2010 ha aggiunto le transazioni intervenute innanzi agli organi di certificazione individuati dall’art. 75 del D.L.vo n. 276/2003 ed a determinati collegi arbitrali.

Esse sono:

  1. quelle intervenute avanti all’organo giudicante (art. 185 cpc);
  2. quelle intervenute avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Direzione territoriale del Lavoro (art. 410 cpc), anche a seguito di procedura obbligatoria sui licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 7 della legge n. 604/1966;
  3. quelle intervenute in sede sindacale  (art. 411 cpc);
  4. quelle intervenute ex art. 412 ter cpc presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative;
  5. quelle intervenute ex art. 412 – quater cpc nell’ambito di una conciliazione intervenuta all’interno di uno specifico collegio di conciliazione ed arbitrato che presenta norme di funzionamento molto puntuali e burocratiche e che non risulta esser stato utilizzato in quasi quattro anni di vigenza della norma;
  6. quelle intervenute avanti alla commissione di conciliazione, trasformatasi in collegio arbitrale, su richiesta delle parti (anche questa è una modalità assolutamente poco usata);
  7. quelle intervenute avanti ad uno degli organi di certificazione dei contratti di lavoro individuati dalla contrattazione collettiva nazionale, se operativamente funzionanti (commissione di certificazione presso la DTL, presso la Provincia, presso l’ordine provinciale dei consulenti del lavoro, presso gli Enti bilaterali, presso le Università e le Fondazioni Universitarie accreditate), come previsto dall’art. 31, comma 13, della legge n. 183/2010;
  8. quelle intervenute nella fase conciliativa delle procedure arbitrali previste dalla contrattazione collettiva o all’art. 7 della legge n. 300/1970, in materia di provvedimenti disciplinari;
  9. quelle intervenute su un contratto di lavoro certificato avanti alla commissione che aveva certificato l’atto, come previsto dall’art. 80, comma 4, del D.L.vo n. 276/2003;
  10. quelle intervenute in sede di conciliazione monocratica ex art. 11 del D.L.vo n. 124/2004 che sono dichiarate esecutive con decreto del giudice competente su istanza della parte interessata. Qui, peraltro, si tratta, di una conciliazione molto diversa rispetto alle precedenti, atteso che presuppone, sia nella forma preventiva che in quella contestuale, una violazione di norme in materia di lavoro sanzionabili in via amministrativa, oltre alle conseguenti rivendicazioni di natura economica.

Fatta questa breve premessa entro nel merito delle novità introdotte con il D.L. n. 132/2014.

Viene ipotizzata, non soltanto per le rivendicazioni in materia di lavoro, una nuova modalità per le conciliazioni delle controversie civili, quella che il Capo II chiama procedura di “negoziazione assistita da un avvocato” che, per quel che concerne il settore del lavoro, accanto alla facoltatività è prevista, come nelle ipotesi generali, la obbligatorietà della mediazione assistita a fronte di un importo rivendicativo fino a 50.000 euro (art. 3, comma 1). L’obbligatorietà del tentativo non è entrata subito in vigore (a differenza della facoltatività): infatti, il comma 8 del predetto art. 3 afferma che le disposizioni saranno efficaci, trascorsi 90 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 132/2014.

Ma in cosa consiste questo strumento che sarà utilizzato, “in primis”, nelle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli (ed è condizione di procedibilità in giudizio), ma anche in altri settori come quelli legati alla famiglia (a determinate condizioni, nelle separazioni consensuali o nei divorzi)?

L’art. 2 del D.L. n. 132/2014 afferma che la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo con il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con  lealtà alla risoluzione della controversia. La convenzione deve:

  1. indicare il termine della procedura che non può essere inferiore al mese;
  2. indicare l’oggetto della controversia che non deve riguardare diritti indisponibili;
  3. essere redatta in forma scritta, pena la nullità;
  4. essere conclusa con l’assistenza di un avvocato.

Gli avvocati certificano l’autografia delle firme delle parti: per gli stessi, la norma impone quale dovere deontologico, all’atto del conferimento dell’incarico, di declinare al cliente la possibilità del ricorso alla convenzione di negoziazione assistita la quale, per le controversie di lavoro, è su base volontaria e facoltativa, fatta eccezione per le controversie economiche di importo fino a 50.000 euro.

La procedura inizia con un invito della parte (la firma viene apposta avanti all’avvocato che la certifica) all’altra a stipulare la convenzione: ovviamente, tale invito deve contenere l’oggetto, ossia, nel caso del lavoro, quali sono le voci sulle quali si intende trovare una soluzione.  L’invito, come precisato dall’art. 8 ha effetti interruttivi sulla prescrizione e sulla decadenza.

L’art. 4 prevede che l’accettazione debba avvenire entro 30 giorni dal ricevimento dell’invito e che l’eventuale rifiuto possa essere valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio.

L’accordo che conclude la controversia:

  1. viene sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono i quali assicurano che l’intesa è conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico e, quindi, sono essi stessi, ultima analisi, di quanto scritto nel verbale;
  2. è direttamente titolo esecutivo (art. 5, comma 1) e non necessita di alcun deposito con il successivo invio alla cancelleria del Tribunale come, ad esempio, è  necessario per gli accordi ex art. 411 cpc. Di conseguenza, il verbale lo avranno soltanto le parti ed i loro legali, pur se una copia va inviata, ma solo ai fini di un monitoraggio, al Consiglio dell’ordine circondariale (art. 11).

Se la controversia si conclude con un mancato accordo, il tutto viene certificato dagli avvocati designati.

Fin qui, per sommi capi, la norma che, però, a mio avviso, merita qualche considerazione.

Proseguendo un discorso iniziato con la legge n. 183/2010, il Legislatore ampliando gli organi cui è stata riconosciuta la possibilità di transigere controversie di lavoro con la caratteristica della inoppugnabilità, ha individuato altri soggetti che portano, sempre di più fuori le stesse dal vecchio alveo tradizionale che aveva visto, sia nella fase della conciliazione obbligatoria (a partire dal D.L.vo n. 80/1998) che della facoltativa (prima del D.L.vo n. 80/1998 e dopo la legge n. 183/2010) le sedi degli organi periferici del Ministero del Lavoro e delle organizzazioni sindacali, quali luoghi deputati alla trattazione delle controversie di lavoro per rivendicazioni economiche con effetti definitivi sulla composizione (la legge n. 533 è del 1973 e, allora, prevedeva tale requisito soltanto per gli accordi avvenuti avanti al giudice o ex art. 410 e 411 cpc.). Nella conciliazione attraverso la mediazione assistita sembra mancare un organo “super partes” che pur esiste nelle altre tipologie mediatorie e che, in determinati contesti e situazioni, è stato particolarmente determinante.

E’, indubbiamente, quella prospettata dall’Esecutivo una chance in più per tagliare il possibile contenzioso giudiziale: si torna ad un sistema di obbligatorietà della conciliazione (sia pure fino a 50.000 euro di “petitum”) riservata soltanto ai legali, dopo che si era “tuonato” anche da parte dei professionisti circa l’obbligatorietà del tentativo, introdotto con il D.L.vo n. 80/1998, ritenuto “defatigante”: appare appena il caso di ricordare come molte delle “colpe” legate al fallimento della obbligatorietà, furono da ascriversi (sia detto senza alcuna polemica) alla mancanza di risorse umane e strumentali nelle Direzioni territoriali del Lavoro.

Detto questo va anche sottolineato come l’eventuale accordo a seguito di negoziazione assistita possa riguardare soltanto gli aspetti economici della controversia (relativi a diritti disponibili, come afferma l’art. 2, comma 2, lettera b, pur se il comma 4 dell’art. 2113 c.c. che si applica alle transazioni avvenute potrebbe suggerire una lettura diversa), o altre questioni di natura normativa riferite alle gestione del rapporto di lavoro (del resto, lo stesso discorso si fa per le transazioni che avvengono presso la DTL o in sede sindacale), ma non può toccare, in alcun modo, la parte contributiva non prescritta del rapporto.

D’altra parte, anche sulle voci relative alla conciliazione gli organi di vigilanza, (v. circ. INPS n. 263/1997), in caso di controllo, debbono verificare la reale natura delle somme erogate per stabilire se hanno natura retributiva, con ogni conseguenza in ordine alla imponibilità contributiva. La stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 17845 del 28 luglio 2009 ha affermato che sulle somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di transazione, l’Istituto è abilitato ad azionare il credito contributivo provando, con ogni mezzo, le eventuali somme riconosciute a tale titolo, assoggettabili a contribuzione. E, d’altra parte, è chiaro che nell’accertamento ispettivo il personale di vigilanza del Ministero del Lavoro degli Istituti previdenziali o i militari della Guardia di Finanza non hanno alcun limite (ovviamente, attraverso l’acquisizione di materiale e dichiarazioni probatorie) sia per gli aspetti correlati alla durata, alla qualificazione del rapporto ed ai conseguenti oneri contributivi che a quelli di natura fiscale.

E’, indubbiamente, presto per fare considerazioni più puntuali essendo, quanto meno, doveroso attendere chiarimenti dai Ministeri della Giustizia e del Lavoro e dall’Ordine professionale degli Avvocati: ritengo, tuttavia, che la negoziazione assistita non possa trovare applicazione laddove il Legislatore ha previsto una procedura obbligatoria di componimento della controversia. Mi riferisco al licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle aziende dimensionate a partire dalle quindici unità ove la norma ha previsto (art. 7 della legge n. 604/1966) un iter avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso la Direzione del Lavoro o anche al contratto certificato impugnato per il quale (art. 80, comma 4, del D.L.vo n. 276/2003) si deve passare avanti all’organo che lo aveva certificato.

Piuttosto mi chiedo: laddove un lavoratore abbia tentato la strada della conciliazione facoltativa, non andata a buon fine per l’assenza del datore di lavoro, può, conferendo un mandato ad un legale per l’inizio dell’iter legale, tentare la strada della negoziazione assistita?

La risposta sembra positiva (purchè, ovviamente, l’altra parte ora aderisca), non essendo previsto alcun  limite all’eventuale ripetizione di un  tentativo di accordo.

Da ultimo, una considerazione che entra poco con l’argomento trattato: la conciliazione attraverso la negoziazione assistita toglierà, senz’altro, almeno in certe realtà del nostro Paese, “lavoro” alle Direzioni del Lavoro ed alle commissioni ivi costituite.  Se a ciò, si aggiunge che l’art. 4 della legge delega sul job act, all’esame del Parlamento, prevede la costituzione di un’Agenzia unica dell’ispezione ove confluiranno gli organi di vigilanza di INPS, INAIL e Ministero del Lavoro (che, quindi, giocoforza, porterà gli ispettori a staccarsi dalle articolazioni periferiche del Dicastero), ben si comprende come sembra avere poco senso la ristrutturazione ipotizzata con il DPCM n. 121/2014 che è in  fase di “avanzamento burocratico”, atteso il possibile venir meno anche di parte dell’attività conciliativa.

Ma questo è un altro discorso (molto complesso) che non potrà che riguardare la ristrutturazione della “macchina pubblica periferica”, intesa in senso lato.

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