Le nuove sanzioni per il lavoro nero e per la mancata fruizione dei riposi

eufraniomassiIl 21 febbraio 2014 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n. 9/2014 che ha convertito, con profonde modificazioni, il D.L. n. 145/2013. Il provvedimento di per sé molto importante ha toccato anche alcune materie che concernono la lotta al lavoro irregolare e la tutela della salute e della sicurezza in materia di lavoro. Ciò è avvenuto con l’art. 14 che, in sede di conversione è stato completamente riscritto (non senza alcune code polemiche).

L’esame che segue, tratterà esclusivamente la parte della disposizione che si occupa dell’apparato sanzionatorio: se si effettua una riflessione sul nuovo ammontare delle sanzioni pecuniarie, sulla circostanza che il superamento dell’orario settimanale di lavoro o la mancata fruizione dei riposi giornalieri e settimanali andrà, sempre più nell’occhio della vigilanza ispettiva per la quale è previsto un cospicuo aumento di personale (250 unità), ci si rende conto che, forse, programmando l’attività secondo una razionale organizzazione, ci potrebbe essere uno spazio ulteriore, nelle aziende, per il lavoro somministrato che ben risponde alle esigenze produttive legate a fabbisogni improvvisi.

L’obiettivo che si è posto il Legislatore è stato quello di rafforzare l’attività di contrasto al lavoro nero e quella finalizzata a tutelare la sicurezza e la salute nei posti di lavoro. Per far ciò sono state riviste, in aumento, alcune disposizioni sanzionatorie.

L’importo delle sanzioni amministrative applicabili in caso di impiego di lavoratori subordinati senza alcuna preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro domestico, viene maggiorata del 30%. Ciò significa che la maxi sanzione (che fino al 23 dicembre 2013 era compresa tra i 1.500 ed i 12.000) passa a 1.950 fino a raggiungere il tetto massimo di 15.600 euro, mentre la somma aggiuntiva per ogni giorno di attività “in nero” riferito a ciascun lavoratore, che era pari a 150 euro, sale a 195.

Anche la c.d. “mini maxi sanzione” applicabile nei confronti di un datore di lavoro che ha fatto lavorare “in nero” (magari, in prova “prolungata”, senza alcun atto scritto) un lavoratore risultato “regolare” al momento dell’accesso ispettivo, che era compresa tra 1.000 ad 8.000 euro, viene elevata, rispettivamente, a 1.300 ed a 10.400 euro, con maggiorazione anche della somma aggiuntiva, per ogni giorno “in nero” riferito a ciascun lavoratore, che da 30 sale a 39 euro.

Le sanzioni, un tempo diffidabili (e, quindi, pagabili nell’importo minimo) ora non lo sono più: anzi, il Legislatore specifica che “restano soggette alla procedura di diffida soltanto le violazioni commesse (“tempus regit actum”) prima dell’entrata in vigore della legge di conversione” (ossia, entro il 21 febbraio 2014, in quanto la legge n. 9 è vigente dal 22 febbraio). La non applicazione dell’istituto della diffida potrebbe portare, nel breve – medio periodo, ad un aumento del contenzioso.

La maggiorazione del 30% riguarda anche le somme aggiuntive irrogate dagli organi di vigilanza allorquando gli stessi procedono alla sospensione dell’attività imprenditoriale perché è stata accertata una percentuale di lavoratori in nero pari o superiore al 20% del totale dei dipendenti presenti sul posto di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza. Essa sale, rispettivamente, da 1.500 a 1.950 euro (prima ipotesi) e da 2.500 a 3.250 euro (seconda ipotesi). Il nuovo articolo 14 della legge n. 9 ha “sanato” un evidente errore contenuto nel D.L. n. 145/2013 che aumentando a 3.250 la somma aggiuntiva se la mancanza era stata riscontrata dagli ispettori del lavoro, aveva lasciato a 2.500 euro l’importo se la mancanza era rilevata dagli organi di vigilanza delle ASL. La somma aggiuntiva, che non è una sanzione (infatti, in caso di mancato pagamento, non segue l’iter della legge n. 689/1981), né un’ammenda e che è strettamente correlata alla riapertura dell’attività aziendale, non era stata toccata dall’aumento del 9,6% previsto, a partire dal 1° luglio 2013, dall’art. 9, comma 2, del D.L. n. 76/2013 che aveva proceduto all’aggiornamento quinquennale degli importi, come richiesto dallo stesso D.L.vo n. 81/2008.

Vale la pena di ricordare che, per effetto di chiarimenti amministrativi, da tempo, forniti dal Dicastero del Lavoro, la sospensione dell’attività imprenditoriale non opera allorquando ci si imbatte in una micro impresa che ha in forza un solo dipendente e che, il provvedimento interdittivo di sospensione parte dalle ore 12 del giorno successivo, con dilazione temporale se lo stesse cadono di sabato o in un giorno festivo.

Quanto appena detto rappresenta, indubbiamente, un forte aggravio, soprattutto in un momento nel quale la crisi è forte, ma la lotta allo sfruttamento ed alle forme di lavoro irregolare rappresenta l’obiettivo primario di ogni Esecutivo e, quindi, bene ha fatto il Parlamento a confermarne, in sede di conversione, gli originari importi.

Gli importi delle sanzioni amministrative legate al superamento della durata massima dell’orario settimanale di lavoro, comprensivo del lavoro straordinario ed inteso come media quadrimestrale o, con accordo sindacale, semestrale o, in casi ulteriori, annuale, alla mancata fruizione dei riposi giornalieri e settimanali che il testo originario del D.L. n. 145/2013 aveva decuplicato, ora sono, soltanto, raddoppiati . Del resto, la stessa Direzione Generale per l’attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con la nota n. 22277 del 27 dicembre 2013 aveva raccomandato cautela alle proprie articolazioni periferiche sottolineando che gli importi decuplicati erano contenuti in un decreto legge che doveva percorrere tutto l’iter parlamentare. La notevole riduzione degli importi è avvenuta sulla base di un emendamento presentato dal Governo (che, probabilmente, a fronte di forti critiche da parte imprenditoriale, si è reso conto di aver troppo “calcato la mano”). Ora, la sanzione per il superamento della durata massima dell’orario settimanale (48 ore compreso lo straordinario e intesa come media pluriperiodale) è compresa tra 200 e 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di 5 dipendenti ovvero si è verificata in almeno 3 periodi di riferimento (4, 6 o 12 mesi a seconda dei casi) l’importo va da 800 a 3.000 euro. Qualora la violazione riguardi più di 10 lavoratori o sia stata accertata per almeno 5 periodi di riferimento, la sanzione pecuniaria è compresa tra 2.000 e 10.000 euro senza ammissione al pagamento in misura ridotta.

Il mancato rispetto del riposo settimanale (inteso come un periodo di 24 ore, di regola in coincidenza della domenica, da cumulare con le 11 ore di riposo giornaliero e, in ogni caso, calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni), è punito con una sanzione amministrativa compresa tra 200 e 1.500 euro. Anche in questo caso se la violazione riguarda più di 5 o 10 dipendenti le sanzioni sono maggiorate e sono comprese, rispettivamente, tra 800 e 3.000 euro (prima ipotesi) e tra 2.000 e 10.000 euro(seconda ipotesi).

Il mancato rispetto del riposo giornaliero (11 ore consecutive, fatte salve alcune ipotesi, come, ad esempio, le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati o da regimi di reperibilità) è punito con una sanzione amministrativa compresa tra 100 e 300 euro. Qualora la violazione riguardi più di 5 lavoratori o sia stata commessa in almeno 3 periodi di 24 ore, la sanzione si innalza e va da 600 a 2.000 euro: se il numero dei dipendenti coinvolti è maggiore di 10 o il comportamento del datore si sia verificato in almeno 5 periodi di 24 ore, la sanzione sale ulteriormente ed è compresa tra 1.800 e 3.000 euro, senza alcuna ammissione al pagamento in misura ridotta.

A questo punto è necessario fare mente locale su alcune questioni.

Calcolo della durata massima dell’orario di lavoro: restano pienamente validi i chiarimenti forniti dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8/2005: oltre ai periodi di ferie e di assenza per malattia, citati esplicitamente dall’art. 6, comma 1, del D.L.vo n. 66/2003, non vanno computati nella media i periodi di assenza per infortunio e per gravidanza che si ricollegano allo stato di salute del lavoratore. L’arco temporale (4, 6 o 12 mesi) può essere superato in quanto per la determinazione vanno sottratti i periodi di assenza sopra citati (ad esempio, il quadrimestre “maggio – agosto” potrebbe scorrere, in caso di malattia, al mese di settembre).

Riposo giornaliero: esso si configura come un diritto del lavoratore pur se quest’ultimo risulta essere titolare di più rapporti. Regole di buon senso (anche se ciò non è supportato da alcuna sanzione) imporrebbero al dipendente l’onere di comunicare ai propri datori di lavoro l’ammontare delle ore nelle quali può prestare attività. Il riposo va fruito in maniera consecutiva, fatte salve alcune eccezioni espressamente previste (lavoro frazionato e discontinuo come nel settore delle pulizie, cambio turno, reperibilità interrotta per interventi emergenziali). Sul tema della reperibilità vanno evidenziate la sentenza della Corte Europea di Giustizia n. 303 del 3 ottobre 2000 e l’interpello del Ministero del Lavoro n. 31/2007. La prima ha affermato che il servizio di mera reperibilità non rientra nell’orario di lavoro se non per il tempo dell’effettiva prestazione, il secondo ha chiarito che in caso di interruzione del riposo giornaliero o settimanale per attività da rendere in regime di reperibilità, il periodo di riposo decorre dalla cessazione della prestazione lavorativa, rimanendo escluso il computo delle ore già eventualmente fruite.

Cumulo giuridico: è previsto dall’ ex art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981 ed è invocabile in materia di sanzioni per riposo giornaliero o settimanale. Il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 76/2009, lo ritiene possibile ma esclude, chiaramente, che tale potere possa essere esercitato dagli ispettori del lavoro i quali, nella fase della contestazione e della successiva notifica dell’illecito possono, soltanto quantificare, laddove possibile, la sanzione in misura ridotta. La Direzione Generale per l’attività ispettiva ricorda come l’applicazione dell’istituto richieda delicate ed ampie facoltà discrezionali che sono rimesse soltanto alla valutazione del Dirigente della Direzione territoriale del Lavoro: il tutto presuppone, infatti, che dagli atti istruttori emergano elementi dai quali possa, concretamente, emergere l’unicità della condotta illecita, pur in presenza di una pluralità di violazioni, con la conseguenza, in caso di riconoscimento del “cumulo giuridico”, che la sanzione applicabile sia quella più grave aumentata fino a tre volte.

Ma dove andranno a finire i maggiori introiti derivanti dall’aumento delle sanzioni?

Il Legislatore risponde che essi andranno su un apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione previsto dall’art. 18, comma 1, lettera a, della legge n. 2/2009 e ad un capitolo dello stato di previsione del Ministero del Lavoro, nel limite massimo di 10 milioni di euro, a decorrere dal 2014, destinati ad una migliore utilizzazione del personale ispettivo, ad una maggiore efficacia, della vigilanza in materia di lavoro, raggiungibile anche attraverso interventi di carattere organizzativo ed alla realizzazione di iniziative di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare.

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Eufranio Massi
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E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

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