L'accordo per il premio di produttività [E.Massi]

L'accordo per il premio di produttività [E.Massi]

Il premio di produttività, con la tassazione agevolata al 10%, entro i 2.000 (o 2.500 in caso di coinvolgimento dei dipendenti nella organizzazione del lavoro) postula, a monte, un accordo sindacale aziendale o territoriale da stipulare con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale o, in alternativa, con le “loro” RSA ( e no di altri sindacati) o la RSU. Qui il Legislatore, all’interno della legge n. 208/2015, ha richiamato il contenuto dell’art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015 che, indubbiamente, pone in una posizione di preminenza quelle associazioni sindacali che, sotto l’aspetto comparativo (pur nella libertà di associazione garantita dall’art. 39 della Costituzione), garantiscono la maggiore rappresentanza degli interessi dei lavatori.

Appare evidente che, laddove all’interno dell’azienda siano presenti gli organismi sindacali interni, saranno essi ad essere portatori degli interessi dei singoli lavoratori, non potendo, di conseguenza, essere sottoscritto alcun accordo senza la loro sigla. Indubbiamente, nelle aziende associate al mondo di Confindustria o a quello della Confcommercio, la validità del contratto aziendale potrà essere sottoposta alle disposizioni che regolano la materia nei due accordi interconfederali sopra richiamati.

Ma, se questo è un discorso abbastanza pacifico e lineare per le medie e grandi aziende ove l’organizzazione sindacale e’ strutturata, cosa succede in quelle imprese (e sono la maggioranza nel nostro Paese) ove non ce ne’ la RSU, ne’ la RSA?

Non è assolutamente possibile procedere in maniera unilaterale (se si vuole usufruire delle agevolazioni previste dalla norma), ne’ sottoscrivere un accordo con tutti i lavoratori, in quanto il Legislatore ha destinato a tale compito soltanto le organizzazioni sindacali individuate dall’art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015.

Da ci  discende che, nella sostanza, sono soltanto due le strade che rimangono: quella di sottoscrivere un accordo  “chiamando” in azienda rappresentanti di categoria territoriali facenti riferimento alle organizzazioni che sono firmatarie del CCNL comparativamente più rappresentativo (potrebbe essere sufficiente sottoscrivere il verbale di accordo anche con una sola sigla tra quale sopra individuate), oppure, come in passato, attendere che a livello territoriale si stipuli un accordo di settore o anche intersettoriale al quale il datore di lavoro, senza sindacato interno, possa aderire.

Tale premessa si è resa necessaria anche per comprendere che tutto sarà diverso dal passato ove i criteri non erano, nella sostanza, misurabili ed ove anche l’erogazione economica con la quale venivano retribuite ore di straordinario poteva passare per “produttività”.

Come dicevo in premessa, l’accordo presenta un limite reddituale, e riguarda quei lavoratori (salvo esplicita rinuncia) che nell’anno precedente non hanno avuto redditi da lavoro dipendente superiore ai 50.000 euro lordi. Di qui la necessità di verificare (con autocertificazione) i redditi di chi nell’anno precedente non era dipendente dell’impresa o, se dipendente, aveva in essere altri rapporti a tempo parziale.

Ho fatto, pocanzi, riferimento alla esplicita rinuncia alla detassazione da parte di qualche lavoratore interessato per qualsivoglia motivo: essa, a mio avviso, va fatta per iscritto.

Ma, andiamo al contenuto dell’accordo: esso dovrà individuare i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, qualità, efficienza, innovazione e redditività strettamente correlati alla retribuzione di risultato ma anche, qualora le parti fossero interessate ad elevare il limite a 2.500 euro, ad individuare forme di coinvolgimento paritetico del personale (o di un parte di esso) nella organizzazione del lavoro (ad esempio, miglioramento di aree e servizi per la produzione con un costante monitoraggio e consultazione).

Nell’allegato al D.M. che ha fissato le modalità attuative della norma sono riportati una ventina di indicatori particolarmente significativi come, tanto per citarne alcuni, il volume della produzione, il fatturato, la diminuzione dei tempi di consegna, la diminuzione delle riparazioni e degli scarti, la diminuzione del numero degli infortuni sul lavoro, la riduzione dei tempi di evasione delle commesse o dei “passaggi interni” delle lavorazioni. È chiaro che, per essere misurabili al termine dell’arco temporale considerato, occorrerà dare a questi fattori dei valori di partenza certi e delle percentuali rispetto ai quali effettuare la misurazione.

Il raggiungimento degli obiettivi fissati nell’accordo con la maturazione dei premi di risultato correlati porta alla tassazione agevolata del 10% fino al limite reddituale sopra indicato (2.000, o a seconda dei casi, 2.500 euro).

L’accordo, tuttavia, non è completo se non consente a ciascun dipendente che lo voglia, la conversione del premio in una serie di beni e servizi di welfare non soggetti a tassazione, chiaramente indicati dal Legislatore all’interno del Tuir che è stato riveduto e corretto in un paio di punti. Oggi, anche alla luce delle novità introdotte non risultano imponibili i servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sanitaria e sociale, i servizi per l’infanzia in età prescolare, la frequenza di centri estivi ed invernali, i servizi di cura per familiari anziani non autosufficienti, gli altri beni e servizi di valore non superiore a 258,26 euro (i c.d. premi aziendali):

La regolamentazione dei buoni pasto non entra in te regime avendo, richiamato il D.M. quanto “normato”, sotto, l’aspetto fiscale, dal DPR n. 207/2010.

Il Decreto Ministeriale h avuto il merito di identificare uno strumento estremamente pratico per la fruizione dei benefici di welfare: i c.d. voucher che sono, nella sostanza, buoni di valore pari a quello dei beni e dei servizi erogati nominativi, non cedibili a terzi e non monetizzabili.

Appare evidente come, su questi aspetti particolarmente “vischiosi” e sui tempi di erogazione delle prestazioni di welfare, si aspetti, con particolare interesse, ci  che dirà l’Agenzia delle Entrate che, in ultima analisi, sarà la destinataria finale degli accordi i quali, sottoscritti in sede aziendale o territoriale, dovranno, entro i trenta giorni successivi alla stipula, essere depositati, unicamente in via telematica, presso la Direzione territoriale del Lavoro, competente per territorio, secondo la previsione contenuta nell’art. 14 del decreto legislativo n. 151/2015 ( in un’ottica di semplificazione si ritiene che il deposito nelle aziende che hanno stipulato accordi che interessino unità produttive ubicate sul territorio nazionale, possa avvenire presso la sede della Direzione del Lavoro ove insiste la sede legale). Il deposito dovrà essere accompagnato da una dichiarazione di conformità alle previsioni legali, sottoscritta dal legale rappresentante.

Qualora un datore di lavoro ritenga che un accordo pluriennale sottoscritto lo scorso anno con effetti, in termine di pagamento nel 2016, abbia le caratteristiche richieste postulate dalla norma, lo può depositare, sempre telematicamente, presso la Direzione territoriale del Lavoro competente, entro i trenta giorni successivi alla pubblicazione del D.M. in Gazzetta Ufficiale, con l’autocertificazione circa la sussistenza dei requisiti richiesti.

Autore

Eufranio Massi
Eufranio Massi 323 posts

E' stato per 40 anni dipendente del Ministero del Lavoro. Ha diretto, in qualità di Dirigente, le strutture di Parma, Latina, i Servizi Ispettivi centrali, Modena, Verona, Padova e Piacenza. Collabora, da sempre, con riviste specializzate e siti web sul tema lavoro tra cui Generazione vincente blog.

Vedi tutti gli articoli di questo autore →